CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2022, n. 4413
Licenziamento per giusta causa – Rimborso chilometrico per servizi giornalistici esterni – Sospette irregolarità – Lesione del vincolo fiduciario
Fatto
1. Con sentenza del 23 settembre 2019, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo di D.G. avverso la sentenza di primo grado, che (in sede di opposizione della datrice P.E. s.p.a., editrice del quotidiano “Il G.”, contumace nella fase sommaria) revocava l’ordinanza, emessa dallo stesso Tribunale ai sensi dell’art. 1, quarantanovesimo comma l. 92/2012, di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 21 febbraio 2018 al lavoratore dalla società, ritenendone invece la legittimità.
2. In esito ad articolato e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, con particolare riferimento all’indagine investigativa legittimamente disposta dalla datrice (per accertare le sospette irregolarità poi contestate, estranee all’adempimento della prestazione lavorativa di corrispondente per la zona di Legnano e dintorni), confermata dalle testimonianze assunte né efficacemente contraddetta dalle giustificazioni rese a “frazione progressiva” dal lavoratore, la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, riteneva, in totale condivisione del primo giudice, provata la sua richiesta di rimborso chilometrico per servizi giornalistici esterni relativi ai giorni 7, 21 e 22 novembre, senza tuttavia essere mai in tali giorni uscito di casa.
Sicché, essa ribadiva l’idoneità degli addebiti disciplinari a ledere il vincolo fiduciario tra le parti, così da integrare giusta causa del licenziamento intimato.
3. Con atto notificato il 22 novembre 2019, il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, cui la società resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
4. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116, 434 c.p.c., 3, 5 l. 604/1966, 7, 18 l. 300/1970, 1375 c.c. e nullità della sentenza, per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, con particolare valorizzazione dell’indagine investigativa, commissionata a pagamento dalla società datrice e attribuzione di maggiore attendibilità al “teste al quale era stato corrisposto un compenso”, piuttosto che agli “altri testimoni legati al ricorrente da relazioni di quotidianità”, in assenza di un apprezzamento di tutti gli elementi probatori acquisiti nel loro complesso.
2. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116, 434 c.p.c., 3, 5 l. 604/1966, 7, 18 l. 300/1970, 1375, 2119 c.c. e nullità della sentenza, per inesistenza di alcuna indagine sulla volontarietà della condotta del lavoratore, avendo la Corte territoriale ritenuto la responsabilità disciplinare del lavoratore sulla sola “non corrispondenza della nota chilometrica agli accertamenti ispettivi”, trascurando invece la rappresentata scarsa attenzione del medesimo nella richiesta di rimborso delle spese per la sua esiguità, come esemplificato dalle note in altre date, non oggetto di contestazione, ma specificamente indicate nel reclamo e non esaminate.
3. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.
4. Non si configura la violazione di norme di diritto solo in apparenza denunciata, in quanto non integrata dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; posto che, nel caso di specie, si tratta piuttosto di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non rispettati.
4.1. In particolare, è inammissibile la censura dell’art. 116 c.p.c., configurabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento; mentre, ove si deduca che il giudice ha soltanto male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867).
4.2. Non sussiste poi una violazione delle regole sull’onere probatorio, a carico del datore di lavoro, di sussistenza della giusta causa (o del giustificato motivo) di licenziamento (Cass. 16 agosto 2016, n. 17108; Cass. 29 marzo 2018, n. 7830), per avere la Corte accertato la sua ricorrenza, in esito a critica e argomentata valutazione delle prove raccolte (dal primo capoverso di pg. 4 al penultimo di pg. 5 della sentenza).
4.3. È risaputo che al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, siano riservate l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo di attendibilità dei testi e di concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché di quelle ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; sicché, in sede di legittimità, è insindacabile il “peso probatorio” attribuito ad alcune testimonianze rispetto ad altre (Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 8 agosto 2019, n. 21187).
4.4. I mezzi scrutinati si risolvono pertanto in una sostanziale rivisitazione critica della valutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, inammissibile in sede di legittimità (Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).
5. Dalle argomentazioni sopra svolte discende l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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