Corte di Cassazione sentenza n. 32525 depositata il 4 novembre 2022 

fondo patrimoniale ex art. 170 c.c. – estratto di ruolo – disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio – l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 cod. civ. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale

RILEVATO CHE:

1. C.F. propone sei motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 6427/15 depositata il 3 dicembre 2015, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la legittimità della iscrizione ipotecaria su immobile conferito in fondo patrimoniale, sul rilievo che anche i debiti fiscali derivanti dall’attività imprenditoriale possono essere correlati ai bisogni della famiglia in modo indiretto, onerando il debitore di provare l’estraneità ai bisogni familiari.

La commissione tributaria regionale, in particolare, evidenziava l’irrilevanza del mero disconoscimento delle copie, in assenza di elementi indiziari atti ad evidenziare una possibile non conformità delle copie agli originali.

Infine riteneva corretta la quantificazione delle spese di lite in favore del legale operata dal giudice di primo grado.  

La Concessionaria resiste con controricorso.

Il P.G. ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO CHE:

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 170 e 2697 e.e.; per avere la Commissione tributaria gravato erroneamente il debitore dell’onere di provare l’estraneità del debito fiscale ai bisogni della famiglia, onere che, al contrario, ad avviso della ricorrente, incombeva sul creditore e che lo stesso non aveva assolto.

3. La seconda censura deduce violazione degli 18 dpr 445/00, 2719 e.e., 7 L. 212/2000, 25 DPR 602/73, ex art. 360, n.3, c.p.c.; per avere il giudicante omesso di valutare il disconoscimento specifico operato in sede di ricorso, pur avendo evidenziato che le relate di notifiche non avevano elementi di collegamento con le cartelle asseritivamente notificate e pur avendo eccepito che l’omesso deposito delle cartelle di pagamento aveva impedito di verificare la regolarità delle stesse.

4. Con la terza censura, il ricorrente lamenta la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, assumendo che la comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria non era stata preceduta dalla preventiva comunicazione ex artt. 77, comma 2 bis, d.P.R. n. 602/73, aggiunto con il d.l. 11. 70/2011 successivamente alla notificazione dell’iscrizione ipotecaria, deducendo che come affermato dalla S.U. n. 19967/2014, la norma trovava applicazione anche per il periodo precedente all’entrata in vigore della normativa citata.

5. La quarta censura prospetta la violazione degli 2934 e ss e.e. ex art. 360, n.3, c.p.c. per avere la Regionale omesso di esaminare l’eccezione di prescrizione delle cartelle esattoriali (sollevata a pag. 3 del ricorso e riproposto in sede di appello incidentale).

6. Con la quinta censura si deduce ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., l’omesso esame dell’avvenuto decorso del termine

7. Con l’ultimo mezzo si deduce la violazione del D.M. 55/2014, atteso che la CTP aveva liquidato le spese al di sotto della media relativa allo scaglione di valore tra 52.0000 e 260.0000 euro, censura formulata con il gravame incidentale sulla quale la Regionale si è limitata ad operare una formula di mero stile, affermando che l’importo era stato determinato correttamente, tenuto conto dei margini di discrezionalità attribuiti al giudice.

8. II primo motivo è destituito di fondamento. 

Al riguardo, deve precisarsi che questa Corte, dopo alcuni arrestii ( cfr. Cass. 19667/2014, Cass. 15354/2015 e Cass. 10794/2016) che avevano affermato che l’esecuzione richiamata dall’art. 170 e.e., fosse estranea all’iscrizione ipotecaria che,  quindi,  doveva  ritenersi  generalmente  consentita,  ha  statuito  più specificamente, con principio al quale questo Collegio intende dare continuità, che in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’iscrizione ipotecaria di cui D.P.R. 602 del 1973, ex articolo 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’articolo 170 cod. civ., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa.”( Ordinanza n. 3738/2015; Cass. 23876/2015; Cass. n. 19758/2019; n. 10166 del 28/05/2020; Cass. n. 6380/21).

In conseguenza di ciò, il debitore deve necessariamente dimostrare non solo la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua apponibilità al creditore procedente, ma anche che il debito nei confronti di tale soggetto sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari.

Ciò posto, i beni costituenti fondo patrimoniale non possono essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligazione sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari. E, al riguardo, è stato affermato che l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 cod. civ. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicchè, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 cod. proc. civ., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua apponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa“(Cass. n. 10166/2020; n. 20998/2018; Cass. n. 222761/2016; Cass. n. 641 e 5385 del 2015; Cass. nn, 23876 3738 del 2015; Cass. n. 4011 del 2013).

Nel caso in esame, la CTR si è conformata al principio di diritto espresso da questa Corte, stabilendo che, ai fini dell’iscrizione ipotecaria sui beni immobili conferiti in fondo, incombe sul debitore l’onere di dimostrare che il debito che intende soddisfare sia stato contratto per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

9. La seconda censura non merita accoglimento. 

Questa  Corte  ha  precisato  che  in  tema  di  prova  documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 e.e., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse a/l’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto a/l’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha escluso che il contribuente avesse disconosciuto in modo efficace la conformità delle copie agli originali, in quanto, con la memoria illustrativa, si era limitato a dedurre la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità “a quanto espressamente richiesto“(Cass. n. 4912/2017; n. 16557 del 20/06/2019; n. 14279 del 25/05/2021; n. 40750/21).

Sì è in proposito affermato (Cass. 13425/14; 4476/09 ed altre) che l’art. 2719 cod. civ. esige l’espresso disconoscimento con riguardo alla contestazione non solo dell’autenticità del contenuto della scrittura, ma anche della conformità della copia all’originale; in entrambi i casi deve osservarsi la procedura di cui agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ.. Fermo restando che il disconoscimento onera la parte della produzione dell’originale, è fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche “aliunde” (; Cass., 20 giugno 2019, n. 16557; Cass. sez. 2, 20 febbraio 2018, n. 4053, per la quale il disconoscimento deve avvenire in modo formale e specifico; Cass. n.23369/2017; Cass., 13 giugno 2014, n. 13425; Cass., sez. 3, 25 febbraio 2009, n. 4476; Cass.,sez. 5, 18 giugno 2004, n. 11419), sempre che il disconoscimento formale avvenga attraverso una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale; dovendo essa essere ( oltre che tempestiva) specifica, esplicita ed univoca, così da non lasciar margine alcuno di dubbio ed incertezza (Cass. 3474/08; 24456/11; 18042/14).

Nel caso in esame, il ricorrente si è limitato ad un generico disconoscimento delle copie agli originali, come risulta confermato dalla lettura del ricorso per cassazione e della sentenza impugnata. In conclusione, deve quindi escludersi la sussistenza del vizio dedotto( Cass. n. 23426 del 26/10/2020).

9. Inoltre, in tema di notifica della cartella esattoriale ex art. 26, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve, anche in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, ritenersi ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 e.e., superabile solo se il contribuente dimostri di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione ( Cass. n.15795 del 2016; Cass. 33563/2018; Cass. N. 12883 del 26/06/2020).

Del resto, l’estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, contenente tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (così Cass., Sez. 3, Sentenze n. 11141 e n. 11142 del 29/05/2015, non massimate; Sez. 3, Sentenza n. 11794 del 09/06/2016, Rv. 640105 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15315 del 20/06/2017, Rv. 644736 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11028 del 09/05/2018, Rv. 648806 – 01); – precisamente, il ruolo è il titolo esecutivo in forza del quale l’agente della riscossione esercita il diritto di procedere in via esecutiva (arg. ex art. 49 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) ed esso, in quanto posto a base della riscossione coattiva, fornisce il riscontro dei dati indicati nella cartella esattoriale; questa, infatti, in conformità al relativo modello ministeriale, contiene l’indicazione del credito così come risultante dal ruolo, ai sensi dell’art. 25, comma 2, dlel D.P.R. n. 602 del 1973 (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24235 del 27/11/2015, in motivazione); – l’estratto del ruolo non è una sintesi del ruolo operata a sua discrezione dallo stesso soggetto che l’ha formato, ma è la riproduzione di quella parte del ruolo che si riferisce alla o alle pretese impositive che si fanno valere nei 

confronti di quel singolo contribuente con la cartella notificatagli (così Cass. n. 11141 n. 11142 del 2015 e le ulteriori decisioni conformi sopra già citate); – ne consegue che l’estratto di ruolo «costituisce idonea prova della entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale ivi indicata, anche al fine della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato, e quindi della verifica della giurisdizione del giudice adito» (Cass. n. 11141 e n. 11142 del 2015 e le ulteriori decisioni conformi sopra già citate).

10. La terza, la quarta e la quinta censura non superano il vaglio di ammissibilità, assorbito l’ultimo mezzo.

10.1 Con riferimento a queste ultimi due motivi giova evidenziare che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3  e  n.  5,  cod.  proc.  civ. (  Cass.n.  10862/2018;  n.6835/2017; 22759 del 27/10/2014). Inoltre, sebbene si ritenga in alcune decisioni che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., resta necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge(S.U. 17931/2013; Cass. n.10862 del 07/05/2018).

10.2 Tutte presentano un ulteriore e decisivo profilo di inammissibilità, in quanto, ai fini dell’ammissibilità, si presuppone  la proposizione  delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure. Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa ( Cass. n. 16502/2017, in motivazione; n. 9138/2016). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

Si è reiteramente affermato che In materia di ricorso per cassazione, la parte non può mutare salvo che tale esigenza origini dalla sentenza impugnata la posizione assunta nel giudizio di appello, attraverso il proprio atto introduttivo o difensivo, per sostenere un motivo di ricorso, giacché, diversamente, si consentirebbe tanto all’appellante di modificare, in un successivo grado di giudizio, il contenuto dell’atto di gravame ed i relativi motivi, con manifesta contraddizione rispetto alla logica che presiede l’esercizio stesso del diritto di impugnazione in appello, le cui ragioni e conclusioni vanno esposte in detta fase processuale, quanto, correlativamente, all’appellato, di mutare le proprie difese rispetto a quelle svolte nell’atto di costituzione( Cass. 2033/2017).

10.3 L’illustrazione del motivo non risulta affatto dimostrativa della mancata pronuncia sul motivo di appello, non senza doversi rilevare che tale motivo avrebbe dovuto essere individuato o tramite riproduzione diretta o tramite riproduzione indiretta, con precisazione della parte dell’atto di costituzione in cui l’indiretta riproduzione trovava corrispondenza: ciò ai sensi del disposto dell’art. 366, n. 6), c.p.c. che si applica anche alla indicazione degli atti processuali su cui si fonda il ricorso o il motivo di ricorso; ciò in quanto il ricorrente che proponga in cassazione una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di localizzare l’atto processuale del giudizio precedente in cui la questione risulta dedotta, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016; più di recente, n. 25319/2017; n. 907/2018).

Nel caso in esame non solo il ricorrente non ha trascritto le difese che avrebbe formulato al momento della costituzione, ma dalla pronuncia impugnata non risulta affatto la proposizione di detta doglianza.

11. Il ricorso va dunque respinto, con aggravio di spese. 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente 9iudizio che liquida in favore della concessionaria in euro 5.600,00, oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via principale e di quella in via incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.