CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28190 depositata il 6 ottobre 2023
Lavoro – Opzione per la prosecuzione del rapporto oltre i limiti di età pensionabile – Mancata ricostituzione del rapporto di lavoro – Risarcimento del danno – Importi ricevuti a titolo di pensione – Doppia conforme – Inammissibilità
Rilevato che
con la sentenza impugnata è stata confermata la pronunzia del Tribunale di Napoli con la quale era stata parzialmente accolta la domanda proposta il 26 gennaio 2018 da L.T. nei confronti della “M.N. S.p.A.”, volta all’ottenimento della posta risarcitoria conseguente al mancato ripristino del rapporto di lavoro tra le parti, la cui persistenza, con decorrenza dal 9 giugno 2003, era stata accertata con sentenza n. 881/2012, passata in giudicato, dello stesso Tribunale;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la “M.N. S.p.A.”, affidato a cinque motivi;
L.T. ha resistito con controricorso;
il P.G. non ha formulato richieste;
chiamata la causa all’adunanza camerale del 19 settembre 2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
Considerato che
con il primo motivo la ricorrente – denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice di appello, limitandosi ad evidenziare che il risarcimento del danno non doveva essere diminuito degli importi ricevuti dall’interessato a titolo di pensione, abbia omesso di considerare il motivo principale dell’atto di gravame, incentrato sul rilievo che l’attività lavorativa espletata dal dipendente con altro datore – successivamente al rapporto intercorso con essa ricorrente -, nonché la richiesta e la percezione della pensione, riconosciuta con decorrenza dal 1° gennaio 2009, concretizzavano una manifestazione di volontà diretta alla cessazione dell’attività lavorativa con la società; evidenzia, quindi, un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata, estranee al motivo principale di impugnazione, che non consentono l’identificazione del processo logico giuridico posto a base della decisione; lamenta, infine, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tener conto – in ordine agli effetti della prestazione offerta ad altro datore di lavoro – di quanto disposto dalla sentenza n. 881/2012, che aveva rigettato ogni pretesa risarcitoria avanzata dal lavoratore;
con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale – sul rilievo che il diritto del lavoratore alla riammissione derivava dalla citata sentenza n. 881/2012 – abbia ritenuto che il lavoratore medesimo non avesse alcun obbligo di comunicare alla società l’opzione per la prosecuzione del rapporto oltre i limiti di età pensionabile, omettendo, tuttavia, di considerare che la predetta sentenza aveva un effetto “ex tunc”, con conseguenti diritti ed oneri scaturenti dal rapporto;
con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – lamenta che la predetta Corte abbia ritenuto che la richiesta di pensionamento e lo svolgimento di attività lavorativa per altri armatori non costituissero elementi sintomatici di un disinteresse del lavoratore alla ripresa del rapporto, tenuto conto del lasso di tempo intercorso tra la data di emissione della più volte richiamata sentenza passata in giudicato e quella di proposizione del ricorso per il conseguimento della posta risarcitoria;
con il quarto motivo – denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice di appello abbia omesso di considerare che la società, sin dal primo grado, aveva versato in atti la documentazione che attestava la procedura del deposito delle dimissioni del lavoratore, avvenute prima del 21 marzo 2011, per poter essere imbarcato su navi dal successivo datore di lavoro;
con il quinto motivo – denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia liquidato il risarcimento senza tener conto dei periodi di inattività a terra del marittimo, quanto meno di due mesi, per c.c.n.l. non retribuiti.
Ritenuto che
il primo motivo è inammissibile per via dell’operatività della cd. “doppia conforme”, in difetto di dimostrazione, ad opera della ricorrente, che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello siano state tra loro diverse (cfr., sul punto, tra le altre, Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme v. Cass. 28/02/2023, n. 5947:
«Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse»);
in ogni caso, non vi è il dedotto insanabile contrasto tra le varie argomentazioni espresse dal giudice del gravame, il quale, dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perse in ragione della mancata ricostituzione del rapporto non va diminuito degli importi ricevuti dall’interessato a titolo di pensione, ha tratto la conseguenza che «il pensionamento del T. dal 2009 non solo non ha determinato la cessazione del rapporto di lavoro, ma non è affatto un impedimento alla sua riammissione in servizio»; ciò, evidentemente, sull’implicito presupposto che la non operatività, nel presente caso, della “compensatio lucri cum damno”, escludesse una volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di lavoro per effetto della richiesta di pensionamento, da intendersi quale misura di salvaguardia resasi necessaria in ragione del difetto di riammissione in servizio e del mancato versamento della posta risarcitoria (cfr. il seguente passo della sentenza impugnata: «non è immaginabile che, nonostante l’offerta della propria prestazione e la mancata riammissione in servizio da parte della M., T. L. potesse rimanere senza alcuna fonte di sopravvivenza per tutti gli anni intercorsi dalla sentenza del 2012»); né risulta intelligibile il riferimento, nell’ambito della articolata censura, al rigetto della pretesa risarcitoria contenuto nella sentenza n. 881/2012, avente ad oggetto fase temporale antecedente a quella interessata dal presente giudizio, nel quale è stato fatto valere il credito risarcitorio a far data dalla disposta riammissione in servizio;
il secondo motivo è altresì inammissibile, operando, anche in relazione ad esso, quanto alla denunzia ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la “doppia conforme”; per il resto, il motivo in questione non evidenzia il profilo della “decisività”, tenuto conto dell’ordine di riammissione in servizio, contenuto nella sentenza del 2012, passata in giudicato – nonché successiva al pensionamento del lavoratore -, costituente esclusiva fonte dell’obbligo ripristinatorio e risarcitorio, come correttamente affermato nella sentenza impugnata (cfr. il seguente passo: «il T. non aveva alcun obbligo di comunicazione nei confronti della società, infatti, il suo diritto alla riammissione in servizio deriva dalla sentenza 881/12, passata in giudicato, sentenza a cui la M. non ha dato mai attuazione»);
il terzo motivo è ancora inammissibile, perché costituisce accertamento di fatto l’avvenuta, o meno, risoluzione tacita del rapporto contrattuale (cfr., tra le altre, Cass. 27/06/2018, n. 16948, ove è affermato che «l’accertamento della sussistenza di una chiara e comune volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, sindacabile nei limiti consentiti dall’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c., tempo per tempo vigente»); sicché l’esame di esso è precluso, anche in tal caso, per via dell’operatività della più volte richiamata “doppia conforme”;
il quarto motivo è inammissibile, da un lato, per la preclusione derivante dalla “doppia conforme”, e, dall’altro, perché non vi è indicazione, in ricorso, delle dimissioni asseritamente presentate dal lavoratore;
anche l’ultimo motivo è inammissibile, da un lato, per la preclusione derivante dalla “doppia conforme”, e, dall’altro, perché la questione non è stata fatta oggetto di gravame in appello (né avrebbe potuto, in quanto, in primo grado, per come risulta dalla sentenza impugnata, il giudice aveva già considerato, ai fini della determinazione dell’importo a titolo risarcitorio, solo 8 mesi per ciascun anno);
il ricorso è, quindi, nel suo complesso inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 5.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da attribuirsi all’avv. R.D..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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