CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18522 depositata il 28 giugno 2023
Lavoro – Discriminazione indiretta di genere – Selezione per assunzione – Difetto requisito minimo – Perdita di chances – Principio di uguaglianza – Rigetto
Considerato che
1. la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado che, nell’ambito di un procedimento ai sensi del d. lgs. n. 198 del 2006, aveva accolto il ricorso proposto da M.C. nei confronti di T. Spa volto a far accertare che costituisse discriminazione indiretta di genere la sua esclusione dalla procedura di selezione per l’assunzione, presso la società, di personale con qualifica di Capo Treno/Capo Servizi Treno per difetto del requisito minimo di altezza, stabilito in mt 1,60 sia per gli uomini che per le donne candidate;
2. la Corte, in estrema sintesi, sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio acquisita nel corso del primo grado ed “espletata in altro giudizio avente medesimo oggetto” e sulla considerazione che il requisito minimo di statura non fosse più richiesto per l’accesso alla mansione di capo treno o capo servizio treno, ha accertato che detto requisito minimo di statura non fosse “appropriato e funzionale rispetto alla mansione alla quale l’odierna appellata aspirava”;
in parziale accoglimento del gravame della società, la Corte, invece, ha ridotto il quantum del risarcimento per perdita di chances dal 75% al 50% dell’importo mensile delle retribuzioni che l’esclusa avrebbe percepito dalla data nella quale avrebbe dovuta essere assunta sino alla sentenza di primo grado;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con quattro motivi; ha resistito con controricorso l’intimata;
la Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Ritenuto che
1. i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito:
con il primo motivo si eccepisce la violazione degli artt. 1 e ss. della legge n. 874 del 1986, del d.lgs. n. 188 del 2003, del d.lgs. n. 162 del 2007, nonché del decreto ANSF n. 1/2009 del 06 aprile 2009 e “di ogni altra norma e principio in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria e distribuzione delle relative competenze accertatorie e dispositive e/o di legittimazione necessaria della competente Autorità per la sicurezza della circolazione ferroviaria”, nonché vizio di omesso esame di fatto decisivo poiché la Corte d’Appello ha ritenuto disapplicabile la normativa in materia di altezza e non ha dichiarato la legittimazione passiva necessaria della competente Autorità di garanzia della sicurezza; si deduce, altresì, il difetto di potere giurisdizionale o il difetto relativo di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, nonché l’inammissibilità dell’azione ex art. 38 del d.lgs. n. 198/2006, non vertendosi in fattispecie di discriminazione uomo/donna;
col secondo mezzo si eccepisce la violazione di tutte le norme e i principi di cui al primo motivo, nonché vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., poiché la Corte d’Appello non avrebbe riconosciuto che T. si era limitata a dare puntuale esecuzione agli obblighi vigenti nel settore del trasporto ferroviario;
il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., oltre che l’omesso esame di fatto decisivo, nonché la nullità della c.t.u. per difformità dai quesiti posti dal tribunale ed alle modalità dallo stesso autorizzate, per essere la perizia redatta senza riferimento al caso concreto;
il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1226 e ss. c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di valutazione equitativa del danno patrimoniale derivante dalla perdita di chances, anche in relazione agli artt. 3 e 4 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, criticando la Corte d’Appello per avere liquidato in favore della C. un importo pari alla metà delle retribuzioni che avrebbe percepito tra la data del 1° giugno 2016 e la data della pronuncia giudiziale che ha accertato la discriminazione (26 giugno 2019);
2. il ricorso non può trovare accoglimento in quanto la sentenza impugnata è conforme a numerosi precedenti di questa Corte – da cui non è dato discostarsi per evidenti ragioni di uniformità di trattamento di casi analoghi – ai quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per ogni ulteriore aspetto qui non esaminato (cfr. Cass. n. 23562 del 2007; Cass. n. 25734 del 2013; Cass. n. 26866 del 2017; Cass. n. 3196 del 2019; Cass. n. 27729 del 2019; Cass. n. 7982 del 2020; Cass. n. 8167 del 2020; da ultimo Cass. n. 14448 del 2023);
sin dalla prima pronuncia di legittimità richiamata si è affermato il principio, poi ribadito, secondo cui, in tema di requisiti per l’assunzione, qualora in una norma secondaria sia prevista una statura minima identica per uomini e donne, in contrasto con il principio di uguaglianza perché presuppone erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne e comporta una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime, il giudice ordinario ne apprezza, incidentalmente, la legittimità ai fini della disapplicazione, valutando in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni (in termini, Cass. n. 23562/2007 cit., in cui questa Corte ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale che si era limitata a ritenere, ai fini dell’assunzione alla Metropolitana di Roma, il requisito dell’altezza minima di m. 1,55 – previsto nel d.m. n. 88 del 1999, identico per uomini e donne – una garanzia sia per l’incolumità del personale in servizio sia per la sicurezza degli utenti, senza accertare a quali mansioni l’attrice potesse adeguatamente attendere nonostante l’altezza fisica inferiore rispetto a quella richiesta);
tanto sulla base dell’assunto della Corte costituzionale (sentenza n. 163 del 1993) secondo cui “ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest’ultimo sarà conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono”; per il Giudice delle leggi il principio di eguaglianza impone di verificare che non sussista violazione del criterio di “proporzionalità del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina normativa considerata: proporzionalità che va esaminata in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita”;
3. ciò premesso in diritto, possono essere scrutinate più specificamente le singole doglianze poste dai primi tre motivi di ricorso;
3.1. l’eccezione di difetto di giurisdizione è inammissibile in quanto preclusa dalla formazione del giudicato implicito sulla questione; il giudice di primo grado ha reso una pronunzia nel merito del ricorso proposto dalla C. con implicita affermazione della propria giurisdizione; la società T. ha mostrato di prestare acquiescenza a detta statuizione che non risulta avere costituito specifico oggetto di impugnazione in sede di appello, secondo quanto si evince dallo storico di lite del ricorso per cassazione (v. in particolare pagg. 10 e 11), oltre che dalla sentenza qui impugnata (pag. 2); trova applicazione, pertanto, la giurisprudenza di legittimità che riconosce la formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione in presenza di una pronunzia nel merito del giudice adito alla quale le parti abbiano prestato acquiescenza (v. tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 28503 del 2017, Cass. n. 19498 del 2017, Cass. Sez. Un. n. 9693 del 2013, Cass. n. 19792 del 2011, Cass. Sez. Un. 2067 del 2011);
3.2. neppure è configurabile una carenza assoluta di potestas iudicandi, in quanto non vi è stato alcuno sconfinamento della sfera riservata al legislatore in tema di emanazione di norme per la sicurezza della circolazione dei treni in quanto l’accertamento della esistenza di una discriminazione di genere è frutto di un’attività interpretativa della disciplina di riferimento, che costituisce il proprium dell’attività giurisdizionale, alla luce della quale è stata ritenuta disapplicabile la norma secondaria;
vale rammentare l’orientamento di questa Corte per il quale, allorché in una controversia tra privati, attinente a diritti soggettivi, il giudice debba vagliare situazioni che presentano aspetti di pubblico interesse o possa trovarsi a scrutinare la legittimità di provvedimenti amministrativi, le questioni che insorgono circa i confini dei poteri al riguardo del giudice ordinario attengono, data l’estraneità della P.A. al giudizio, al merito e non alla giurisdizione, investendo l’individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario (Cass. Sez. Un. n. 6883 del 2019; Cass. n. 14762 del 2006);
3.3. le plurime denunce di violazione o falsa applicazione di norme di diritto sono infondate in quanto la sostanza del decisum – come premesso – è coerente con la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto come la previsione di un medesimo limite staturale per uomini e donne configuri una discriminazione indiretta ove non oggettivamente giustificato, né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni derivanti dalla qualifica attribuita;
i giudici del merito hanno svolto il sindacato incidentale richiesto, con un apprezzamento dei fatti che, sorretto da motivazione rispettosa del cd. minimo costituzionale, è sottratto al vaglio di questa Corte;
ne è derivata la disapplicazione della normativa secondaria, ritenuta non conforme al principio di non discriminazione, non risultando dirimente la circostanza, invocata dalla società ancora nella memoria conclusiva, di essersi attenuta ad una regola, di natura vincolante, stabilita da Autorità terza, poiché la discriminazione opera obiettivamente – ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta – ed a prescindere dall’intento soggettivo dell’autore (Cass. n. 6575 del 2016; da ultimo v. Cass. n. 9095 del 2023); inoltre, nel caso di discriminazione indiretta, la disparità vietata è proprio l’effetto di un atto, di un patto, di una disposizione, di una prassi in sé legittima (cfr. Cass. n. 20204 del 2019);
3.4. consegue, altresì, l’infondatezza della doglianza con cui si deduce la legittimazione passiva necessaria della competente Autorità di garanzia della sicurezza, atteso che – come condivisibilmente evidenziato dalla Procura Generale – l’oggetto principale della domanda proposta dalla C. innanzi al giudice di merito era costituito dalla richiesta di accertamento della natura discriminatoria della condotta posta in essere da T., per cui il ricorso è stato correttamente proposto nei riguardi del soggetto destinatario degli effetti della pronuncia richiesta, dal quale l’odierna controricorrente pretendeva di ottenere il “bene della vita” cui aspirava, non potendo considerarsi detta Autorità litisconsorte necessario nel giudizio;
3.5. sono inammissibili, infine, le censure contenute nel terzo motivo di ricorso, laddove, prospettando formalmente e promiscuamente violazioni di legge, errores in procedendo circa la CTU e omesso esame di fatti decisivi, nella sostanza sono volte ad un diverso apprezzamento nel merito delle circostanze di causa in relazione alla esclusione del carattere di funzionalità del requisito staturale rispetto alle mansioni connesse alla qualifica di Capo treno o Capo servizi treno;
in particolare, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, tenuto altresì conto che, sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, è prevista un’attenuazione del regime probatorio ordinario, sussistendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54, l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione (Cass. n. 14206 del 2013; Cass. n. 25543 del 2018);
4. neanche il quarto motivo di ricorso può essere accolto;
infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione equitativa del danno (operante anche nel caso di perdita di chances, v., ex aliis, Cass. n. 1443 del 2003; Cass. n. 23304 del 2007), in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione nei limiti in cui esso rilevi per la disciplina processuale tempo per tempo vigente, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (v. Cass. n. 1529 del 2010; Cass. n. 12318 del 2010; n. 13153 del 2017); ciò non è dato riscontrare nella sentenza impugnata la quale ha argomentato le ragioni poste alla base del convincimento espresso e la stessa non può essere cassata sul punto sol perché parte ricorrente propone un diverso criterio equitativo fondato sulla differente ipotesi dell’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo;
5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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