Corte di Cassazione, ordinanza n. 29002 depositata il 18 ottobre 2023
rimborso IRAP – nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività
Rilevato che:
1. C.L., Professore Ordinario di Cardiochirurgia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nonché Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia presso la medesima Università, ed esercente attività privata di specialista cardiochirurgo, in data 19 giugno 2007, presentava istanza di rimborso dell’Irap versata per un ammontare complessivo di Euro 367.623,67 in relazione alle annualità di imposta dal 2003 al 2007. A fondamento della richiesta deduceva l’inesistenza del requisito dell’autonoma organizzazione richiesto dall’art. 2 d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, come interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, 21 maggio 2001, n. 156.
2. La C.t.p., adita a seguito del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso, accoglieva il ricorso del contribuente.
3. La C.t.r., con una prima sentenza (n. 134 del 2009) in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, riteneva sussistenti i presupposti per l’Irap.
A seguito di ricorso del contribuente, questa Corte, con ordinanza n. 9692 del 2012 annullava con rinvio detta sentenza affermando il seguente principio di diritto «in base all’art. 2 del D. lgs. 446/l997 (come modificato dall’art. 1 del D. Lgs. 137/1988), ai fini della soggezione ad IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo (o un professionista), non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi. Non sono perciò soggetti ad Irap i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata».
4. La C.t.r., quale giudice del rinvio con una seconda sentenza (n. 185 del 2013) accoglieva nuovamente l’appello erariale ritenendo sussistenti i presupposti dell’Irap.
Il contribuente spiegava ricorso per cassazione e questa Corte, con la sentenza n. 5497 del 2020 rilevava che la sentenza impugnata era solo parzialmente conforme al principio di diritto sancito nella precedente pronuncia di cassazione con rinvio; precisava che nel dare attuazione al dictum rescindente, la C.t.r. non aveva fatto corretta applicazione di detto principio, in riferimento all’attività espletata dal contribuente all’interno della struttura professionale a lui riferibile con esclusività, pervenendo ad acclarare l’esistenza di un’autonoma organizzazione sulla base di elementi concreti quali, costi per l’esercizio della professione via via crescenti per compensi a terzi, l’utilizzazione in forma non occasionale ma continuativa di elementi organizzativi esterni, l’esistenza di beni strumentali ed il lavoro di terzi; rilevava, tuttavia, che, erano del tutto assenti gli approfondimenti richiesti con la sentenza rescindente in merito alla natura dei costi per i compensi corrisposti a terzi, presupposto, quest’ultimo, indispensabile per affermare che il contribuente potesse dirsi responsabile di struttura autonomamente organizzata, atteso che, «per giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. n. 27423/18 -Cass. n. 7520/16), in riferimento al parametro dell’erogazione di compensi a terzi è indispensabile valutarne, concretamente, l’effettiva natura, posto che, è assoggettabile ad IRAP chi si avvale di terzi, in forma non occasionale e per prestazioni afferenti l’esercizio della propria professionalità; che, nel caso che occupa, non risultano chiariti e specificati dalla CTR, la natura e l’entità dei compensi e la tipologia delle prestazioni di cui il ricorrente si sarebbe avvalso, e che avrebbero integrato ad avviso del giudice di secondo grado, il requisito dell’autonoma organizzazione; che, parimenti la CTR non ha tenuto conto della sussistenza o meno dell’ulteriore parametro, costituito dall’utilizzazione di beni strumentali e dell’entità degli stessi desumibile dall’esame del registro dei beni ammortizzabili; che, in relazione a tali elementi s’appalesa, quindi, fondata, anche, la doglianza prospettata nel secondo motivo in relazione all’insufficienza del plesso motivazionale della sentenza assoggettata a gravame».
5. La C.t.r., adita nuovamente in sede di rinvio, con la sentenza qui impugnata, in accoglimento parziale dell’appello erariale, riteneva solo parzialmente fondata la domanda di rimborso del contribuente. In particolare, riteneva che i proventi derivanti da prestazioni eseguite presso «strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse» non fossero soggette ad Irap e che, invece, vi erano soggetti i proventi derivanti dall’attività privata, ossia i proventi non conseguiti in strutture organizzate da altri. Aggiungeva che detti proventi erano stati condivisibilmente, quantificati dall’Ufficio secondo quanto risultava dalla documentazione tratta dall’anagrafe tributaria e dall’incrocio dei dati esposti dallo stesso contribuente con le dichiarazioni dei redditi di terzi. Rilevava, ancora, che il contribuente si era avvalso di beni strumentali ulteriori rispetto a quelli indispensabili per l’esercizio della professione e che non ricorresse «l’ipotesi della assenza di autonoma organizzazione».
6. Avverso detta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate che non ha svolto attività difensiva.
Considerato che:
1. Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nonché degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, nn. 2 e 4, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, in quanto insanabilmente contraddittoria, nella parte relativa alla verifica dei parametri necessari ad integrare il presupposto dell’Irap, da un lato avendo ritenuto non assoggettabile a tributo le prestazioni rese in strutture di terzi, a prescindere dalla circostanza che i relativi compensi fossero stati o meno assoggettati a ritenuta alla fonte e, dall’altro lato, avendo individuato le prestazioni rese in modalità «privata» e, per l’effetto, assoggettabili a tributo, sulla base del criterio discretivo suggerito, in corso di causa, dall’Ufficio e fondato sull’applicazione o meno della ritenuta ai compensi corrisposti al professionista.
2. Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Assume che la C.t.r. ha omesso di esaminare quanto argomentato e documentato al fine di dimostrare che anche i compensi percepiti direttamente dai pazienti e, per tale ragione, non assoggettati a ritenuta alla fonte, si riferivano a prestazioni rese in strutture di terzi, senza l’apporto di mezzi riferibili al professionista, e non ad attività svolte in modalità «privata», in quanto tali asseritamente integranti il presupposto dell’autonoma organizzazione.
3. Con il terzo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Censura la sentenza impugnata laddove, nel valutare il parametro relativo all’acquisto dei beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, ha attribuito rilevanza solo all’aspetto dell’ammontare complessivo della spesa sostenuta, senza attribuire rilevanza alcuna
alla natura dei beni, quale evincibile dal registro dei beni ammortizzabili prodotto in giudizio.
4. Con il quarto motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, nn. 2 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992.
Censura la sentenza impugnata per vizio della motivazione per non aver spiegato le ragioni per le quali i beni strumentali eccedevano quelli minimamente indispensabili per l’esercizio della professione e le ragioni per le quali l’ammontare delle spese per tali beni doveva portare a concludere per la presenza, in concreto, di numerose postazioni riservate a collaboratori e personale medico di supporto allo studio privato del professionista.
5. Con il quinto motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Censura la sentenza impugnata laddove, nel valutare il parametro relativo alle spese sostenute per compensi a terzi collaboratori, la Commissione Regionale aveva omesso di indagare la tipologia e la natura delle prestazioni rese, non avvedendosi che, al di là della asserita continuatività, si trattava di collaborazioni aventi ad oggetto prestazioni estranee alla professione medica, dal contenuto meramente amministrativo o materiale, inidonee ad integrare il presupposto dell’autonoma organizzazione rilevante ai fini Irap.
6. Il primo motivo non è fondato.
6.1. Diversamente da quanto sostenuto dal contribuente non è dato ravvisare alcuna contraddizione nella motivazione della sentenza impugnata.
Quest’ultima, infatti, ha preliminarmente affermato la necessità, in conformità ai principi espressi dalla Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio, di individuare, ai fini dell’esclusione dall’Irap, i proventi percepiti come compenso per le attività svolte all’interno della struttura organizzata da terzi; di seguito, ha disatteso la tesi dell’Ufficio secondo cui dovessero sottrarsi all’Irap le sole prestazioni soggette a ritenuta alla fonte, ritenendo che si trattasse di elemento non dirimente ed ha affermato che, invece, non era soggetto all’imposta anche quella parte del compenso che, ancorché non assoggettato a ritenuta alla fonte, fosse stato conseguito in strutture organizzate da terzi. Infine, nell’individuare i proventi soggetti ad Irap (in quanto non conseguiti in strutture organizzate da terzi), con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto condivisibile la quantificazione operata dall’Ufficio e corroborata dalla documentazione in atti.
L’assunto del contribuente, secondo cui detta quantificazione, di fatto, corrisponderebbe ai compensi non soggetti a ritenuta alla fonte, si risolve, in realtà in una censura della valutazione delle prove fatta dal giudice del merito.
Il ricorrente, in altre parole, se pure formalmente censura la sentenza per vizio di motivazione, di fatto sollecita un nuovo esame del materiale probatorio al fine di dimostrare che, in concreto, i compensi esclusi dall’Irap sarebbero stati soltanto quelli soggetti a ritenuta alla fonte.
7. Il secondo motivo è inammissibile.
7.1. Va premesso che trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11 settembre 2012, donde l’inammissibilità delle censure prospettate secondo la precedente disciplina del vizio di motivazione.
7.2. La Corte, a sezioni unite, (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), ha chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella sua ultima formulazione, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività (tra le tante, Cass. 13/06/2022 n. 19049).
A ciò deve aggiungersi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).
7.3. Il motivo in esame difetta dell’indicazione di tali elementi in quanto il fatto decisivo di cui si assume l’omesso esame – ovvero che anche le prestazioni fatturate direttamente nei confronti del paziente avevano ad oggetto attività rese nell’ambito della casa di cura – si risolve, in realtà, in una contestazione della motivazione della sentenza nella parte in cui, pur ritenendo non dirimente il riferimento ai compensi soggetti a ritenuta d’acconto, ha individuato, valutando il materiale acquisito, i proventi derivanti dall’attività privata.
8. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
8.1. La sentenza di rinvio di questa Corte ha demandato alla C.t.r. l’approfondimento della natura dei costi per i compensi corrisposti a terzi (presupposto indispensabile per ritenere il contribuente responsabile di struttura autonomamente organizzata) valutandone l’effettiva natura, l’entità, la tipologia delle prestazioni di cui il ricorrente si era avvalso. Ha demandato, altresì, la verifica della sussistenza o meno dell’ulteriore parametro, costituito dall’utilizzazione di beni strumentali e dell’entità degli stessi, desumibile dall’esame del registro dei beni ammortizzabili.
8.2. La sentenza impugnata, quanto ai beni ammortizzabili, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non ha fatto riferimento al solo valore di questi ultimi, ma anche all’esistenza di uno studio privato molto strutturato, idoneo ad offrire ampio spazio a vari collaboratori. Ha rilevato, inoltre, che tanto trovava riscontro nel numero delle postazioni ed nella tipologia dei mezzi a disposizione dello studio che ha ritenuto funzionali, secondo quanto accade «notoriamente e normalmente» per dottori di fama mondiale quale il C.L., alle prestazioni di terzi collaboratori e medici specializzandi che non potevano essere considerati occasionali, ma che concorrevano all’autonoma organizzazione. La C.t.r., inoltre, ha rilevato, con accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, che la dipendente D.C. – che il contribuente aveva affermato essere mera segretaria dello studio – così come gli altri collaboratori (C.M., A.C.) prestavano, in realtà, attività autonoma, non occasionale, concorrente all’autonoma organizzazione. Infine, ha concluso evidenziando che le centinaia di pazienti e le molte visite giornaliere non potevano ragionevolmente essere gestite senza l’ausilio di personale medico ed amministrativo.
Il giudice di secondo grado, pertanto, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che i beni strumentali ed i collaboratori impiegati nello studio fossero un fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale del professionista, sì da rivelare l’esistenza di un’autonoma organizzazione.
8.3. Detta motivazione risponde agli approfondimenti richiesti con la sentenza di rinvio; rispetta il parametro del c.d. minimo costituzionale che circoscrive il sindacato di legittimità sulla motivazione; è in linea con la giurisprudenza di questa Corte la quale, a Sezioni Unite, ha chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. (Cass. 10/05/2016, n. 9451, in continuità con Cass. 26/05/2009, n. 12108).
Va evidenziato, per altro, che i due requisiti di cui alla lettera b) della citata pronuncia a Sezioni Unite, sono alternativi tra di loro sicché la sussistenza di uno dei due, unitamente alla qualifica di responsabile dell’organizzazione di cui alla lett. a) integra già il presupposto impositivo dell’Irap.
Piuttosto, il ricorrente, con i motivi di ricorso in esame, contrappone la propria valutazione dei fatti a quella chiaramente ed esaustivamente adottata dal giudicante quanto agli elementi da cui deve desumersi il requisito della autonoma organizzazione, così domandando a questa Corte di sovrapporre a quella del giudice del merito una selezione ed una analisi delle fonti di convincimento che, invece, è riservata al giudice del merito.
9. In conclusione il ricorso va rigettato.
10. Non deve provvedersi sulle spese, stante la mancanza di attività difensiva dell’Ufficio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.