CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 luglio 2018, n. 19090
Società cooperativa – Delibera di esclusione della socia lavoratrice – Ragioni – Svolgimento di attività in concorrenza con la cooperativa
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2856 pubblicata il 9.5.2014, ha respinto l’appello principale proposto dalla socia lavoratrice confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 2533 c.c., l’opposizione alla delibera di esclusione dalla società cooperativa; ha respinto l’appello incidentale con cui la società cooperativa aveva censurato l’omesso mutamento del rito, da quello speciale di lavoro a quello ordinario.
2. La Corte territoriale, premesso che la società cooperativa gestisce asili nido in convenzione con il comune di Roma, ha dato atto di come la delibera di esclusione della socia lavoratrice fosse stata adottata il 4.5.2010 e comunicata alla stessa il 6.5.2010; che tale delibera conteneva l’indicazione delle ragioni dell’esclusione attraverso il richiamo all’art. 16, comma e) dello Statuto societario, sottoscritto dalla socia lavoratrice; che l’art. 16, comma e) cit. prevede quale causa di esclusione lo svolgimento di attività in concorrenza con la cooperativa; che con precedente lettera del 9.4.2010 era stato contestato alla lavoratrice lo svolgimento di altra attività, quale funzionario educativo presso un altro Asilo nido convenzionato con il comune di Roma. Ha quindi ritenuto che sin dalla comunicazione della delibera di esclusione la lavoratrice fosse in condizione di conoscere le ragioni dell’esclusione medesima e che pertanto l’opposizione proposta con ricorso dell’11.10.2010 dovesse considerarsi tardiva.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso la società cooperativa.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso la socia lavoratrice ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2533, comma 3, c.c., in relazione all’art. 5, comma 2, L. n. 142 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
2. Richiamate precedenti pronunce di legittimità (Cass. n. 11558 del 2008; Cass. n. 14143 del 2012), ha sostenuto come la comunicazione al socio della delibera di esclusione svolga la funzione di informarlo delle ragioni ritenute in concreto, dall’organo deliberante, giustificative dell’esclusione e come la sua incompletezza, pur non determinando l’invalidità dell’atto, incida sulla decorrenza del termine per l’opposizione, senza che assuma rilievo la conoscenza da parte del socio degli addebiti contestatigli nel corso del procedimento.
3. Ha argomentato come gli addebiti di cui alla lettera di contestazione del 9.4.2010 fossero stati mossi nell’ambito di un procedimento disciplinare poi non coltivato dalla società, non attenessero al procedimento di esclusione dalla compagine sociale e non fossero neanche richiamati nella delibera di esclusione comunicatale il 6.5.2010.
4. Ha sottolineato come le ragioni in concreto ritenute, dall’organo deliberante, giustificative dell’esclusione fossero state esplicitate dalla società, a seguito di apposita richiesta della socia lavoratrice del 26.7.2010, solo con la lettera di specificazione dei motivi del 10.8.2010, comunicata il 13.8.2010, con conseguente tempestività dell’opposizione proposta con ricorso depositato il 10.11.2010.
5. Ha ribadito come una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2533, comma 3, c.c., capace di garantire una adeguata tutela del diritto di difesa del socio lavoratore avverso la delibera di esclusione, che comporta anche la perdita del posto di lavoro, richieda che la comunicazione delle ragioni di esclusione sia fatta in modo chiaro e specifico.
6. Ha prospettato dubbi di legittimità costituzionale per il diverso trattamento riservato al socio lavoratore, costretto ad opporsi alla delibera di esclusione, che comporta la perdita del posto di lavoro, con ricorso giudiziale nel termine di decadenza di sessanta giorni, rispetto al lavoratore subordinato non socio che deve impugnare nei sessanta giorni il licenziamento in via stragiudiziale, e ha poi un termine di decadenza di 180 giorni per il deposito del ricorso.
7. Il ricorso non può trovare accoglimento.
8. Sulle formalità di comunicazione al socio della sua esclusione, questa Corte ha più volte statuito che “nelle società cooperative la comunicazione della deliberazione di esclusione del socio prevista dall’art. 2527 c.c. (n.d.r., ora art. 2533 c.c.), ai fini del decorso del termine di trenta giorni per proporre opposizione, non richiede l’adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione, né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento per porlo, conseguendosi in tal modo la finalità prevista dalla legge, nelle condizioni di articolare le proprie difese”; (Cass. n. 11402 del 2004; Cass. n. 8984 del 1999).
9. Si è inoltre precisato come sul requisito di specificità delle ragioni di esclusione dalla compagine sociale, nel rapporto di lavoro del socio di cooperativa, possano valere i principi giurisprudenziali dettati in materia di licenziamento, (Cass. n. 6373 del 2016).
10. A proposito dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, si è più volte statuito (cfr. Cass. n. 9615 del 2015; Cass. n. 10662 del 2014; Cass. n. 16584 del 2004; Cass. n. 1562 del 2003), che la previa contestazione dell’addebito, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c..
11. Si è anche affermato come l’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisca oggetto di indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito, (Cass. n. 9615 del 2015; Cass. n. 10662 del 2014; Cass. n. 16584 del 2004; Cass. n. 1562 del 2003).
12. Sempre in riferimento alla contestazione, questa Corte ha sostenuto come, in tema di sanzioni disciplinari, l’esigenza di specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta ed astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa, sicché ne consegue che la preesistenza del rapporto tra le parti e la sola incidenza di quell’interesse possono circoscrivere le necessità descrittive dell’atto di incolpazione, contribuendo i suddetti elementi a definire la portata del requisito della specificità (cfr. Cass. n. 8853 del 2002).
13. Nel caso di specie, la Corte territoriale, con una motivazione congrua e logica, pertanto non suscettibile di alcuna censura in questa sede di legittimità, ha osservato come la delibera di esclusione facesse esplicito riferimento ad una specifica disposizione dello Statuto societario, conosciuto dalla socia lavoratrice e da questa sottoscritto, cioè l’art. 16, comma e), che contempla unicamente la condotta di svolgimento di attività in concorrenza con la cooperativa.
14. Ha sottolineato come lo svolgimento di attività in concorrenza con la cooperativa fosse già stato contestato alla dipendente con la lettera del 9.4.2010 nell’ambito dell’iniziale procedimento disciplinare, e come pertanto la lavoratrice, all’atto di ricezione della delibera di esclusione, fosse in grado di comprendere esattamente le ragioni della esclusione dalla compagine sociale e di predisporre la difesa.
15. A conclusioni diverse non può condurre l’esame dei precedenti invocati nel ricorso in esame. In particolare, la sentenza n. 14143 del 2012 è relativa ad una fattispecie in cui era del tutto mancata la comunicazione della delibera di esclusione ed ha correttamente statuito l’irrilevanza, nella situazione suddetta, della mera conoscenza che di fatto il socio avesse della delibera stessa prima della sua comunicazione.
16. Non sovrapponibile al caso in esame e quindi non pertinente è la sentenza n. 11558 del 2008, che puntualizza “la differenza tra addebiti contestati nel procedimento volto alla declaratoria dell’esclusione e addebiti posti, all’esito del procedimento, a base dell’esclusione come deliberata dal competente organo societario”. In tale pronuncia si dà atto di come non vi sia necessaria coincidenza tra gli addebiti contestati nel procedimento volto alla esclusione del socio e quelli posti a base della delibera di esclusione “ben potendo accadere che gli iniziali addebiti siano ridimensionati o riconfigurati nella decisione finale, ovvero che quest’ultima, in caso di pluralità di addebiti, si basi su taluno soltanto di essi” e si sostiene: “perché il socio escluso possa tempestivamente allestire la propria difesa (questa essendo, pacificamente, la funzione della comunicazione di cui trattasi: cfr., ex multis, Cass. 11402/2004, 4126/1999, 9577/1993) è dunque necessario che sia informato non tanto di ciò di cui si è discusso nel corso del procedimento, bensì delle ragioni in concreto ritenute, alla fine, giustificative dell’esclusione dall’organo deliberante, dato che su di esse – e soltanto su di esse – dovrà articolare le sue difese”.
17. Nella fattispecie oggetto del ricorso in esame, non si pone un problema di pluralità di addebiti mossi alla lavoratrice e poi ridimensionati nella decisione finale di esclusione. Difatti, alla socia lavoratrice risulta mosso un unico e specifico addebito, identico sia nella sede disciplinare e sia a fondamento della esclusione dalla compagine sociale. L’unicità della condotta addebitata esclude che possa esservi spazio per qualche forma di confusione o incertezza per la lavoratrice nella individuazione delle ragioni poste a base dell’esclusione e quindi difficoltà nella predisposizione della corretta e tempestiva difesa.
18. I profili di illegittimità costituzionale, peraltro genericamente prospettati, paiono privi del requisito di non manifesta infondatezza, anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 27436 del 2017), che ha affermato la persistenza della tutela risarcitoria in ipotesi di impugnazione dell’atto di recesso, non inibita dalla mancata opposizione alla delibera di esclusione.
19. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
20. La ricorrente è tenuta al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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