Corte di Cassazione, ordinanza n. 25396 depositata il 29 agosto 2023

contratto preliminare di vendita – decesso del promittente

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato rispettivamente in data 12/09/2008 e 10/09/2008, R.E. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma i suoi fratelli, R.M. e R.R., per ottenere la declaratoria di nullità della scrittura privata di compravendita con cui il fratello R. aveva venduto alla sorella M. l’immobile sito in Roma, alla via N. di R.M.. Dopo la morte della madre, promittente venditrice, R.R. aveva dato esecuzione al suddetto preliminare, stipulando il contratto definitivo senza la partecipazione necessaria di esso istante, coerede comproprietario. Deduceva inoltre l’attore che la firma della madre sul contratto preliminare doveva essere considerata apocrifa e che l’atto di compravendita ledeva i propri diritti ereditari. Chiedeva pertanto all’adito Tribunale dichiararsi la nullità del contratto preliminare e dell’atto pubblico di compravendita.

2. Costituitosi il contradditorio con R.M. e nella contumacia di R.R., con sentenza non definitiva n. 7416/2014, il Tribunale di Roma dichiarava la nullità dell’atto di compravendita a causa della mancata partecipazione alla stipula del comproprietario-coerede R.E., condannando i convenuti al pagamento delle spese di lite e disponeva l’ulteriore corso del giudizio per la domanda di divisione proposta dall’attore.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello M.R.. R.E., costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto del gravame.

4. Con sentenza non definitiva n. 4993/2016, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del primo motivo di appello, escludeva la nullità dell’atto di compravendita affermando la validità del rogito pur se stipulato da uno solo dei soggetti coobbligati, vincolati dalla promessa di vendita manifestata in vita dalla de cuius. Disponeva il prosieguo del giudizio per la procedura conseguente alla istanza di verificazione della sottoscrizione di tale promessa di vendita.

5. Con successiva sentenza n. 418/2018 la Corte territoriale riteneva autentica la sottoscrizione di C.L. apposta in calce al contratto preliminare del 2/03/2001 e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda originaria di nullità proposta da R.E..

6. Quest’ultimo ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza non definitiva n. 4993/2016, contro la quale aveva reso riserva di gravame, e avverso la sentenza definitiva n. 418/2018.

7. R.M. ha resistito con controricorso. 

8. R.R. non ha svolto difese in questa sede. 

9. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 comma 2 e 380-bis.1 c.p.c.

10. In prossimità dell’udienza R.E. e R.M. hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con la prima censura il ricorrente deduce, in relazione alla sentenza parziale n. 4993/2016 della Corte di Appello di Roma, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1317, 1318, 1100 c.c.

Sostiene che la Corte di merito avrebbe erroneamente affermato la validità del contratto definitivo di compravendita per cui è causa pur se stipulato da un solo erede, senza il consenso dell’altro, in virtù della promessa di vendita manifestata in vita dalla de cuius C.L., madre delle parti in causa, posto che l’obbligazione di trasferire l’immobile (pur se considerata come un unicum e con la pattuizione di un solo prezzo) costituirebbe un’obbligazione non solidale ma collettiva o congiunta, nella quale la prestazione deve essere eseguita (o ricevuta) congiuntamente da parte, rispettivamente, di tutti i debitori o da parte di tutti i creditori. Di conseguenza, essendo il bene intestato alla signora Consoli, lo stesso, alla data della sua morte, è entrato in comunione successoria, con la conseguenza che ciascuno degli eredi avrebbe dovuto necessariamente partecipare all’atto.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1418 e 1325 c.c. e 2932 c.c., relativamente alla sentenza parziale n. 4993/2016, per non aver erroneamente considerato la Corte di Appello che il contratto preliminare non è idoneo a trasferire immediatamente il diritto di proprietà e che, essendo l’immobile oggetto del contratto preliminare caduto in successione, l’obbligo di stipulare il contratto definitivo sarebbe “in capo ai singoli proprietari della quota ancorché di un bene unico ed inscindibile”: da qui, la dedotta violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c. per non essere stato il definitivo stipulato con il consenso di tutti gli eredi.

3.- Con il terzo motivo – proposto in via subordinata – il ricorrente censura la sentenza definitiva n. 418/2018 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art 360 comma 1, n. 5 c.p.c.: a suo dire, la Corte di Appello di Roma ha commesso un errore motivazionale nell’iter logico seguito per disconoscere le risultanze istruttorie della espletata C.T.U. grafologica, non avendo indicato gli elementi di cui si è avvalsa per ritenere erronei gli argomenti su cui il consulente si è basato.

3.-  I  primi due  motivi,   che possono essere trattati congiuntamente anche per la loro sostanziale sovrapposizione, sono fondati.

La Corte di Appello di Roma, nella sentenza non definitiva n. 4993/2016, ha così argomentato al riguardo:

– non sussistono dubbi sul riferimento nel contratto preliminare ad un immobile inteso come unicum, con la pattuizione di un solo prezzo;

– in ragione di ciò, l’obbligazione di trasmettere la proprietà dello stesso non può che essere considerata indivisibile, individuandosi nel preliminare una unitaria manifestazione negoziale avente ad oggetto una prestazione unica e inscindibile;

– a causa del decesso della signora C.L. l’obbligazione di trasmettere la proprietà dell’immobile si è trasferita sugli eredi: trattandosi di obbligazione indivisibile, l’esecuzione della stessa può essere effettuata da ciascuno degli eredi per l’intero, secondo le regole della solidarietà;

– la sentenza del giudice di prime cure, che ha ritenuto necessario il consenso del coerede rimasto estraneo alla vendita definitiva, “non è assolutamente ammissibile dal punto di vista giuridico”, posto che non vi è alcuna possibilità per i coeredi di scelta, stante l’obbligatorietà della stipulazione del definitivo a carico della de cuius e così ora dei suoi eredi;

– di conseguenza, è irrilevante la mancata “partecipazione all’atto definitivo obbligato di un coerede, tanto più nel caso presente in cui si dà atto che il pagamento del prezzo da parte della promittente acquirente era già intervenuto al momento del preliminare”.

Sul punto la sentenza è errata, posto che si pone in contrasto con l’orientamento di questa Corte di legittimità, alla cui stregua “la promessa di vendita di un bene oggetto di comunione (e considerato dalle parti come un ‘unicum’ inscindibile) ha, come suo contenuto, una obbligazione indivisibile, così che l’adempimento e l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2932 cod. civ.) devono essere richiesti nei confronti di tutti i promittenti venditori, configurandosi, nella specie, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, attesa l’impossibilità che gli effetti del contratto non concluso si producano nei riguardi di alcuni soltanto dei soggetti del preliminare” (Cass. n. 1050/1999; conf. Cass. n. 6162/2006; Cass. n. 5125/2019).

Non vi è dubbio che tale giurisprudenza si attagli al caso de quo, perchè il bene oggetto del contratto preliminare, ancora di proprietà di C.L. all’atto del suo decesso, è entrato

nell’asse ereditario, cadendo in successione e dunque in comunione ereditaria pro-indiviso: di conseguenza, i coeredi hanno acquistato ciascuno la quota di loro spettanza, subentrando anche nell’obbligo di stipulare il definitivo.

Reiterati precedenti di questa Corte hanno coordinato il principio della indivisibilità del bene con quello della negozialità dell’adempimento del contratto preliminare, sancendo che “La promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fano capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi – salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all’inadempimento di uno di essi – costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità del promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari promittenti, sull’assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli rimasti estranei” (Cass. S.U. n. 7481/1993; Cass. S.U. n. 239/1999).

E ancora: “in tema di promessa di vendita di un bene immobile indiviso, appartenente a più comproprietari, allorché nell’unico documento predisposto per il negozio non risulti la volontà dei comproprietari di stipulare più contratti preliminari relativi esclusivamente alle singole quote di cui ciascuno di essi è titolare, le dichiarazioni dei promittenti venditori, che costituiscono un’unica parte complessa, danno luogo a un’unica volontà negoziale, sicché sono parti necessarie del giudizio ex art. 2932 cod. civ. tutti coloro che, concorrendo a formare la volontà negoziale della parte promittente, si sono obbligati a prestare il consenso necessario per il trasferimento del bene considerato come un unicum inscindibile e nei cui confronti deve spiegare effetto la sentenza costitutiva” (Cass. n. 6162/2006; e cfr. Cass. n. 1866/2015 per l’affermazione che nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno dei comproprietari sono prive di una specifica autonomia e destinate a fondersi in un’unica manifestazione negoziale).

Se è vero che l’obbligazione di trasferire la proprietà di un immobile oggetto di comunione, considerato come unicum inscindibile, con la pattuizione di un solo prezzo, dà luogo all’indivisibilità dell’obbligazione, è altrettanto vero che da tale affermazione non possono derivare le conseguenze che ne ha tratto il giudice di seconde cure, ossia l’irrilevanza della mancanza di partecipazione di un coerede all’atto, stante la natura obbligatoria del preliminare e l’estensione al suo adempimento, tramite l’esecuzione dell’obbligo a contrarre, della disciplina delle obbligazioni solidali.

La prestazione di trasferire la proprietà di un bene in comproprietà non è stata infatti considerata avente natura solidale ma collettiva, “non potendo operare il principio stabilito dall’articolo 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido puo’ adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri, atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso relativo alla propria quota e non quello concernente le quote spettanti agli altri (Cass. n. 2613/2021).

Diversamente dai corollari desunti dal giudice di appello, la domanda di adempimento deve essere rivolta nei confronti di tutti i promittenti venditori (in aggiunta alle decisioni già citate cfr. Cass. n. 1050/1999), determinando un litiscorsorzio necessario, che si genera nei confronti di tutti gli eredi anche quando, promosso il giudizio ex art. 2932 cod. civ. per l’esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre, sopravvenga il decesso di uno dei promittenti venditori, trattandosi di cause inscindibili (Cass. n. 8225/2011).

Ad ulteriore comprova delle linea interpretativa che nel caso de quo avrebbe dovuto adottare la Corte distrettuale si possono ricordare le decisioni che hanno preso specificamente in considerazione il caso – come quello in esame – di apertura della successione dopo la stipulazione del preliminare: “Deceduto il promittente-venditore e apertasi – secondo la disciplina degli artt 566 e 581 cod civ (nel testo anteriore alla legge 19 maggio 1975 n. 151) – la successione legittima nei confronti del medesimo in favore dell’unica figlia e del coniuge, la domanda di esecuzione specifica del preliminare, tendendo al conseguimento della piena proprieta del bene oggetto del contratto, deve essere proposta, affinche la relativa sentenza sia utiliter data, non solo nei confronti della figlia del de cuius, di tale bene divenuta piena proprietaria per la meta e nuda proprietaria per l’altra, ma anche nei confronti del coniuge superstite, divenutone usufruttuario dell’altra metà” (Cass. n. 1320/1980; e v. Cass. n. 2969/1967). I precedenti invocati nella sentenza impugnata, molto risalenti nel tempo, non attengono allo specifico caso di specie o risultano superati dagli indirizzi interpretativi di cui si è dato conto.

Spetterà al nuovo giudice del merito, che si individua nella Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, considerare i rilievi svolti e uniformarsi ai principi di diritto sopra posti.

4.-Dall’accoglimento del primo e del secondo motivo deriva l’assorbimento del terzo motivo, che è stato proposto in via subordinata.

5.-In conclusione, il ricorso va accolto, per quanto di ragione, in relazione ai primi due motivi e la decisione impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, alla quale è demandato anche di provvedere alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità