CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 32563 depositata il 23 novembre 2023
Lavoro pubblico – Dirigente medico – Giudizio di permanente inidoneità – Rifiuto della ricollocazione – Indennità di mancato preavviso – Passaggio ad altra funzione per inidoneità fisica – Sopravvenuta inidoneità totale del lavoratore subordinato alla prestazione lavorativa – Rigetto
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 150 del 2022, ha accolto l’appello proposto da I. C..
2. Il giudice di appello, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’A. Marche a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso contrattualmente prevista, oltre interessi legali e rivalutazione dal dì del dovuto al soddisfo, con esclusione del cumulo e liquidazione della maggiore somma.
I. C., già dirigente medico presso il reparto di Ortopedia dell’Ospedale di Civitanova Marche, aveva impugnato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Macerata tra le parti, con la quale era stato respinto il ricorso da esso proposto per ottenere la condanna dell’A. Marche al pagamento in suo favore della somma complessiva di euro 81.665,40, a titolo di indennità di mancato preavviso.
A fondamento del diritto il lavoratore deduceva che, a seguito del proprio rifiuto ad accettare la ricollocazione presso il reparto di Chirurgia generale del medesimo Ospedale, dopo il giudizio di permanente inidoneità all’attività di Dirigente medico Divisione Ortopedia, per gravi motivi di salute, disposto dagli Organismi sanitari a ciò preposti, l’A. Marche aveva risolto il contratto di lavoro senza preavviso.
3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’A. Marche prospettando tre motivi di ricorso (lettere A, B e C), assistiti da memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica.
4. Resiste con controricorso il lavoratore.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione di una norma di diritto (art. 2119, cod. civ.) integrata dall’art. 21, comma 4-bis del CCNL 6 luglio 1995, introdotto dall’art. 13 del CCNL 5 ottobre 2001 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
Occorre premettere che il richiamo al CCNL 6 luglio 1995, allorché veniva sottoscritto il CCNL Enti locali, il cui comma 21 era integrato con il comma 4-bis dall’art. 13 del CCNL 5 ottobre 2001 Enti locali, va inteso riferito all’art. 24 del CCNL 5 dicembre 1996 – Comparto dirigenza medica – richiamato in sentenza dalla Corte d’Appello.
Entrambi riconducono la corresponsione dell’indennità di preavviso alla risoluzione del rapporto per essere il lavoratore dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.
Viene contestata la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha affermato che l’indennità di mancato preavviso è un beneficio inderogabilmente e automaticamente spettante al dirigente sulla base dell’art. 39, comma 4, del CCNL 5 dicembre 1996, per il solo fatto della cessazione del rapporto di lavoro per decisione del datore di lavoro, non rilevando che il lavoratore versi in uno stato di inabilità assoluta o relativa.
Tale interpretazione, assume la ricorrente, contrastava con la disciplina delle assenze per malattia contenuta nell’art. 21 del CCNL, come integrato dall’art. 4-bis del CCNL 5 ottobre 2021, secondo il quale “l’indennità sostitutiva del preavviso spetta al dipendete dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro”.
La norma negoziale non fa riferimento al lavoratore che possa svolgere comunque attività lavorative limitate e compatibili con il proprio stato di salute.
La decisione della Corte d’Appello, inoltre, non teneva conto della natura e della funzione dell’istituto del preavviso, che ne escludevano l’applicazione nella fattispecie in esame.
Ed infatti, il lavoratore non era impossibilitato a svolgere qualsiasi mansione, ma solo quelle relative alla funzione di dirigente medico; lo stesso aveva rifiutato il percorso di reinquadramento. Il ricorrente richiama, altresì, gli artt. 34 e 39 del CCNL.
Rileva come il lavoratore non avesse impugnato le ragioni del recesso, su cui si era formato giudicato interno, ma solo la mancata corresponsione dell’indennità di preavviso.
Invece, il riconoscimento della suddetta indennità dovrebbe essere preceduto dall’accertamento della illegittimità del recesso.
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. L’art. 29 del CCNL 5 dicembre 1996, Comparto dirigenza medica, regola il “Passaggio ad altra funzione per inidoneità fisica”.
Il comma 1 stabilisce che “Nei confronti del dirigente di I livello riconosciuto fisicamente inidoneo in via permanente allo svolgimento delle funzioni attribuitegli, l’Azienda o Ente esperisce ogni utile tentativo, compatibilmente con le proprie strutture organizzative, per recuperarlo al servizio attivo”.
I successivi commi 3 e 5 sanciscono rispettivamente: “3. Qualora non si rinvengano incarichi ai quali il dirigente possa essere adibito, lo stesso, a domanda, può essere assegnato ad altro incarico di graduazione inferiore a quello di provenienza, compatibile con lo stato di salute”.
“5. Qualora per i dirigenti di I e II livello non sussistano le condizioni per procedere alla nuova assegnazione prevista dai commi 3 e 4, si fa luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro di cui all’art. 24”.
L’art. 24 del medesimo CCNL disciplina “L’assenza per malattia” e prevede al comma 3, che qualora il dirigente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’azienda o ente può procedere alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dirigente l’indennità sostitutiva del preavviso.
Infine, si ricorda che l’art. 39, prevede al comma 1: “In tutti i casi in cui il presente contratto prevede la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell’indennità sostitutiva dello stesso, i relativi termini sono fissati come segue (…)”, e al comma 4: “La parte che risolve il rapporto di lavoro senza l’osservanza dei termini di cui al comma 1, è tenuta a corrispondere all’altra parte un’indennità pari all’importo della retribuzione spettante per il periodo di mancato preavviso. L’azienda o ente ha diritto di trattenere su quanto dalla stessa eventualmente dovuto al dipendente un importo corrispondente alla retribuzione per il periodo di preavviso da questi non dato”.
1.3. Trovano applicazione i principi già affermati da questa Corte con la sentenza n. 9556 del 2021, che ha esteso al rapporto di impiego pubblico contrattualizzato quanto già statuito rispetto al rapporto di lavoro di diritto privato in relazione all’indennità di preavviso.
In caso di sopravvenuta inidoneità totale del lavoratore subordinato alla prestazione lavorativa, si configura un caso di impossibilità assoluta per il venir meno della causa del contratto, non riconducibile ai casi di sospensione legale previsti dagli artt. 2110 e 2111, cod. civ., con la conseguenza che – al verificarsi di tale impossibilità assoluta e diversamente da quanto avviene per il caso di impossibilità relativa si determina la risoluzione del rapporto, senza necessità che la parte interessata manifesti mediante il negozio di recesso l’assenza di un suo interesse al mantenimento del vincolo giuridico (ormai privo di valore), dovendosi anche escludere, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, che l’autonomia privata possa mantenere ugualmente in vita il rapporto contrattuale (Cass., n. 9556 del 2021, che richiama Cass., n. 16375 del 2002, n. 7531 del 2010).
In sostanza, si è affermato che il fatto che ha dato luogo al recesso non possa integrare gli estremi del giustificato motivo oggettivo, perché l’impossibilità di espletare l’attività lavorativa ha natura “assoluta” e non già “relativa”.
In altri termini, la risoluzione del rapporto consegue al “fatto in sé” dell’inidoneità fisica allo svolgimento del lavoro e quindi non richiede alcuna manifestazione di volontà del datore di lavoro, né tanto meno esige che sia rispettato il termine di preavviso. Lo scioglimento del vincolo negoziale, invero, scaturisce dall’impossibilità definitiva di adempiere la prestazione lavorativa e dalla conseguente impossibilità totale di chiedere la controprestazione. Diversamente, nel caso in cui il prestatore di lavoro si trovi nell’impossibilità fisica di svolgere le mansioni affidategli, il datore di lavoro è pur sempre tenuto a por fine al rapporto manifestando la propria volontà di esercitare il recesso, ed è a tale volontà che è collegato il preavviso.
1.4. Tale ultima evenienza si è verificata nella fattispecie in esame (dove veniva in rilievo la verifica del passaggio ad altra funzione nella medesima area di appartenenza, per inidoneità fisica ex art. 29, comma 1, del CCNL), allorché il dirigente medico non ha accettato il ricollocamento proposto dall’A..
Al diniego ad essere ricollocato, secondo quanto proposto, presso l’Area Chirurgia dell’Ospedale di Civitanova Marche, seguiva da parte dell’A. il recesso dal rapporto di lavoro senza preavviso.
Si è venuta quindi a realizzare non l’ipotesi di cui all’art. 24 del CCNL, che comunque, anche in caso di inidoneità permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, prevede contrattualmente la corresponsione dell’indennità sostitutiva di preavviso, ma quella di cui al combinato disposto dell’art. 39, comma 4 (in relazione all’art. 29, comma 5), che stabilisce, come si è sopra ricordato “Qualora per i dirigenti di I e II livello non sussistano le condizioni per procedere alla nuova assegnazione prevista dai commi 3 e 4, si fa luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro di cui all’art. 24”, che come si è detto prevede il preavviso.
1.5. Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello, ha riconosciuto al lavoratore il diritto alla corresponsione dell’indennità di mancato preavviso.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto error in judicando, art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che il giudice di appello non ha condiviso i motivi di appello del lavoratore, di cui riporta la rubrica, ma aveva accolto l’impugnazione per altre ragioni, incorrendo nel vizio di ultra-petizione.
2.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità, atteso che sono riportate solo le assertive rubriche dei motivi di appello, peraltro non riferiti alla sentenza di primo grado, rispetto ai quali si prospetta nella sostanza una ultra-petizione, e ciò non consente di apprezzare la rilevanza della stessa
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto error in judicando, art. 360, n.3, cod. proc. civ.
La sentenza impugnata violerebbe il principio di ragionevolezza in quanto, mentre da un lato ha ritenuto legittima la proposta di reinquadramento professionale avanzata dall’Azienda, dall’altro non ha tratto le dovute conclusioni in relazione all’indennità di preavviso.
Inoltre, la sentenza di appello pur ritenendo la legittimità dell’operato aziendale condannava la stessa al pagamento delle spese di giudizio di entrambi i gradi di giudizio.
3.1. Il motivo non è fondato.
Il ragionamento decisorio della Corte d’Appello distingue gli istituti contrattuali che vengono in rilievo senza contraddizioni come si evince dall’esame del primo motivo di ricorso.
La condanna alle spese di giudizio del primo e del secondo grado di giudizio consegue al carattere devolutivo dell’appello e al principio della soccombenza, verificatasi nella specie attesa che veniva accolta la domanda di corresponsione dell’indennità di mancato preavviso per il cui riconoscimento il lavoratore aveva agito in giudizio.
4. Il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.