CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 luglio 2022, n. 21787
Licenziamento disciplinare – Agente di Polizia Municipale – Tempestività della contestazione – Accertamento riservato al giudice di merito – Insindacabilità
Fatti di causa
1.La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 5 febbraio 2020, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto l’impugnazione proposta da D.B., agente di Polizia Municipale del Comune di Milano, avverso il licenziamento disciplinare intimatogli in data 22 marzo 2018 per i fatti in relazione ai quali era stato sottoposto a procedimento penale per i reati di cui agli articoli 110, 319, 323, 640 codice penale.
2.Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale respingeva il motivo di appello con il quale il B. lamentava l’intempestività dell’avvio del procedimento disciplinare.
3.Riteneva che il Comune avesse avuto notizia certa e qualificata dei fatti di rilevanza penale addebitati al B. soltanto in data 22 giugno 2012, con la notifica dell’ordinanza di misura interdittiva applicata nell’ambito della vicenda penale ad altra collega del B. e che, pertanto, la contestazione di addebito del 6 luglio 2012 fosse avvenuta nel rispetto dei termini di cui all’articolo 55 bis, comma quattro, D.Lgs. nr. 165/2001.
4. Il giudice dell’appello esponeva che nella precedente data del 7 aprile 2011 il Comune aveva chiesto informazioni alla Procura della Repubblica sulla vicenda penale che vedeva coinvolti, tra gli altri, il B. e che a tale richiesta non era seguita alcuna risposta.
5.Successivamente il Comune di Milano, con lettera del 25 maggio 2012, aveva chiesto nuovamente informazioni a seguito dell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del B.; a tale richiesta la Procura della Repubblica aveva risposto con lettera del 28 maggio 2012, comunicando il numero di iscrizione del procedimento penale e rappresentando che il procedimento era in fase di indagini preliminari e vedeva coinvolti altri agenti, nominativamente indicati.
6.Dunque il Comune aveva avuto conoscenza della specifica condotta materiale posta in essere dal B. soltanto in data 22 giugno 2012; in epoca anteriore, conoscendo esclusivamente il titolo dei reati per cui si procedeva nella sede penale, il Comune avrebbe potuto contestare soltanto la pendenza di un procedimento penale.
7.Il fatto che alle indagini avessero partecipato anche agenti della Polizia Municipale di Milano non significava che l’ufficio per i procedimenti disciplinari ne fosse al corrente; comunque, la notizia non avrebbe avuto quelle caratteristiche di certezza e di provenienza qualificata tali da giustificare l’instaurazione di un procedimento disciplinare.
8.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza D.B., articolato in un unico motivo di censura ed illustrato con memoria, cui il Comune di Milano ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di censura la parte ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’articolo 360 numero 3 cod.proc.civ.- la violazione degli articoli 7 legge nr. 300 del 1970 e 55 bis decreto legislativo nr. 165/2001, censurando la statuizione di tempestività della contestazione disciplinare.
2. Il ricorrente ha assunto essere stata allegata e documentalmente provata la piena conoscenza da parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari della vicenda oggetto di contestazione disciplinare sin dal mese di febbraio 2011 giacché: – egli era stato sottoposto a perquisizione da parte della Procura della Repubblica in data 15 febbraio 2011; – nei giorni 16 e 17 febbraio 2011 il quotidiano «Corriere della Sera» aveva dato ampio risalto ai fatti ed alle persone coinvolte nelle indagini, con esatta descrizione delle condotte a lui addebitate.
Gli articoli di stampa facevano anche riferimento al fatto che l’indagine era stata iniziata e condotta dalla polizia locale e che il comandante aveva dichiarato di voler prendere adeguati provvedimenti; – nello stesso mese di febbraio il comandante della polizia locale, a seguito della perquisizione, lo aveva trasferito ad altro incarico; – in data 7 aprile 2011 il responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari aveva inviato una missiva alla Procura della Repubblica dichiarando di essere venuto a conoscenza che alcuni dipendenti, nominativamente indicati, erano coinvolti in una vicenda penale ed indicando in modo particolareggiato i reati a lui ascritti.
Nella stessa missiva l’ufficio per i procedimenti disciplinari esponeva alla Procura di essere pronto ad adottare i provvedimenti disciplinari.
3.Si assume che la mancata risposta della Procura non avrebbe potuto bloccare le autonome e doverose determinazioni dell’ufficio per i procedimenti disciplinari e si addebita alla Corte territoriale di aver interpretato la missiva del 7 aprile 2011 dell’ufficio per i procedimenti disciplinari in senso contrario alla lettera ed al significato delle parole utilizzate.
4. Il ricorso è inammissibile.
5. La censura – seppure formalmente qualificata in termini di violazione di norme di diritto – nei contenuti non contesta la interpretazione delle norme enunciata nella sentenza impugnata ma l’accertamento, compiuto dal giudice dell’appello, del fatto che l’ufficio per i procedimenti disciplinari era venuto a conoscenza del contenuto delle condotte per le quali si procedeva nella sede penale – e che avevano dato poi luogo alla contestazione disciplinare – soltanto in data 22 giugno 2012.
6.Trattasi dell’accertamento di un fatto storico, riservato al giudice del merito e sindacabile in questa sede di legittimità esclusivamente nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione.
7.Nella specie, l’accertamento conforme del fatto da parte dei due giudici del merito preclude in limine la deduciblità del vizio di motivazione, ex articolo 348 ter, commi quattro e cinque, cod.proc.civ.
8.Il ricorrente chiedendo a questa Corte di accertare, sulla base dei documenti prodotti, che la conoscenza dell’illecito disciplinare da parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari risalirebbe al febbraio 2011, lungi dal denunciare errori di diritto commessi dal giudice dell’appello, devolve al giudice di legittimità un non- consentito riesame del merito.
9. Tale rilievo assorbe l’eccezione di inammissibilità opposta dal Comune di Milano sotto il profilo del giudicato formatosi in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare in forza della sentenza nr. 806/2018 della Corte d’Appello di Milano, resa nel distinto giudizio tra le stesse parti vertente sulla legittimità della sospensione cautelare dal servizio.
10.Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
11. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
Dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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