CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 28494 depositata il 12 ottobre 2023
Lavoro – Licenziamento per ragioni disciplinari – Mancato rispetto procedure aziendali di sicurezza – Indennità risarcitoria – Rigetto – l’esercizio del potere disciplinare resta disciplinato esclusivamente dall’art. 7 L. n. 300/1970, che non subordina in alcun modo l’atto di avvio del procedimento (ossia la contestazione disciplinare) all’esaurimento di eventuali accertamenti aziendali
Svolgimento del processo
1.- S.R. aveva lavorato alle dipendenze di E.A.C.L. come comandante dall’01/08/2008 (con anzianità convenzionale dal 06/09/2005) fino all’01/08/2016, quando era stato licenziato per ragioni disciplinari, rappresentate dal mancato rispetto delle procedure aziendali di sicurezza in occasione dell’atterraggio del 28/05/2016 all’aeroporto di Olbia.
2.- Impugnato il licenziamento, il Tribunale di Busto Arsizio, all’esito della fase sommaria, in parziale accoglimento dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970 aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso fra le parti e aveva condannato la società a pagare allo S. l’indennità risarcitoria pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Come si evince dalla sentenza della Corte territoriale, il Tribunale aveva accertato la regolarità del recesso sotto il profilo procedimentale, avendo escluso che vi fossero state inammissibili modificazioni dell’addebito e violazioni della procedura stabilita dall’accordo del 18/02/2015; aveva ritenuto pacifica la condotta contestata (“pacifico che la manovra di atterraggio” era stata “altamente rischiosa, a tal punto da rendere necessaria la procedura di mancato avvicinamento, c.d. go around”), ma, pur ritenendo che quella condotta non rientrasse fra quelle punibili con sanzione conservativa, ha ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari relativi a violazioni afferenti la sicurezza del volo.
L’ordinanza era stata poi confermata dalla sentenza, con cui quel Tribunale aveva rigettato le opposizioni rispettivamente proposte dalla società e dal comandante S..
3.- Adìta dalla società con reclamo principale e dallo S. con reclamo incidentale, la Corte d’Appello ammetteva le prove testimoniali che entrambe le parti avevano chiesto nella fase di opposizione di primo grado.
All’esito dell’assunzione delle testimonianze, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte territoriale accoglieva il reclamo principale e rigettava quello incidentale e quindi l’impugnazione del licenziamento.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) contrariamente alla tesi dello S., non sussiste violazione del principio di immutabilità della contestazione per avere la società menzionato, nella lettera di licenziamento, il “pericolo per la sicurezza del volo” generato dalle condotte addebitate e le “precedenti Sue condotte intemperanti”; tali circostanze, sebbene non indicate nella missiva di contestazione disciplinare, non sono elementi costitutivi dell’addebito, ma solo elemento di contorno destinato a connotare i fatti ai fini della valutazione in termini di gravità;
b) in realtà, il rischio, determinato dalle modalità di conduzione della manovra di atterraggio (compiuta dal primo ufficiale e con deliberata omissione da parte del comandante S. di qualunque intervento per correggere quella manovra), è espressamente menzionato nella lettera di contestazione, laddove si imputa al comandante di non aver “tenuto in debito conto i principali rischi che sarebbero potuti insorgere dall’alta velocità dell’avvicinamento in seguito ad una riduzione della distanza da percorrere”;
c) quindi il “pericolo per la sicurezza”, menzionato nella lettera di recesso, è la conseguenza e non l’oggetto degli addebiti, fra i quali era stata espressamente inclusa la mancata valutazione di quel rischio nel corso delle manovre di atterraggio;
d) quanto alle “precedenti intemperanze”, il riferimento è del tutto generico che non ha alterato in alcun modo l’oggetto della contestazione disciplinare, anche perché è pacifico in giurisprudenza che l’omessa contestazione della recidiva rileva a fini invalidanti solo laddove essa sia elemento costitutivo della mancanza addebitata (Cass. n. 23924/2010), il che non è nel caso in esame; dunque la recidiva ben può essere considerata per stabilire la gravità dell’addebito e scegliere la sanzione proporzionata;
e) parimenti insussistenti sono le dedotte violazioni delle procedure disciplinari previste dall’accordo sindacale del 15/02/2015; infatti è vero che è previsto che la investigazione interna condotta dal “team FDM” non possa essere utilizzata nei procedimenti disciplinari successivi (punto 4.5), ma è altresì vero che la stessa clausola dell’accordo prevede che “i dati del volo registrati rimangono ammissibili”;
f) dunque nel caso di specie agli accertamenti prodromici svolti dal “team” ha fatto seguito la seconda fase prevista dall’accordo, con l’acquisizione dei dati, all’esito della quale è stato instaurato il procedimento disciplinare sulla base di quei dati del volo, la cui utilizzazione è espressamente consentita dall’accordo predetto;
g) nella contestazione disciplinare è infatti precisato che tutte le fasi della manovra e i dati di altitudine e di velocità “si evincono dalle informazioni estratte dal sistema Flight Data Monitoring”;
h) la menzione di ulteriori elementi emersi nell’indagine preliminare, quali l’ASR e le dichiarazioni rese dall’interessato, non è decisiva e il loro uso a fini disciplinari non ha determinato alcuna lesione del diritto di difesa, perché il successivo procedimento si è svolto pacificamente nel rispetto delle garanzie previste dall’art. 7 L. n. 300/1970;
i) quanto al merito, dall’istruttoria svolta in secondo grado è emersa la conferma delle condotte oggetto di contestazione disciplinare;
j) in particolare è risultato che lo S., responsabile del volo Milano/Olbia del 28/05/2016 come comandante, ha consentito l’espletamento della fase di atterraggio con modalità contrarie alle regole di sicurezza e tali da consentirne la conclusione solo all’esito di manovre correttive, anch’esse condotte in modo rischioso e senza la corretta valutazione delle condizioni ambientali rilevanti;
k) il teste B. – pilota alla guida dell’aereo – ha dichiarato che durante il primo approccio condotta a vista egli aveva intrapreso “una scorciatoia” tale da porre l’aereo ad un’altezza incompatibile con l’atterraggio;
l) il teste C. ha dichiarato che “a 11 miglia dall’atterraggio non era più possibile atterrare in sicurezza, perché l’aereo era a circa 90 nodi, troppo veloce ed era anche troppo alto, 800 piedi in più di quanto avrebbe dovuto. Questo perché l’equipaggio non aveva iniziato la discesa nei tempi giusti ma aveva preso una scorciatoia”; tale condizione si era determinata “anche a causa del vento, che è un aspetto che il pilota deve considerare quando cambia la rotta”; lo stesso testimone ha aggiunto che “in questi casi all’equipaggio è richiesto di correggere la traiettoria finché l’aereo è alto, perché a quota più basse la sicurezza diminuisce. Invece in questo caso la discesa è stata continuata e l’equipaggio, una volta arrivato nei pressi della pista, ha proseguito la traiettoria dimostrando di non avere il controllo esatto dell’aeroplano”;
m) dunque una volta emersa l’impossibilità di atterrare, l’equipaggio ha tentato di riportare l’aereo in posizione corretta; il teste B. ha dichiarato di aver concordato con il comandante S. “di sorvolare la pista e di effettuare una manovra a vista di tipo circolare – di forma simile ad un ippodromo – per posizionare l’aereo in modo adatto all’atterraggio”;
n) tale decisione congiunta ha rappresentato il secondo pericoloso errore, come spiegato dal teste C., il quale ha dichiarato che “invece di proseguire verso il mare che avevano di fronte, che era la manovra più sicura, l’equipaggio ha scelto di effettuare una curva per allontanarsi dalla pista dirigendosi verso le alture: infatti ci sono colline di 4500/5000 piedi dietro l’aeroporto”;
o) tale manovra, oltre che rischiosa, si è rivelata anche inidonea allo scopo, come ammesso dal teste B., per la presenza di forte vento e per una traiettoria circolare troppo corta;
p) ecco che allora fu necessaria un’ulteriore manovra, questa volta messa in atto dal comandante S., chiamata “go around”, manovra non priva di rischi che, come spiegato dal teste C., espone l’equipaggio al rischio di perdita di controllo dell’aeromobile, sebbene in quel caso non vi fosse altra scelta;
q) risulta pertanto evidente l’ascrivibilità dell’accaduto alla diretta responsabilità di S., ciò non solo sul piano omissivo per non avere tempestivamente ripristinato le condizioni di sicurezza del volo in attuazione dei suoi poteri di comando, ma altresì per avere condiviso e quindi concorso ad adottare scelte errate e rischiose nella gestione della criticità;
r) la condotta del comandante, che ponga di fatto a repentaglio l’incolumità dei passeggeri e dell’equipaggio, non è compatibile con alcuna sanzione conservativa, in quanto determina l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario necessariamente sotteso alla funzione rilevante e delicata come quella del comandante e quindi integra la giusta causa di licenziamento.
4.- Avverso tale sentenza S.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.
5.- E.A.C.L. ha resistito con controricorso.
6.- S.R. ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con i primi due motivi, proposti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 53 C.C.L., 2106 e 2119 c.c., 7 L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale escluso la dedotta violazione del principio di immutabilità dell’addebito disciplinare ed escluso che vi fosse stata un’inammissibile integrazione della contestazione disciplinare sotto il profilo della recidiva.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione – sono infondati.
La Corte territoriale ha esattamente evidenziato che il “pericolo per la sicurezza del volo” non è elemento costitutivo dell’addebito, ma insito nelle stesse regole previste dai manuali operativi di volo di cui è stata addebitata al ricorrente la violazione. Inoltre i giudici d’appello hanno espressamente sottolineato che comunque nella lettera di contestazione disciplinare vi era il seguente passaggio testuale: “tenuto in debito conto i principali rischi che sarebbero potuti insorgere dall’alta velocità dell’avvicinamento in seguito ad una riduzione della distanza da percorrere”, sicché nessun mutamento inammissibile vi era stato nella lettera di recesso rispetto agli addebiti contestati.
Quanto alle “precedenti … condotte intemperanti, rivolte anche a colleghi e a terze parti”, la Corte territoriale – con motivazione non censurata dal ricorrente, sia pure nei limiti dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. – ha escluso che quel riferimento, per la sua assoluta genericità, nell’economia complessiva della gravità dei fatti addebitati avesse una reale valenza giustificativa del licenziamento in termini di recidiva.
Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, per stabilire se la recidiva sia oppure no elemento costitutivo dell’addebito occorre considerare non le astratte fattispecie previste dal contratto collettivo, bensì il concreto esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, che ben potrebbe decidere di non avvalersi della recidiva, come appunto è avvenuto nel caso in esame. Ne consegue che immune da censure è l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui il generico riferimento a “precedenti … condotte intemperanti”, contenuto nella lettera di licenziamento, aveva solo una valenza confermativa della gravità degli addebiti contestati, da soli ampiamente sufficienti a giustificare il licenziamento.
Dunque vi è stato l’accertamento di fatto (sostanziale corrispondenza fra contestazione disciplinare degli addebiti e fatti posti a giustificazione del licenziamento), riservato al giudice di merito, ed esatta sua sussunzione nelle norme di diritto esattamente applicate. Pertanto è da escludere la (prospettata, ma inesistente) violazione del principio invocato dal ricorrente, desumibile dall’art. 7 L. n. 300/1970.
2.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. lo S. lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 7 L. n. 300/1970, 115 c.p.c., 2697 c.c., nonché del S.M.S., della J.C.P., della J.C.D.T., del F.O.M.M. e dell’accordo del 15/02/2015, per avere la Corte territoriale ritenuto insussistente la garanzia di inutilizzabilità, a fini probatori e disciplinari, dell’ASE e del FDM e delle informazioni assunte nel corso dell’investigazione attivata.
Il motivo è inammissibile sotto vari profili.
In primo luogo è inammissibile laddove si denunzia come violazione di norme di diritto l’asserita violazione di atti (S.M.S., J.C.P., J.C.D.T., F.O.M.M.) che non hanno natura normativa, né costituiscono contratti collettivi nazionali o accordi sindacali di cui è possibile denunziare la violazione mediante ricorso per cassazione.
In secondo luogo il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza di secondo grado, sopra sintetizzata ai punti e), f), g), h), rispetto alla quale il motivo risulta non pertinente.
In terzo luogo il motivo è inammissibile perché in ogni caso il convincimento della Corte territoriale è fondato sull’ampia istruttoria testimoniale raccolta.
3.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 7 L. n. 300/1970, dell’accordo del 18/02/2015 e del (…) (MPOP), per avere la Corte territoriale omesso di considerare una circostanza decisiva, ossia che il procedimento disciplinare era stato attivato nonostante l’investigazione interna non fosse ancora conclusa.
Il motivo è inammissibile per molteplici ragioni.
In primo luogo è inammissibile laddove si denunzia come violazione di norme di diritto l’asserita violazione di un atto (Managing Pilot Operational Performance – MPOP) che non ha natura normativa, né rappresenta un contratto collettivo nazionale o un accordo sindacale di cui è possibile denunziare la violazione mediante ricorso per cassazione.
In secondo luogo è inammissibile per insanabile contraddittorietà con il terzo motivo: se – come sostenuto dal ricorrente – l’investigazione interna è inutilizzabile a fini probatori e disciplinari secondo quanto previsto – a suo dire – dal punto 4.5. dell’accordo sindacale del 18/02/2015, allora non può avere alcuna rilevanza ostativa rispetto all’instaurazione del procedimento disciplinare.
Pertanto, l’esercizio del potere disciplinare resta disciplinato esclusivamente dall’art. 7 L. n. 300/1970, che non subordina in alcun modo l’atto di avvio del procedimento (ossia la contestazione disciplinare) all’esaurimento di eventuali accertamenti aziendali. Questi ultimi restano nell’autonoma disponibilità e discrezionalità del datore di lavoro, titolare esclusivo delle valutazioni di opportunità e di convenienza nella scelta di attendere oppure no l’esaurimento di quegli accertamenti prima di dare formale inizio al procedimento disciplinare.
Infine è inammissibile – sotto il profilo della censura mossa ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. – perché, pur avendo indicato gli atti processuali nei quali quella circostanza era stata da lui dedotta (ricorso introduttivo, p. 15; reclamo incidentale, p. 17), il ricorrente non ha tuttavia in alcun modo prospettato né precisato quali sarebbero stati gli “elementi utili a dimostrare che non si fosse in presenza … di un case to answer” se si fosse attesa la conclusione di quelle indagini interne e se ne fosse stata data a lui comunicazione prima di avviare il procedimento disciplinare ex art. 7 L. n. 300/1970. Quindi il motivo risulta “monco” e, di conseguenza, inammissibile per difetto di autosufficienza, perché non consente a questa Corte di apprezzare la necessaria “decisività” del fatto di cui si censura l’omesso esame.
4.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2119 e 2697 c.c., 53 C.C.L. e dei manuali operativi di volo, per avere la Corte territoriale ritenuto che la società avesse dato prova delle condotte oggetto della contestazione disciplinare.
Il motivo è inammissibile sotto vari profili.
In primo luogo è inammissibile laddove si denunzia come violazione di norme di diritto l’asserita violazione di atti (manuali operativi di volo) che non hanno natura normativa, né costituiscono contratti collettivi nazionali o accordi sindacali di cui è possibile denunziare la violazione mediante ricorso per cassazione.
In secondo luogo è inammissibile perché, sotto la surrettizia veste dell’asserita violazione di norme di diritto, il motivo è in realtà volto a sollecitare a questa Corte una diversa lettura delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di giudizio di legittimità.
5.- Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 18, co. 4, L. n. 300/1970, 2104, 2106 e 2119 c.c., nonché 53 C.C.L., per avere la Corte territoriale escluso che i fatti contestati potessero rientrare nell’ambito di una fattispecie punita dal contratto collettivo con sanzione conservativa.
Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente si limita a riproporre il suo motivo di reclamo incidentale, ma non si confronta in alcun modo con la specifica e puntuale motivazione sul punto articolata dalla Corte territoriale e sopra riportata sub r), né spiega in quale modo sia possibile ricondurre alla fattispecie del mero “mancato raggiungimento degli standard di lavoro richiesti” (prevista dal contratto collettivo come condotta punita con sanzione conservativa) le condotte (omissive e commissive) da lui dolosamente tenute in occasione dell’atterraggio oggetto di contestazione disciplinare, ritenute provate dai giudici d’appello.
6.- Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ossia quanto ammesso dalla società a pag. 40 del suo reclamo alla Corte d’Appello, in cui è scritto: “in applicazione del FOMM, la compagnia aerea ha ritenuto che gli addebiti mossi al comandante S. … fossero di natura tale da rendere necessaria una valutazione in ordine all’adozione di un provvedimento di ‘retraining’ (ovvero di un periodo di supplemento formativo) o di un provvedimento di demansionamento a pilota primo ufficiale, salvo poi propendere per la sanzione del licenziamento sulla scorta di condivisibili motivazioni connesse alla ‘personalità’ del lavoratore”.
Ad avviso del ricorrente il fatto storico decisivo è dunque rappresentato da tale ammissione, secondo cui quei fatti oggettivamente considerati non erano tali da giustificare il licenziamento, adottato in realtà solo in considerazione della personalità del ricorrente. Assume che se tale ammissione fosse stata apprezzata e valutata dalla Corte territoriale, la decisione sarebbe stata con certezza in termini di sproporzione fra l’addebito contestato e il licenziamento.
Il motivo è inammissibile.
L’asserito “fatto storico”, di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, in realtà è una mera difesa della società, che come tale non vincola certo il Giudice chiamato a valutare la proporzione – che è un requisito legale (art. 2106 c.c.) – tra sanzione disciplinare e addebito. Quindi non si tratta di “fatto storico”.
In ogni caso non sussiste neppure il suo necessario requisito di “decisività”.
Infatti, la relazione del comandante C.K. (doc. 5 del fasc. della società di primo grado), riportata dal ricorrente a pag. 43 del suo ricorso, conclude proprio nel senso della inidoneità di misure alternative (ulteriore formazione e/o demansionamento a primo ufficiale) e della necessità quindi del licenziamento. Tale documento smentisce, dunque, il carattere “decisivo” del fatto di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame: quand’anche fosse stato tenuto in considerazione dalla Corte territoriale, non vi è alcun elemento da cui poter desumere che l’esito della decisione sarebbe stato con certezza di segno diverso.
Al riguardo questa Corte ha più volte precisato che «Ai fini del sindacato di legittimità, in relazione alla censura di omesso esame di documenti dedotta dal ricorrente per cassazione, è necessario che tra la documentazione che si afferma non esaminata e la soluzione data alla controversia dalla sentenza impugnata sussista un rapporto di causalità logico-giuridica tale da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza, che detta documentazione – che il ricorrente ha l’onere di indicare esplicitamente nella sua consistenza, identità ed efficienza – possa comportare, se esaminata, una decisione diversa» (Cass. n. 4009/2001). Più precisamente, «Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Pertanto, la denunzia in sede di legittimità dell’omesso esame del documento deve contenere l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa» (Cass. n. 7086/2005; Cass. n. 3075/2006; Cass. n. 11457/2007; Cass. n 4369/2009; Cass. ord. n. 5377/2011; Cass. n. 4980/2014; Cass. ord. n. 5654/2017; Cass. ord. n. 16214/2019).
Nel caso di specie tali oneri non sono stati adempiuti.
7.- Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 18 L. n. 300/1970, 2119 c.c. e 53 C.C.L., nonché dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto talmente gravi gli addebiti ascrittigli da escludere in radice la possibilità di ipotizzare una graduazione della sanzione.
Il motivo è inammissibile sotto vari profili.
In primo luogo è inammissibile perché prospettato in termini ipotetici, laddove la violazione o la falsa applicazione di una norma di diritto deve essere dedotta come certa e non solo probabile.
In secondo luogo è inammissibile, perché – in relazione all’art. 1362 c.c. – non spiega in quale modo quel canone ermeneutico sia stato violato nell’interpretazione dell’art. 53 C.C.L.
In terzo luogo è inammissibile perché denunzia in realtà l’omessa considerazione di una pluralità di elementi (l’assenza di precedenti disciplinari relativi alla sicurezza del volo, la comminazione di una sanzione conservativa per lo stesso fatto al primo ufficiale B., la concreta possibilità di rimedi alternativi al licenziamento, l’inidoneità in concreto della sua condotta a porre in pericolo passeggeri, equipaggio ed aeromobile), che semmai avrebbero dovuto formare oggetto di una censura non di “violazione” o di “falsa applicazione” di norme di diritto, bensì di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., illustrandone in modo specifico il carattere di decisività. Tutti questi oneri non sono stati assolti.
8.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.