CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 aprile 2018, n. 10283
Lavoro – Astensione obbligatoria – Parto fortemente prematuro – Spostamento della fruizione del congedo
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 966 del 2012, accogliendo l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di E. T. tesa al riconoscimento del diritto a fruire del congedo obbligatorio pre e post partum, oltre che nei cinque mesi di legge terminati il 3 aprile 2009, anche nei 98 giorni in cui il figlio (nato prematuro in data 3 novembre 2008) era rimasto ricoverato in ospedale, con la condanna dell’INPS al pagamento delle relative somme.
2. La Corte territoriale ha affermato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 116 del 2011 – intervenuta nelle more del giudizio – ha riconosciuto la legittimità dello spostamento della fruizione del congedo, successivamente all’ingresso in famiglia del piccolo nato prematuro e sottoposto a cure presso strutture sanitarie, alla condizione, non avvenuta nel caso di specie, che la madre riprenda subito il lavoro o, comunque, dimostri di essere in grado di farlo. Inoltre, seppure la Corte Costituzionale nella citata sentenza abbia riconosciuto l’esistenza, all’interno delle tutele presidiate dall’art. 16 del d.lgs. 151 del 2001, di un autonomo profilo di protezione delle esigenze di tipo relazionale ed affettivo legate all’ingresso del neonato in famiglia, ulteriori rispetto al profilo sanitario relativo alla salute della madre, in nessun modo sarebbe possibile superare la durata di cinque mesi dell’intero periodo di congedo obbligatorio.
3. Avverso tale sentenza E. T. ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo illustrato da memoria. L’INPS resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto da individuarsi nel combinato disposto dell’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001 e degli artt. 3, secondo comma, 4, 31, 32 e 37, nonché delle fonti normative comunitarie ed internazionali dirette ad una incisiva tutela degli interessi sia delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (Direttiva del Consiglio europeo 19 ottobre n. 92785, recepita con decreto n. 645 del 1996) che del figlio (Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991).
Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata abbia violato l’obbligo di interpretazione conforme alla Costituzione ed al diritto comunitario di cui all’ordinanza n. 57 del 2006 della Corte Costituzionale che ha accreditato l’obbligo di matrice sovranazionale di adottare un procedimento ermeneutico definito della cd. doppia conformità, rispettoso non solo delle norme costituzionali ma anche del diritto europeo immesso nella circolazione giuridica, anche se si tratta di direttive non scadute e comunque non trasposte. Da tale premessa, dunque, la sentenza avrebbe dovuto procedere per riconoscere il diritto rivendicato, considerando che la sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 2011, originata da una fattispecie in cui la lavoratrice dopo il parto era stata in grado di riprendere il lavoro, non poteva implicare il disconoscimento del diritto della madre a fruire integralmente del periodo di tre mesi di astensione obbligatoria post partum a decorrere dalle dimissioni dall’ospedale del figlio nato prematuro, né poteva, a tal fine, essere sacrificato il diritto della madre a riprendersi pienamente dopo il parto prematuro o pretendere dalla stessa il rispetto di oneri imposti sulla base di una pronuncia della Corte Costituzionale intervenuta dopo i fatti di causa.
2. Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., la ricorrente ha illustrato le ragioni espresse in ricorso alla luce delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. n. 80 del 2015, artt. 2, 3 e 4, di modifica del d.lgs. n. 151 del 2001, artt. 16, 24 e 26. Ha sottolineato che tale intervento normativo non ha eliminato il vuoto di tutela per il caso in cui la lavoratrice non sia in grado di riprendere il lavoro nel corso del ricovero ospedaliero del figlio nato prematuro, dunque, l’unica possibilità interpretativa rispettosa della Costituzione e del diritto comunitario rimarrebbe la estrapolazione la ratio decidendi suggerita dalla parte in conformità con le sentenze della Corte Costituzionale nn. 270 del 1999 e 116 del 2011, additiva di regole, richiamate dalla stessa Corte territoriale.
3. L’INPS ha resistito al ricorso ribadendo che ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, emanato a seguito di Corte Cost. n. 270 del 1999, nonché della successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 2011, deve ritenersi non sussistente il diritto della lavoratrice madre di fruire di un ulteriore periodo di astensione obbligatoria post partum, successivo a quello di tre mesi già fruito, decorrente dal momento in cui il bambino nato prematuro fa ingresso in famiglia.
4. Il motivo prospettato dalla ricorrente è infondato.
E’ incontestato che: la ricorrente ha partorito prematuramente il 3.11.2008, mentre la data presunta del parto era quella del 18 febbraio 2009; l’astensione dal lavoro è iniziata il 27 giugno 2008 ed il piccolo è stato dimesso dall’ospedale solo l’11 febbraio 2009.
Così, la ricorrente pur avendo fruito, dopo la nascita del figlio, sia dei due mesi di astensione obbligatoria precedente al parto, non fruiti a causa dell’anticipazione del parto stesso (art. 16 lett. d) d.lgs. 151 del 2001), che dei tre mesi successivi a tale evento, con scadenza il 3 aprile 2009, non ha potuto trascorrere con il figlio – dopo le dimissioni dall’ospedale – l’intero periodo di tre mesi previsto dalla legge a titolo di astensione post partum.
5. A fronte del succedersi di tali accadimenti, la ricorrente ha chiesto, in data 5 febbraio 2010, la condanna dell’INPS al pagamento dell’indennità di maternità per il periodo di astensione obbligatoria decorrente dalla data di dimissioni del figlio dall’ospedale (4 aprile 2009) alla data del 6 ottobre 2009, in cui era cessato il periodo di astensione facoltativa.
6. La questione oggetto di giudizio consiste, dunque, nel verificare se il sistema delle misure a sostegno della genitorialità includa il diritto della madre, in ipotesi di parto fortemente prematuro seguito da ricovero del neonato per tempi considerevoli, all’accertamento ora per allora della violazione, per i soli contenuti economici della prestazione, di un diritto al collocamento in congedo obbligatorio post partum per la durata di tre mesi, con decorrenza dalla data delle dimissioni del bambino anche se tale congedo sia già stato fruito.
7. In particolare, la tesi sostenuta dalla ricorrente è nel senso che, dando per certo che l’art. 16, lett. d) del d.lgs. n. 151 del 2001, pur dopo la sentenza n. 116 del 2011 e la modifica introdotta dal d.lgs. n. 80 del 2015, non abbia regolato l’ipotesi in cui la madre non si trovi nelle condizioni di salute idonee alla ripresa dell’attività lavorativa ed il figlio sia ancora ricoverato dopo la nascita, restando formalmente scoperta dalla protezione di legge la posizione della madre stessa e del neonato prematuro, la stessa va tutelata attraverso il riconoscimento del diritto all’allargamento del periodo complessivo di astensione obbligatoria accedendo ad una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata dello stesso art. 16, lett. d), d.lgs. n. 151 del 2001, ispirata dalla ratio decidendi di Corte Cost. 116 del 2011.
8. Si deduce, in sostanza, la necessità di ammettere l’allargamento del periodo di cinque mesi del congedo obbligatorio, aggiungendo a tale periodo i tre mesi successivi all’ingresso del bambino in famiglia, facendo leva sulla necessità di fornire tutela al diritto a porre subito una stretta relazione umana ed affettiva tra madre e figlio in un ambito fortemente protetto a livello costituzionale e sovranazionale, altrimenti vulnerabile.
9. Osserva questa Corte che già alla data di proposizione del ricorso, la ricorrente non solo aveva fruito per intero del periodo di cinque mesi complessivi di congedo obbligatorio pre e post partum, ma era anche trascorso oltre un anno dalla data delle dimissioni ospedaliere del piccolo, per cui era – in fatto- definitivamente perduta la concreta possibilità di realizzare attraverso la fruizione del congedo obbligatorio l’intensa relazione umana ed affettiva, intrinseca alla ratio del congedo medesimo, nei tre mesi successivi all’ingresso in famiglia del bambino.
10. La domanda, dunque, è nata già necessariamente limitata al profilo meramente economico della corresponsione dell’indennità di maternità per un periodo corrispondente a quello dell’astensione obbligatoria. Nonostante tale peculiarità della concreta fattispecie fatta valere in giudizio, la pretesa deve ritenersi ammissibile in quanto destinata, anche se ridotta alla sola portata economica, a soddisfare astrattamente diritti garantiti dall’ordinamento anche sotto tale profilo, essendo da condividere l’opinione secondo cui le prestazioni di natura pecuniaria connesse alla maternità assumono il significato e svolgono la funzione di un sostegno al reddito, con il fine, non solo di compensare la mancata percezione del reddito lavorativo nell’ultimo periodo della gravidanza e nei primi mesi dal parto, ma anche di garantire la funzione della famiglia evitando che la maternità determini bisogno economico, secondo le indicazioni degli artt. 31 e 37 della Cost.
11. Le ragioni del diniego della prestazione esposte nella sentenza impugnata, che vanno confermate, attengono, peraltro, al diverso profilo dei limiti della flessibilità riconosciuta dall’ordinamento nella fruizione del congedo obbligatorio in ipotesi di parto prematuro ed alla concreta possibilità di ampliamento del termine di cinque mesi fissato daH’art. 16 del d.lgs. 151 del 2001 in ragione della necessità di garantire tutela non più alla sola salute della madre, ma al diritto della stessa e del figlio a costituire e rafforzare una stretta relazione personale ed affettiva.
12. In particolare, l’art. 16 d. lg. n. 151 del 2001, vieta di adibire le donne al lavoro: 1) durante i due mesi precedenti e i tre mesi successivi alla data presunta del parto (salvo l’esercizio della facoltà di modificare la collocazione temporale della sospensione della prestazione, riconosciuta dall’art. 20 d. lg. n. 151, cit.); 2) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; 3) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui sopra superi il limite complessivo di cinque mesi.
13. La Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, alla madre lavoratrice di fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare e così il legislatore del 2015 ha introdotto l’art. 16-bis d. Ig. n. 151, cit., il quale prevede che, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità per i tre (o quattro) mesi successivi alla data presunta del parto e per i giorni non goduti prima dello stesso, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta e, dunque, di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino. Il diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa.
14. Questo può dirsi l’esito del percorso svolto dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza additiva di principio n. 270 del 1999 che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’allora vigente art. 4, comma 1, lett. c, I. 30 dicembre 1971, n. 1204 «nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare un’adeguata tutela della madre e del bambino», prospettando al legislatore o di agganciare il dies a quo per la decorrenza del periodo di astensione obbligatoria post partum all’ingresso del neonato nella casa familiare ovvero alla data presunta del parto.
15. Questa seconda opzione è stata recepita nella I. n. 53 del 2000, poi confluita nel d.lgs. n. 151 del 2001 laddove si prevede, per il caso di parto anticipato, che i giorni non goduti di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo di maternità post partum.
16. Come segnalato dalla dottrina, attraverso l’intervento della Corte Costituzionale, si è introdotta nel sistema della tutela della maternità biologica una prima dose di flessibilità nella fruizione del relativo congedo, essendo reso possibile recuperare parte del congedo pre-parto non goduto e spezzando la cesura tra il periodo precedente e quello successivo al parto; tuttavia, restava rigida la decorrenza del periodo di congedo obbligatorio post partum, pur sempre ancorata alla data dell’evento naturale ai sensi dell’art. 16, lett. c, d.lgs. n. 151/2001.
17. E fu proprio la mancanza di modulazione flessibile del congedo nella fase successiva al parto a mostrare la criticità del rapporto tra tale disposizione e gli artt. 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione e, quindi, a condurre Corte Cost. n. 116 del 2011 ad intervenire con una decisione additiva con cui viene dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione, chiarendo che l’individuazione della data da cui far decorrere il periodo di astensione in caso di parto prematuro assume carattere vincolato e non discrezionale, a differenza del congedo ante partum in cui il legislatore ha utilizzato il criterio aleatorio della data presunta del parto. Dunque, «per individuare il dies a quo della decorrenza del periodo di astensione in caso di parto prematuro, resta la soluzione di ancorare – al termine del ricovero – la relativa data all’ingresso del neonato nella casa familiare, vale a dire ad un momento certo».
18. Per tale ragione, negli esiti, il giudice delle leggi perviene a dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (art. 16, lett. c, d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151) «nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare».
19. E’ evidente che il principio affermato dalla Consulta ha assunto una importante rilevanza al fine di segnare oggettivamente, ampliandolo, il campo di applicazione della disciplina del congedo di maternità post-parto. In tal modo, attraverso la nuova regola, si è affermata:
la garanzia di una durata «complessiva» del congedo non inferiore a cinque mesi;
la necessità di consentire la fruizione di uno spazio temporale che, pur restando compreso nell’arco dei tre mesi, risponda in modo elastico all’esigenza di assicurare che «almeno» in parte tale tempo sia utilizzato al fine di far ambientare il bambino all’interno della famiglia;
la tutela, comunque necessaria per i profili biologici che restano connessi al parto, della salute della madre che può essere ammessa all’attività lavorativa solo se vi è avallo medico sulle recuperate forze fisiche.
20. La pronuncia della Corte Costituzionale ha, quindi, affiancato alla tutela dall’esclusiva salvaguardia della salute della donna la protezione dell’interesse del bambino ma ciò ha fatto mediante un meccanismo di sostanziale reciproco equilibrio tra i due beni tutelati dal quale non è possibile prescindere. Ciò è reso evidente laddove la Corte Costituzionale, nell’ ipotizzare i casi in cui il parto sia prematuro con necessità di ricovero oltremodo prolungato del bambino presso strutture sanitarie, ha precisato che «[…] In simili casi, com’è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale situazione è inevitabile quando la donna, per ragioni di salute (alla cui tutela il congedo obbligatorio post partum è anche finalizzato), non possa riprendere l’attività lavorativa e, quindi, debba avvalersi subito del detto congedo».
21. Se questi sono i contenuti oggettivi della sentenza additiva della Corte Costituzionale dai quali evincere quali situazioni siano previste e tutelate dalla formulazione della disposizione che ne deriva, è evidente che dalle medesime non è possibile prescindere per stabilire i presupposti di operatività della norma di cui si invoca l’applicazione ed è, pure, altrettanto evidente che la fattispecie oggetto di causa non rientra nel cono di luce definito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 116 del 2011 perché non contiene, neanche ora per allora, l’affermazione e la prova dell’idoneità della madre, dopo il parto e prima dell’intero decorso del periodo di astensione obbligatoria, decorrente dalla data effettiva del medesimo parto, a riprendere l’attività lavorativa.
22. Né tale conclusione si pone in contrasto con principi o disposizioni sovranazionali tali da indurre a differenti valutazioni, come invece prospettato, in modo generico, in ricorso.
23. Va a proposito osservato che il diritto dell’Unione ha inciso sul versante, diverso da quello qui rivendicato, del sistema dei congedi parentali e delle forme di sostegno alla genitorialità introdotti con la legge n. 53 del 2000 poi confluiti nel d.lgs. n. 151 del 2001, comprese le forme di permessi previsti in ipotesi di malattia dei figli, che, come segnalato dalla dottrina, è stato ispirato nei contenuti se non testualmente dalla direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, n. 96/34/Ce. Per tale via è evidente che l’interesse della madre a stare in stretta relazione umana con il figlio è stato pure tutelato.
24. Inoltre, va osservato che le direttive del Consiglio 19 ottobre 1992, n. 92/85/Ce, 3 giugno 1996, n. 96/34/Ce, come pure la più recente ed evoluta direttiva 2010/18/EU dell’8 marzo 2010, emanata al fine di migliorare il modello sociale di conciliazione tra vita professionale e vita familiare e per stimolare la legislazione vigente dei singoli Stati membri in tema di protezione della maternità e congedo parentale, non contengono disposizioni che vincolino l’interprete italiano nel senso di un ampliamento necessario del congedo obbligatorio, come prospettato dalla ricorrente; ciò anche in considerazione del fatto che le questioni di previdenza ed assistenza, rientrano nell’oggetto dell’art. 99 del Trattato CE, secondo cui «gli Stati membri considerano la loro politica economica una questione di interesse comune e la coordinano nell’ambito del Consiglio», per cui non può dirsi esistente una competenza diretta dell’Unione europea vincolante sulla questione dedotta in causa, al di fuori degli aspetti legati al mercato interno ed alla libera circolazione dei lavoratori .
25. La questione interpretativa sollecitata in ricorso, in sostanza, è stata pienamente considerata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 116 del 2011 che, modificando il testo normativo ritenuto non conforme a Costituzione, ha regolamentato diversamente, rispetto alla formulazione originaria dell’art. 16 del d.lgs. 151 del 2001 ed in sintonia con i principi costituzionali, l’assetto degli interessi della madre e del bambino nato prematuro; dalla interpretazione diretta fornita dal giudice delle leggi nel momento della costruzione della nuova regola, in assenza di contrari vincoli di derivazione sovra nazionale, non è certo possibile discostarsi.
26. In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della eccezionalità della vicenda processuale in esame che è stata interessata, durante il suo svolgimento, dall’intervento della Corte Costituzionale sopra segnalato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
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