CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 marzo 2018, n. 6994
Procedimento disciplinare – Creazione artificiosa di una posizione contributiva in favore di un terzo – Regolamento di disciplina INPS
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 482 del 2016 ha accolto il reclamo principale proposto dall’INPS e ha rigettato quello incidentale proposto da M.S. avverso la sentenza del Tribunale resa tra le parti in sede di opposizione, dichiarando la legittimità del licenziamento irrogato a quest’ultimo con provvedimento del 30 luglio 2014, con effetto dall’8 giugno 2006 e con esclusione di qualsiasi integrazione del trattamento economico erogato durante il periodo di sospensione obbligatoria dal servizio.
Come si rileva dalla sentenza di appello (con dati pacifici come espone il ricorrente a pag. 8 del ricorso), in data 9 gennaio 2004 veniva instaurato e contemporaneamente sospeso il procedimento disciplinare per il fatto oggetto di procedimento penale, consistente in sintesi nella creazione artificiosa di una posizione contributiva in favore di un terzo.
In data 27 febbraio 2014 diveniva irrevocabile la sentenza penale di condanna.
In data 14 maggio 2014, il procedimento disciplinare instaurato il 9 gennaio 2004 veniva riassunto.
Il M. veniva convocato per l’audizione il giorno 16 giugno 2014.
In data 13 giugno 2014 il M. inviava le proprie giustificazioni scritte a mezzo fax; non chiedeva né un rinvio dell’audizione, né di essere sentito anche oralmente e personalmente nel contempo rilasciando all’avvocato procura a rappresentarlo e difenderlo ai fini del procedimento disciplinare.
In data 30 luglio 2014 il M. veniva licenziato senza preavviso, con effetto retroattivo dall’8 giugno 2006 (sospensione cautelare dal servizio).
2. Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello ricorre il M., prospettando 4 motivi di ricorso.
3. Resiste con controricorso e ricorso incidentale articolato in un motivo l’INPS.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 4 del Regolamento di disciplina INPS del 2003, 55, 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, 11 delle preleggi, 1339, 1419 cod. civ., 24 e 111 Cost., 6 della CEDU e, per quanto di ragione, agli artt. 4 delle preleggi, 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, 5, della legge n. 2248, all. E, abolitrice del contenzioso amministrativo, e all’art. 653 cod. proc. civ.
È censurato la statuizione che ha escluso la lesione del diritto di difesa del lavoratore in quanto l’avvocato che aveva presenziato alla convocazione in assenza del lavoratore non era stato ammesso alla discussione.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge con riferimento (sotto altro profilo) all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 55 e 55-bis e agli artt. 1339 e 1419 cod. civ., agli artt. 11 e – per quanto di ragione – 4 delle preleggi, 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, e 5 della LAC.
Il ricorrente censura la sentenza per non aver tenuto conto della specifica ed inderogabile competenza dell’Ufficio procedimenti disciplinari ad irrogare la sanzione, in particolare, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il M. deduce che erroneamente la Corte d’Appello ha rigettato la censura con cui aveva dedotto la illegittimità del licenziamento per essere stata assunta la decisione dal Direttore centrale risorse umane, affermando che ciò trovava fondamento nel Regolamento di disciplina del 2003.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge in riferimento, sotto ulteriore profilo, all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 55, 55-bis e ter, del d.lgs. n. 165 del 2001 e agli artt. 1339 e 1419 cod. civ., agli artt. 11 e – per quanto di ragione – 4 delle preleggi, 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, e 5 della LAC, anche in relazione all’art. 653 cod. proc. pen.
Assume il ricorrente la intervenuta decadenza dall’azione disciplinare in ragione dell’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui la decorrenza del termine di 120 giorni è fissata alla data di prima acquisizione della notizia di infrazione,
Ed infatti, come afferma la stessa sentenza l’Amministrazione aveva notizia del passaggio in giudicato della sentenza penale il 25 marzo 2014 e il provvedimento di recesso era del 30 luglio 2014, dunque oltre il termine di 120 giorni, non potendosi fare riferimento, come aveva fatto la Corte d’Appello, al termine di 180 giorni di cui al Regolamento INPS. Né poteva ritenersi corretta l’applicazione dell’art. 55-ter effettuato dal giudice di secondo grado.
4. Con il quarto motivo di ricorso è prospettata la violazione di legge con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione, sotto ulteriore profilo, agli artt. 653 cod. proc. civ. 3, comma 1, 4, comma 1, e 8 comma 13 del Regolamento di disciplina INPS del 2003, 4 della legge n. 91 del 2001, e 55, 55-bis e ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, 1339 e 1419 cod. civ. e agli artt. 11 e – per quanto di ragione – 4 delle preleggi, 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, e 5 della LAC.
Assume il ricorrente che, erroneamente, il dispositivo della sentenza impugnata fa decorrere il licenziamento dall’8 giugno 2006, allorchè interveniva la sospensione cautelare.
Assume il ricorrente che in ragione della novella di cui alla legge n. 150 del 2009 relativa al procedimento disciplinare non può trovare applicazione il Regolamento INPS che la Corte d’Appello ha posto a fondamento della decorrenza della sanzione espulsiva.
5. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
5.1. Va rilevato che, ratione temporis, non trova applicazione nella specie la novellazione della disciplina del procedimento disciplinare per il pubblico impiego privatizzato di cui alla legge n. 150 del 2009.
In proposito, questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 22358 del 2017, la cui motivazione si richiama ai sensi dell’art. 118 delle disp. att. cod. proc. civ.
La suddetta pronuncia ha, infatti, affermato che la nuova disciplina procedurale si applica a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali gli organi dell’amministrazione, ai quali è demandata la competenza a promuovere l’azione disciplinare acquisiscono la notizia dell’infrazione dopo il 16 novembre 2009, data di entrata in vigore della riforma.
Dunque sono infondati i motivi di ricorso che prospettano l’applicabilità alla fattispecie in esame degli artt. 55, 55-bis, 55-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, come novellati ed introdotti dalla legge n. 150 del 2009.
Il procedimento disciplinare a carico del ricorrente aperto e sospeso nel 2006 non può ritenersi disciplinato dalle “nuove” regole introdotte dall’art. 55 – ter, ma resta assoggettato alla normativa vigente al tempo in cui esso era stato aperto (gennaio 2004), in virtù del principio per il quale, in difetto di disciplina transitoria, i procedimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono posti in essere (Cass., n. 209 del 2017, n. 11627 del 2016, n. 11985 del 2016).
Disciplina che nella fattispecie in esame va individuata nel Regolamento INPS.
5.2. Tanto premesso va rilevato che l’art. 3 del Regolamento di disciplina INPS del 2003, applicabile ratione temporis, prevede l’audizione del lavoratore a propria difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui egli aderisca o conferisca mandato.
Dunque, non è ravvisabile il vizio dedotto dal ricorrente richiamando l’art. 55-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, atteso che nel Regolamento INPS è prevista l’audizione del lavoratore di persona, con l’eventuale assistenza, ma non la sostituzione, da parte di un procuratore o di un rappresentate sindacale cui aderisca o conferisca mandato.
Si può, altresì, ricordare che questa Corte ha già ritenuto funzionale a garantire il diritto di difesa l’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che dispone che – nel corso del procedimento disciplinare – il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato ma non menziona la possibile presenza di un avvocato, dal che ne discende che, senza il consenso del datore di lavoro, il professionista in esame non può affiancare il lavoratore.
Questa Corte, infatti, con la pronuncia n. 9305 del 2017, ha affermato che «(…) nel sistema delineato dall’art. 7, legge n. 300 del 1970, il diritto del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale esaurisce la tutela di legge, non essendovi in esso alcun riferimento alla difesa c.d. “tecnica” assicurata da un avvocato, che è normalmente prevista solo per il giudizio e che può essere riconosciuta o meno al di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del datore, né ha alcun rilievo la circostanza che il lavoratore, per gli stessi fatti oggetto dell’iniziativa disciplinare sia chiamato a rispondere nell’ambito di un processo penale considerata la diversità della sfera di interessi, privati e pubblici, su cui incidono i due procedimenti, sicché correttamente la Corte territoriale ha ritenuto legittimo, a fronte del rifiuto del ricorrente di procedere secondo le modalità ordinarie, il superamento da parte della Società di quella fase della procedura».
6. Per quanto attiene al termine di riattivazione del procedimento a carico del dipendente – procedimento aperto e sospeso nel 2004 – lo stesso, in coerenza con i principi della sentenza di questa Corte n. 12358 del 2017, non può ritenersi disciplinato dalle nuove regole ex lege n. 150 del 2009, trovando applicazione in proposito il Regolamento di disciplina dell’INPS del 2003, che all’art. 6 prevede per la riattivazione il termine di 180 giorni da quando l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva.
7. Correttamente, quindi, la Corte d’Appello ha ritenuto l’attribuzione, da parte del Regolamento di disciplina INPS del 2003 (artt. 2, comma 11, e 5, comma 2), al Direttore dell’area responsabilità disciplinare della contestazione e dell’istruzione, e al Direttore centrale risorse umane dell’irrogazione del licenziamento con o senza preavviso.
Né è contestata l’affermazione della Corte d’Appello che l’Area responsabilità disciplinare era sin dall’inizio del procedimento (gennaio 2004) inquadrata nella direzione generale risorse umane, il cui direttore era superiore gerarchico del Dirigente dell’Area responsabilità disciplinare.
Il Direttore centrale risorse umane, dunque, costituiva soggetto competente a sottoscrivere il provvedimento espulsivo, come previsto dal regolamento di disciplina.
Peraltro, con riguardo all’adozione del provvedimento disciplinare si rileva che la giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 22487 del 2017) ha statuito che nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, non postula l’istituzione “ex novo” dell’ufficio competente, né una sua individuazione espressa, essendo sufficiente, ai fini della legittimità della sanzione, che all’organo che l’ha irrogata sia stata attribuita, in modo univoco e chiaro, la potestà di gestione del personale.
8. Infine, si rileva che proprio il Regolamento di disciplina INPS del 2003, all’art. 8, comma 13, prevede che quando in ragione della definizione del procedimento penale, il procedimento disciplinare venga riassunto e si concluda con l’inflizione della sanzione del licenziamento, la sanzione espulsiva produce i suoi effetti sin dalla data di adozione della sospensione cautelare dal servizio; ciò anche nel caso in cui sia intervenuta nel frattempo riammissione in servizio per decorrenza del quinquennio di efficacia della sospensione cautelare. Dunque, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto legittima l’irrogazione del licenziamento con effetto dall’8 giugno 2006.
9. Il ricorso deve essere rigettato.
10. Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’INPS, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 429 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., contrasto tra motivazione e dispositivo di sentenza chiede di chiarire che in ragione della legittimità del licenziamento non è dovuta alcuna indennità al lavoratore.
11. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, atteso che la dichiarata legittimità del licenziamento irrogato senza preavviso esclude la condanna al pagamento di indennità, che ha come presupposto logico giuridico la illegittimità del recesso.
12. La Corte rigetta il ricorso principale. Inammissibile il ricorso incidentale.
13. In ragione della reciproca soccombenza, le spese di giudizio sono compensate tra le parti.
14. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
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