CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2019, n. 14546
Tributi – IRPEG e ILOR – Crediti emergenti dalla dichiarazione dei redditi – Istanza di rimborso degli interessi maturati sui crediti – Onere di prova dell’estinzione dell’obbligazione a carico dell’Ufficio
Fatti di causa
La società I. s.p.a. (già Istituto Italiano di C.F. s.p.a.) proponeva ricorso avanti alla CTP di Roma avverso il silenzio rifiuto opposto dal Centro Servizi II.DD. di Roma all’istanza di rimborso degli interessi su crediti di imposta Irpeg ed Ilor relativi all’anno 1987, emergenti dalla dichiarazione dei redditi mod. 760/88.
L’Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto della domanda stante l’avvenuto pagamento del richiesto rimborso. La CTP accoglieva il ricorso della società contribuente, sulla base del rilievo che l’Ufficio non aveva provato il proprio assunto.
Contro tale sentenza ricorreva in appello l’Agenzia delle entrate e la CTR del Lazio – dopo aver espletato approfondimenti istruttori in relazione agli eventuali pagamenti effettuati dall’Ufficio a mezzo degli ordinativi di pagamento «emessi dal Centro di Servizio di Roma della Banca d’Italia negli anni 1993-1994», acquisendo una «relazione» della G.d.F. sul tema – accoglieva l’appello dell’Amministrazione e, per l’effetto, dichiarava cessata la materia del contendere.
Riteneva, in particolare, la CTR che, sulla base degli elementi di cognizione acquisiti, «la prova dell’avvenuto pagamento, ove ancora esistente stante il tempo trascorso, non è comunque nella disponibilità materiale dell’Agenzia delle Entrate, ma semmai della Banca d’Italia», la quale, peraltro, «avrebbe epurato dai propri archivi tutta la documentazione comprovante i pagamenti fino all’anno 1996, conservando eventualmente solo gli esiti contabili, peraltro non disponibili». Anche la stessa I. s.p.a., osservavano i giudici di appello, non aveva più a disposizione il proprio archivio cartaceo; parimenti, l’Istituto bancario presso cui la società contribuente era correntista non era più in grado, stante il tempo trascorso, di fornire né l’estratto dell’archivio cartaceo né le evidenze della contabilità elettronica.
L’unico dato disponibile, concludeva la CTR, era costituito dagli ordini di pagamento in favore di I. s.p.a. ricavabili dell’archivio informatico dell’Anagrafe tributaria (recanti i nn. 923 e 924, entrambi del 26.5.1994), per titolo ed importi «che concordano con precisione con quelli indicati dalla società I. s.p.a, anch’essi evidenziati dal proprio archivio informatico».
In tale prospettiva, in assenza di prova diretta dei pagamenti, che, come premesso, ad avviso della CTR non sarebbe stata nella disponibilità materiale e giuridica dell’Agenzia ma in quella della Banca d’Italia, la sentenza concludeva che doveva farsi riferimento ai dati presuntivi ricavati dal sistema informatico dell’Anagrafe tributaria, come sopra indicati.
Avverso tale decisione, propone ricorso I. s.p.a., sulla base di tre motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La società contribuente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce nullità della sentenza per vizio di extrapetizione ex art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 stesso codice.
La ricorrente censura, in particolare, la sentenza della CTR nella parte in cui essa ha accolto l’appello dell’Ufficio, dichiarando, nel contempo, «per l’effetto cessata la materia del contendere»: la pronuncia avrebbe, quindi, violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, in quanto nessuna delle parti aveva richiesto una siffatta dichiarazione.
Ai fini di un adeguato inquadramento della questione, va osservato che la cessazione della materia del contendere postula che la sopravvenienza, nel corso del giudizio, di fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, dell’interesse al ricorso (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 26299 del 18/10/2018, Rv. 651303 – 01); la relativa pronuncia presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale li dedotta in giudizio e sottopongono al giudice conformi conclusioni in tal senso (cfr. Sez. 3, n. 11813 del 09/06/2016, Rv. 640240 – 01).
Nella specie, se da un lato va escluso che si sia verificata un’ipotesi di questo genere, in grado di elidere ogni contrasto fra le parti, dall’altro va osservato che dalla lettura congiunta della motivazione della decisione e del dispositivo emerge con chiarezza e senza margini di dubbio che, in realtà, la CTR, con la propria decisione ha semplicemente riconosciuto la fondatezza dell’appello dell’Ufficio ritenendo provato il pagamento degli interessi.
In tale prospettiva, il dispositivo della sentenza è esplicito ed inequivocabile nell’accogliere l’appello; e, del resto, l’analisi della stessa motivazione consente di confermare che la CTR ha formulato un giudizio di infondatezza nel merito della pretesa creditoria, onde la dichiarazione «per l’effetto» di cessazione della materia del contendere rappresenta una specificazione “aggiuntiva” senza dubbio impropria ma non tale da inficiare la pronuncia di accoglimento dell’appello dell’Ufficio, costituente l’unico vero oggetto di statuizione, né in grado di integrare il dedotto vizio.
Il motivo deve essere, pertanto, rigettato.
2. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. in ordine al fatto decisivo e controverso costituito dal pagamento degli interessi sui crediti di imposta vantati dalla contribuente.
In tale prospettiva, la ricorrente deduce che la CTR, nell’attribuire sul piano probatorio decisivo rilievo al dato indiziario costituito dagli ordinativi di pagamento desumibili dalle risultanze dell’anagrafe tributaria, muove dal presupposto essenziale, motivato in modo insufficiente e contraddittorio, che l’A.d.E. non avesse la disponibilità materiale della prova documentale dell’avvenuto pagamento, che avrebbe dovuto trovarsi presso la Banca d’Italia, la quale, peraltro, aveva eliminato dai propri archivi tutta la documentazione comprovante i pagamenti fino all’anno 1996.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, altresì, violazione degli artt. 6, comma 4, e 10 L. n. 212/00, 115, 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Deduce, in tale prospettiva, che le risultanze dell’interrogazione dell’anagrafe tributaria non possiedono i requisiti per assurgere al rango di prova, per la possibilità di errori di trascrizione insita nei sistemi telematici (si cita, a tale proposito, Sez. 5, n. 1612 del 25/01/2008, Rv. 601693 – 01).
Conseguentemente, in virtù di ciò, l’A.d.E. sarebbe stata illegittimamente esentata dall’onere di provare il fatto estintivo costituito dal pagamento, in violazione dell’art. 2697 cod civ., oltre che dell’art. 10 dello Statuto del contribuente, posto che, laddove il contribuente deduca che la prova di una circostanza emerge dalla documentazione detenuta dall’Amministrazione, questa, in forza del principio di leale collaborazione e di tutela dell’affidamento e della buona fede, deve pronunciarsi in maniera espressa sull’effettivo possesso degli atti e non può limitarsi genericamente a negarne la disponibilità. Né alla contribuente, in forza dell’art. 6 comma 4 della L. 212/00, potrebbero essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione la quale, anche ai sensi dell’art. 18, della L. 241/90 è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso.
4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati per quanto di ragione.
Premesso che l’onere di provare l’estinzione di un’obbligazione di pagamento spetta al debitore, la sentenza della CTR ha fatto espressamente dipendere la rilevanza probatoria degli ordini di pagamento desunti dalle risultanze dell’Anagrafe tributaria dalla ritenuta assenza di prove documentali dirette, in ciò richiamando il contenuto della relazione redatta dalla G.d.F.
Tale relazione (di cui sono riportati gli stralci di interesse nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza), peraltro, afferma che, in base agli accertamenti espletati, era emerso che la Banca d’Italia-Tesoreria provinciale dello Stato di Roma, come dalla stessa rappresentato con nota in data 30.9.2009, aveva bensì trasmesso gli elenchi mensili di pagamento (mod. 66T/31 ter C.G.) all’allora Centro Servizi Imposte Dirette di Roma; di conseguenza, la prova documentale diretta del pagamento si trovava nella disponibilità dell’Ufficio.
Nella stessa relazione, secondo quanto testualmente riportato nel ricorso, si dava atto che la stessa A.d.E. aveva richiesto alla D.R.E. del Lazio-Centro Operativo Ricerche tutta la documentazione finalizzata all’assolvimento dell’onere della prova in giudizio, fra cui, in particolare, proprio i predetti elenchi mensili inoltrati dalla Banca d’Italia, attestanti i pagamenti dei rimborsi.
Tali dati, infine, convergevano con quanto comunicato dalla stessa Banca d’Italia in risposta alla richiesta di informazioni inviata da I. s.p.a., anch’essa riprodotta nel motivo di ricorso, in un quadro ricostruttivo in cui si collocavano anche i prospetti informatici desunti dalle scritture contabili dell’allora Istituto Italiano di C.F. concernenti il dettaglio dei movimenti bancari intercorsi fra la società contribuente e l’istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane relativi al periodo 1.5.1994-31.5.1995 (periodo entro il quale si colloca la data della presunta erogazione degli interessi, 26.5.1994), dai quali risultava l’assenza nella predetta contabilità di tale accredito di interessi, del resto neppure confluiti in alcuna delle dichiarazioni dei redditi dal 1994 al 2006.
5. In tale prospettiva, la CTR non ha indicato, in modo adeguato e coerente, attraverso un puntuale ed analitico confronto con gli elementi di valutazione forniti dalle parti, attraverso quale percorso logico argomentativo la stessa sia pervenuta ad attribuire alle risultanze degli accertamenti demandati alla G.d.F., o ad eventuali altri elementi di cognizione, un significato del tutto diverso sul piano probatorio da quello sopra illustrato, tale da asseverare la raggiunta conclusione circa l’oggettiva impossibilità di acquisire prova diretta dei pagamenti erogati alla contribuente in ragione della ritenuta indisponibilità «materiale e giuridica» degli elementi probatori in capo all’Agenzia.
Ne consegue che la sentenza risulta insufficientemente motivata, alla stregua delle risultanze sopra indicate, in ordine alla valutazione dei presupposti per cui avrebbe dovuto farsi decisivo riferimento ai dati presuntivi ricavati dal sistema informatico dell’Anagrafe tributaria, come sopra indicati, ai fini di prova.
Nello stesso senso, deve, altresì, osservarsi che, sulla base degli stessi elementi sopra illustrati, l’aver fondato la propria decisione sulle mere risultanze dell’Anagrafe tributaria – le quali, non ultimo per la possibilità di errori di trascrizione insiti nei sistemi telematici, non possono di per sé assurgere al rango di prova – integra altresì le violazioni di legge dedotte, essendo stata l’A.d.E. illegittimamente esentata dall’onere di provare il fatto estintivo costituito dal pagamento.
6. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, mentre vanno accolti il secondo ed il terzo motivo. La sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, annullata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, alla quale si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, cui demanda, altresì, di provvedere in ordine alle spese del presente giudizio.
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