CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2022, n. 14848
Tributi – IRPEF – Lavoratore dipendente – Assenza di programmi ed obiettivi incentivanti – Risarcimento danni per perdita di chance di accrescimento professionale – Determinazione con riferimento al c.c.n.l. di settore – Esenzione
Fatti di causa
1. I dottori G. O. M., R. D. e V. V. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, indicata in epigrafe, che – nella causa di impugnazione dell’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF, per l’annualità 2010 quale reddito di lavoro dipendente, le somme riconosciute dall’Azienda sanitaria provinciale (“A.S.P.” subentrata alla A.S.L. n. 5) di Crotone ai predetti contribuenti, suoi dipendenti e dirigenti medici, a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione di un accordo transattivo a conclusione di una causa, oggetto della pronuncia del Tribunale di Crotone, che, quale giudice del lavoro, aveva condannato l’Azienda sanitaria a risarcire ai dipendenti il danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 52 del c.c.n.l. (dell’08/06/2000), rimettendone la quantificazione ad un separato giudizio – ha accolto l’appello erariale avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Crotone, che aveva accolto il ricorso cumulativo dei predetti contribuenti.
2. Per la C.T.R., la lite, transatta, tra il contribuente e l’A.S.P., riguardava il risarcimento del danno da “perdita di chance lavorativa” e quindi l’importo ricevuto dall’interessato avrebbe natura economica a sé stante ed autonomamente valutabile, collocandosi nell’area del lucro cessante, e sarebbe stata pertanto correttamente sottoposta a tassazione.
I ricorrenti e la controricorrente hanno presentato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 51, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto, erroneamente, che le somme erogate ai ricorrenti a titolo di perdita di chance costituissero lucro cessante imponibile ai fini fiscali, nella specie a titolo di tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. b), t.u.i.r., perché percepite in anni successivi a quelli di competenza, in base al disposto dell’art. 6, comma 2, t.u.i.r.
1.1. E’ utile premettere sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento:
Il motivo è fondato.
(i) l’art. 6, comma 2, t.u.i.r., (“Classificazione dei redditi.”), quale norma di carattere generale, applicabile a tutte le tipologie di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione, così dispone: «I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti […]»;
(ii) quanto all’esegesi della norma tributaria generale, la Corte ha chiarito che «In tema di imposte sui redditi, in base al dettato dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. Pertanto, l’indennità corrisposta (in sede transattiva) dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche […] spese dal lavoratore oltre l’orario massimo di lavoro da lui esigibile, non è assoggettabile a tributo.» (Cass. 21/06/2002, n. 9111, in connessione con Cass. 28/10/2000, n. 14241; in senso conforme, ex multis, Cass. 21/05/2007, 11682);
(iii) analoghi concetti giuridici sono stati espressi da questa sezione (così Cass. 29/12/2011, n. 29579) che, con specifico riferimento al danno da perdita di chance, prima, ha ribadito che «In tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 […] le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi»; ha quindi aggiunto che «[esse] non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui […] tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa»; ed ha concluso che (come risulta dalla massima ufficiale della sentenza) «non [è] tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente “da perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera»;
(iv) tornando sull’argomento la Corte (cfr. Cass. 07/02/2019, n. 3632, che, in motivazione, menziona anche Cass. n. 29579/2011; in termini, Cass. 12/10/2018, n. 25471) ha recentemente spiegato che «il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale (Cass. n. 11322/2003)», e, su tale base concettuale, addentrandosi nell’esame del motivo di ricorso, ha stabilito che «il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito»;
(v) sulla scia di quest’ultima pronuncia, per Cass. 21/02/2019, n. 5108, sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente). Tali princìpi sono stati enucleati anche dalla sezione lavoro della Corte (Cass. Sez. L, 03/02/2021, n. 2472), che ripropone la medesima distinzione: sono soggette a tassazione, tra le somme percepite dal lavoratore a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi; sono invece fiscalmente esenti le somme liquidate a titolo di danno emergente.
Svolte queste premesse di carattere generale, in relazione al motivo di ricorso dell’ufficio finanziario, dagli atti di causa risulta che la ripresa tributaria è correlata al contenzioso promosso davanti al giudice del lavoro da numerosi dirigenti a tempo indeterminato, dipendenti dall’(ex) A.S.L. di Crotone (tra i quali i ricorrenti), appartenenti ai ruoli “Medico e Veterinario”, per l’accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’Azienda sanitaria rispetto all’intero meccanismo della “retribuzione di risultato”, prescritto dall’art. 52 del c.c.n.l. dell’08/06/2000 della dirigenza sanitaria, nonché al fine di ottenere il relativo risarcimento del danno. In breve, i dirigenti lamentavano la mancata attivazione del sistema prescritto dalla contrattazione collettiva, che avrebbe consentito la corresponsione di cd. “compensi incentivanti” in base ai risultati raggiunti in relazione a programmi predeterminati. Al riguardo, il giudice del lavoro (in alcune pronunce coperte da giudicato) ha dichiarato l’inadempimento contrattuale dell’A.S.L., ha riconosciuto il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno patito per effetto dell’inadempimento dell’ente, e, per quanto adesso rileva, ha precisato che ” il danno deve ravvisarsi sia sotto il profilo della lesione alla professionalità, essendo evidente che l’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti comporti una perdita di chance di accrescimento professionale, sia sotto il profilo della perdita di chance relativa ad una componente, di natura accessoria, di retribuzione”, demandandone la quantificazione a un separato giudizio.
1.2. Sulla questione è utile ricordare Cass., Sez. L. , 31/01/2018, n. 2462, la quale ha chiarito che, in materia di trattamento retributivo dei dirigenti: (a) la qualifica dirigenziale fonda la retribuzione base; (b) il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione fonda la cd. retribuzione di posizione; (c) l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione fonda la cd. retribuzione di risultato. La retribuzione di risultato non è una voce automatica, ma è soggetta, per ciascun dirigente, a determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, di cui al contratto collettivo. Nella specie, il Tribunale di Crotone ha accertato l’omessa attivazione di obiettivi/percorsi professionali e di consequenziali valutazioni dei risultati. Dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche. Si realizza, a ben vedere, una situazione affine a quella del demansionamento (sul punto cfr. Agenzia delle entrate, risposta ad interpello n. 185 dell’8 aprile 2022) o della precarizzazione (Cass., Sez. U.,15/03/2016, n. 5072), là dove l’attribuzione nummaria non è meramente sostitutiva della retribuzione, ma anzitutto ristora la lesione della capacità professionale del lavoratore. All’interno di questo perimetro giuridico, nel caso concreto, le parti hanno negoziato per transigere la vertenza in atto, donde la natura risarcitoria della somma attribuita (cfr. punto 2 dell’atto di transazione) «per mancato accesso dei ricorrenti all’istituto della retribuzione di risultato a causa della omessa attivazione da parte dell’azienda di tale istituto», che è poi la res litigiosa transatta, che il fisco ha inteso sottoporre a tassazione.
Pertanto, come argomentato anche dal Procuratore Generale, nel caso di specie, il Tribunale del lavoro aveva qualificato il danno patito dagli esponenti come conseguenza di una lesione della professionalità, comportante una perdita di chance di accrescimento professionale.
Il danno non consisteva, quindi, nell’ immediata perdita di reddito, ma nella perdita della possibilità di conseguire quella maggiore qualificazione professionale, alla quale poi sarebbe conseguita anche una maggiore potenzialità reddituale.
Il danno immediato e diretto dunque, colpiva la posizione professionale dei ricorrenti; mentre la futura minore percezione di reddito ne costituiva solo una ricaduta ulteriore.
La C.T.R., nonostante la qualificazione corretta dell’importo in questione in termini di perdita di chance, e quindi di danno emergente, lo ha poi erroneamente trasposto nella categoria del lucro cessante, facendone derivare l’imponibilità.
Invero, come correttamente rilevato già dalla sentenza di primo grado (trascritta nel controricorso erariale), la posta risarcitoria in questione non costituisce ristoro della immediata mancata percezione di redditi, ma riparazione di un pregiudizio consistente nella perdita di chance professionali, senza che tale natura del danno sia condizionata dal meccanismo lato sensu risarcitorio concretamente utilizzato per la liquidazione del pregiudizio, sicché non assume rilievo il richiamo all’art. 52 del c.c.n.l. ai fini della determinazione del quantum debeatur.
1.3. La soluzione prospettata dai ricorrenti collima con una recente decisione sezionale (cfr. Cass. Sez. 6-5, 11/02/2022, n. 4488) che, nel dirimere una lite del ridetto vasto contenzioso, ha disatteso il ricorso del fisco avverso la sentenza della C.T.R. della Calabria, di accoglimento dell’appello del contribuente. Quest’ultimo, condivisibile, arresto nomofilattico va consolidato alla stregua del principio di diritto secondo il quale: «In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto».
In conclusione, il motivo deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, vanno accolti i ricorsi introduttivi dei contribuenti.
2. Restano assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso il secondo (violazione o falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000 e degli artt. 7 ed 8 della legge n. 241 del 1990, in materia di contraddittorio endoprocedimentale) ed il terzo ( violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., per avere la CTR ritenuto, erroneamente, che le somme erogate ai ricorrenti costituissero lucro cessante, imponibile ai fini fiscali, senza che l’Amministrazione avesse fornito prova della quantificazione degli importi ripresi a tassazione).
3. Le spese dei giudizi di merito si compensano e quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi dei contribuenti, compensando le spese dei giudizi di merito e condannando la controricorrente al pagamento ai ricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.300,00 a titolo di compenso, euro 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento, sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge. Spese distratte a favore dell’avvocato S.C. dichiaratosi antistatario.