CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 maggio 2018, n. 10910
Lavoro – Incidente stradale – Licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione – Totale e permanente inabilità al lavoro – Accertamento
Fatti di causa
T.N.Q.D.M. adiva il Tribunale di Foggia e deduceva di aver lavorato alle dipendenze della Cassa Edile di Capitanata dal 19/6/1989 con mansioni impiegatizie occupandosi di attività di protocollo e segreteria; di aver subito nel giugno 2006 un incidente stradale per il quale si era assentata al lavoro sino al gennaio 2007; di aver chiesto il 1/4/2009 di proseguire nella attività lavorativa oltre il 60° anno di età; di aver ricevuto in data 19/5/2009 intimazione di licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione in ragione della totale e permanente inabilità al lavoro. Sulla scorta di tali premesse chiedeva dichiararsi l’illegittimità del recesso intimato con gli effetti reintegratori e risarcitori sanciti dall’art. 18 l. 300/70; ovvero dichiararsi la continuità giuridica del rapporto e condannarsi la società al pagamento delle retribuzioni non percepite dal dì del licenziamento fino alla effettiva reintegra; in subordine, ordinarsi la riassunzione o in mancanza condannarsi la Cassa edile al risarcimento del danno.
La società resisteva alla domanda. Il giudice di prima istanza accoglieva il ricorso con pronuncia che veniva riformata dalla Corte d’Appello di Bari.
Nel pervenire a tali conclusioni il giudice del gravame, in estrema sintesi, argomentava che la parte datoriale aveva dato prova della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, essendo stata acclarata l’inidoneità al lavoro della D.M. – permanente ed assoluta – alla stregua del verbale Commissione medica dell’Inps stilato in data 7/10/2008 al compimento della procedura amministrativa instaurata dalla lavoratrice, nonché da una serie molto ampia di certificati medici prodotti dalla medesima ricorrente.
Osservava che l’inidoneità fisica della lavoratrice poteva essere dimostrata – diversamente da quanto dalla medesima dedotto – anche con mezzi diversi dalla procedura prevista dal d.Igs. n. 81 del 2008, ritenuta di valore non vincolante oltre che superflua nel caso di specie, in quanto finalizzata ad accertare dati che, come già rilevato, erano emersi con evidenza non sindacabile, anche da una serie molto ampia di certificati medici prodotti dalla medesima ricorrente; evidenza che neanche era stata validamente da quest’ultima contrastata, non essendo stata prospettata l’esistenza nell’assetto organizzativo aziendale, di attività diverse da quelle svolte ed indicate nel mansionario, compatibili con le proprie condizioni fisiche.
Avverso tale decisione la D.M. interpone ricorso per cassazione affidato ad unico articolato motivo, resistito con controricorso dalla parte intimata.
Ragioni della decisione
1. Con unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.1, 3, 4, 5 L. 604/66, dell’art. 5 L. 300/70 degli artt. 1175, 1366, 1375, 1463, 1464, 2103, 2110 e 2697 c.c. nonché degli artt. 113, 115, 116 c.p.c., dell’art. 41 d. Igs. n.81/2008 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Deduce che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte territoriale, il giudizio espresso dalla Commissione medica dell’Inps non riveste valore vincolante né per il datore di lavoro né per il giudice che può sottoporlo al proprio controllo anche avvalendosi dell’ausilio di un consulente tecnico.
Richiama poi i principi invalsi nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il datore di lavoro in sede giudiziale deve dimostrare l’incompatibilità delle mansioni da ultimo svolte con l’inabilità assoluta o parziale, e l’inesistenza in azienda di ulteriori posizioni lavorative cui adibire il dipendente inabile, in coerenza coi dicta di questa Corte secondo cui il recesso del datore di lavoro deve ritenersi legittimo non solo se risulta ineseguibile l’attività svolta dal prestatore, ma anche se, alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, è esclusa la possibilità di svolgimento di altra attività riconducibile alle mansioni assegnate, equivalenti o anche inferiori.
2. L’articolato motivo presenta innanzitutto, evidenti profili di inammissibilità.
La critica muove dalla considerazione della inidoneità del verbale stilato dalla Commissione medica Inps ex lege n. 118 del 1971 ad attestare la condizione di assoluta inabilità lavorativa della ricorrente, oltre che della omessa valutazione, da parte della Corte distrettuale, della “scansione temporale di fatti decisivi così come ben delineata dal primo giudice”, riferita alla volontà espressa dalla lavoratrice di proseguire nella attività lavorativa successivamente alla emanazione del “verdetto della Commissione medica”.
Essa, tuttavia, si palesa carente sotto il profilo della specificità dei motivi di ricorso, secondo il principio delineato dall’art. 366 c.p.c.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, che va qui ribadito, il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (vedi Cass. 15/7/2015 n. 14784 cui adde Cass. 27/7/2017 n. 18679).
Nello specifico, la ricorrente non ha riportato il tenore della documentazione indicata e posta a fondamento della doglianza, omettendo altresì di indicare la avvenuta produzione e collocazione in atti di detta documentazione in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. La rilevata carenza, ridonda, quindi, in ragione di inammissibilità del motivo.
3. Il ricorso si palesa, peraltro, privo di fondamento.
Ed invero, con riferimento alla questione sollevata da parte ricorrente in ordine alla vincolatività degli accertamenti resi dalla Commissione medica collegiale dell’Inps, non può sottacersi che la stessa si presenti priva di valenza decisiva ai fini della soluzione della questione delibata, giacché la Corte distrettuale, all’esito di un’ampia ricognizione delle acquisizioni probatorie di natura documentale, ha elaborato un argomentato giudizio in ordine alla assoluta e permanente inidoneità fisica della lavoratrice all’espletamento della prestazione lavorativa fondato non solo sul verbale emesso dalla Commissione medica collegiale Inps, ma anche su di “una serie molto ampia di certificati medici prodotti dalla medesima ricorrente ed allegati nel fascicolo di parte resistente”.
Il giudice del gravame ha, dunque, proceduto ad un ponderato accertamento in concreto della vicenda scrutinata che investe pienamente la quaestio facti, rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, che non consente una diversa ricostruzione della vicenda storica, soprattutto quando l’apprezzamento del giudice di merito sia il frutto di una molteplicità di accertamenti fattuali la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati fattuali, come definiti ed accertati dal giudice di merito, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale (cfr. Cass. n. 18715 del 2016), ipotesi questa, non ravvisabile nello specifico; con la precisazione che non risulta neanche formulata da parte ricorrente alcuna specifica censura in ordine alla palese deviazione – quanto agli esiti degli accertamenti resi dalla Commissione medica collegiale – dalle nozioni correnti della scienza medica ovvero dall’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Deve, quindi, fondatamente concludersi che i compiuti accertamenti in via di fatto svolti dalla Corte distrettuale, fondati sui cospicui dati documentali acquisiti e che innervano l’impugnata sentenza, consentono di ritenere assorbita ogni questione inerente sia alla prospettata applicabilità alla fattispecie delle disposizioni di cui al d. Igs. n.81 del 2008, sia alla ripartizione dell’onus probandi in relazione alla possibilità di utile collocazione della lavoratrice nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale, che sarebbe venuta in rilievo solo laddove i dati istruttori non avessero fornito elementi sufficienti alla ricostruzione dei fatti, ipotesi questa, da escludersi nella fattispecie che risulta connotata, per quanto sinora detto, da elementi di prova tali da escludere ogni forma di incertezza tale da consentire il ricorso alla regola della ripartizione dell’onere probatorio.
4. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso va disatteso.
Le spese inerenti al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto delta sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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