CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 34107 depositata il 6 dicembre 2023

Lavoro – Licenziamento – Falsa attestazione della presenza in servizio – Alterazione dolosa dei mezzi aziendali di controllo – Pregiudizio al prestigio aziendale – Lavoratore precedentemente stagionale – CCNL per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico – forestale e idraulico-agraria – Ambito del lavoro pubblico privatizzato – D.Lgs. n. 165/2001 – Circostanze imprevedibili ed eccezionali – Proporzionalità – Rigetto

Fatti di causa

1. R.A., dipendente dell’(…) (di seguito, Arif), addetto agli impianti di irrigazione, in occasione di un intervento di controllo su lavori precedentemente svolti, si bagnò e venne autorizzato dal suo superiore ad allontanarsi mezzora dal posto di lavoro per cambiarsi gli indumenti, tenuto anche conto dell’interferenza del lavoro con impianti elettrici.

Il L’A. raggiunse quindi la casa della madre con l’auto aziendale in sua dotazione, ma si fermò poi presso il mercato di zona, per acquistare della verdura; in tale frangente l’auto aziendale venne fotografata e la foto fu pubblicata su Facebook, raccogliendo l’indignazione di vari partecipanti al social media.

Arif ha quindi contestato al lavoratore la falsa attestazione della presenza in servizio, licenziando poi il medesimo sia per l’alterazione dolosa dei mezzi aziendali di controllo, sia per il compimento di atti con dolo o colpa grave e danno per l’Azienda, ravvisato nel pregiudizio al prestigio conseguente alla vicenda della pubblicazione su Facebook.

2. Il licenziamento, confermato nella sua legittimità dal Tribunale di Bari, è stato invece annullato dalla Corte d’Appello di Bari.

Quest’ultima ha escluso che la fattispecie potesse esser ricondotta all’art. 55-quater e quindi all’alterazione dolosa dei mezzi di rilevamento delle presenze, perché il lavoratore non aveva cercato di occultare il proprio allontanamento, né aveva in concreto alterato i sistemi aziendali.

La Corte riteneva quindi che l’ipotesi non potesse essere riportata a quella degli atti implicanti dolo o colpa grave con danno per l’azienda, ma, per il principio di specialità, a quella dell’abbandono non autorizzato del posto di lavoro, di durata variabile a seconda che si fosse ritenuta idonea l’autorizzazione del superiore ad allontanarsi o che illegittimo fosse il solo periodo di sosta al mercato, con comportamento per il quale il CCNL applicabile prevedeva una sanzione conservativa, dell’ammonizione, della multa o della sospensione dal servizio. Essa disponeva quindi la reintegrazione e condannava Arif al pagamento di dodici mensilità a titolo indennitario, oltre alla contribuzione previdenziale.

3. Arif ha proposto ricorso per cassazione in base a tre motivi, resistiti da controricorso del lavoratore.

La ricorrente ha poi depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 quater, co., 1, lett. a) d. lgs. 165/2001, del d. lgs. 116/2016, dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché motivazione apparente e contraddittoria ed omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5.

Il motivo assume che i fatti di causa sarebbero da riportare alla fattispecie di cui all’art. 55 quater cit., in quanto il comportamento tenuto era finalizzato a trarre in inganno il datore di lavoro, giovandosi della possibilità di far constare la presenza in ufficio nonostante l’allontanamento.

Rispetto a tale motivo, è fondata l’eccezione di giudicato interno sollevata dal controricorrente.

È vero infatti che il Tribunale aveva già escluso, nel decidere in primo grado, che la condotta tenuta dal L’A. potesse rientrare nell’alveo della menzionata disposizione.

Si è così determinata la decisione integrale su una fattispecie – nella sequenza fatto/norma/effetto – tale da escludere la legittimità del licenziamento fondato sulle circostanze di cui all’art. 55-quater d. lgs. 165/2001.

La stessa Corte d’Appello ha dato atto che Arif non impugnò sul punto e dunque su quella fattispecie estintiva del rapporto di lavoro si è formato giudicato negativo, che non consente di riaprire qui il dibattito sul punto, a ciò non bastando la mera insistenza – su cui fa leva la memoria difensiva finale – in ordine alla fondatezza del licenziamento nei termini di cui a quella norma, ma senza che fosse stato proposto reclamo (incidentale) su quello specifico punto.

2. Il secondo motivo è rubricato in riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del CCNL Irrigui e Forestali, del d. lgs. 150/2009, degli artt. 1339 e 1419 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché per motivazione apparente e omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Il motivo è sviluppato evidenziando come il comportamento tenuto avesse realizzato un danno che integrava la fattispecie di cui al n. 10 dell’art. 25 del CCNL, sanzionata con il licenziamento, in quanto l’avere terzi estranei trovato il veicolo Arif maldestramente occultato nei pressi del mercato aveva determinato la pubblicazione su “Facebook” delle relative foto, con un “post” di critica sarcastica in ordine all’uso dell’auto di servizio per scopi personali, cui si erano aggiunti nella sezione “commenti” interventi di numerosi cittadini, con espressioni fortemente critiche anche verso A. e pregiudizio quindi all’immagine dell’ente.

Oltre a ciò, secondo Arif ricorreva anche l’ipotesi, cui parimenti il CCNL destina la sanzione del licenziamento, dell’alterazione dolosa dei sistemi di rilevamento aziendale di controllo della presenza, di cui al n. 11 del medesimo art. 25.

Il terzo motivo adduce invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2106 e 2119 c.c., nonché ancora dell’art. 25, nn. 10 e 11 del CCNL e 11, co. 3, d.p.r. 62/2013 (art. 360 n. 3 c.p.c), sostenendo che sarebbe da ritenere erronea l’affermazione di “non proporzionalità” della sanzione espulsiva operata dalla Corte territoriale.

2.1 I due motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione e sono infondati.

2.2 Preliminarmente va detto – trattandosi di profilo da esaminare necessariamente d’ufficio – che il CCNL privato cui ha fatto riferimento la Corte d’Appello e che è interessato dai motivi di ricorso per cassazione effettivamente regola la fattispecie oggetto di causa.

È pacifico che il ricorrente, per molti anni lavoratore stagionale, solo dal 2011 divenne dipendente a tempo indeterminato di Arif.

La disciplina della legge istitutiva di Arif prevede in proposito che al personale proveniente dalla platea degli «operai stagionali forestali e agricoli già assunti a tempo determinato alle dipendenze della Regione Puglia per lo svolgimento delle attività forestali e irrigue trasferite all’Agenzia» (art. 12, co. 2, lett. b L. Regione Puglia cit), «si applica il contratto collettivo nazionale per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria con conseguente applicazione del relativo trattamento giuridico-economico e assicurativo-previdenziale» (art. 12, co. 3, prima parte L. Regione Puglia cit.), mentre gli altri dipendenti di ARIF sono soggetti in pieno al regime dell’impiego pubblico privatizzato (seconda parte del medesimo art. 12, co. 3).

Questa S.C. ha recentemente ritenuto che la sottoposizione di un rapporto di lavoro con un ente pubblico non economico alla disciplina di un contratto collettivo di lavoro di diritto privato, con riferimento ad attività istituzionali del medesimo ente e come accade per Arif, non comporta il fuoriuscire di tale rapporto dall’ambito del lavoro pubblico privatizzato, pertanto, salva espressa e specifica previsione contraria da parte della norma di legge, trovano comunque applicazione le regole generali di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass. 24 aprile 2023, n. 10811).

Affrontando sotto il profilo delle regole (sostanziali) dell’ambito disciplinare i ragionamenti svolti nel citato precedente, va detto che indubbiamente trovano applicazione le regole di cui al d. lgs. 165/2001, per quanto attiene alle fattispecie sostanziali regolate dagli artt. 55-quater ss. d. lgs. 165/2001, così assicurandosi la coerenza del sistema regionale così impostato con i principi di fondo del diritto di lavoro alle dipendenze di enti pubblici non economici, ma non vi è invece ragione per ritenere che quel rinvio alla contrattazione collettiva di diritto privato sia ostativo a che sia assunta essa quale base giuridica per il piano disciplinare dei rapporti di lavoro ad esso sottoposti. Anche perché resta comunque salvaguardato il principio di fissazione della tipologia delle infrazioni sulla base della contrattazione collettiva, per quanto non poi quella propria del d.lgs. 165, cit.

2.3 Su tale presupposto, l’esame va quindi portato sulla contrattazione collettiva interessata dai motivi di ricorso per cassazione.

2.4 Va intanto escluso che ricorra l’ipotesi delle “alterazioni dolose dei sistemi aziendali di controllo della presenza”, di cui all’art. 25, n. 11, del CCNL.

A parte la sovrapposizione di tale fattispecie con quelle già escluse con effetto di giudicato e di cui si è detto rispetto al primo motivo, vi è da dire che giustamente la Corte territoriale ha ritenuto che non si sia realizzato alcuna alterazione dei sistemi di rilevamento.

Il lavoratore non ha per nulla interferito con essi ed anzi è ben difficile ritenere che l’allontanamento non fosse tempo di lavoro, essendo stato esso stesso cagionato dallo svolgimento della prestazione ed essendovi per giunta l’autorizzazione del responsabile del settore cui era assegnato il ricorrente, sicché non vi era neanche da far constare quell’uscita.

L’avere approfittato di tale uscita per fare anche la spesa al mercato è altra cosa dall’alterazione dei sistemi di rilevamento, che esprime una fraudolenza specifica e diversa, qui giuridicamente non ricorrente.

2.5 Il punto più delicato concerne invece l’altra fattispecie, quella del compimento di atti “implicanti dolo o colpa grave con danno per l’azienda” (art. 25, n. 10).

La Corte territoriale ha in proposito ritenuto che, rispetto a quella fattispecie, costituisse ipotesi speciale quella dell’abbandono senza autorizzazione del proprio posto di lavoro, di cui era consistito il comportamento tenuto e cui il CCNL (art. 25, n. 1) destina sanzioni conservative.

In realtà il punto è che l’integrazione della fattispecie del fatto doloso e colposo con danno per l’azienda richiede, sia nella variante dolosa sia in quella colposa, che il pregiudizio fosse prevedibile come conseguenza della condotta, non potendosi imputare un evento all’agente, neanche come rimprovero per colpa, se si tratti di un fatto non prevedibile come conseguenza verosimile del comportamento tenuto.

Ciò posto, è evidente che la ripresa fotografica dell’auto aziendale da parte di un terzo estraneo, nel lasso di tempo in cui essa fu parcheggiata presso il mercato e poi la pubblicazione della foto su un “social” sono circostanze del tutto imprevedibili e sostanzialmente eccezionali rispetto alle conseguenze proprie del comportamento tenuto, tali da esprimere una causalità sopravvenuta e non imputabile all’agente.

Resta dunque il solo fatto dell’abbandono non autorizzato del lavoro per quei minuti della spesa al mercato, nel contesto di un allontanamento verso casa in sé non illegittimo perché cagionato dalla necessità di cambiarsi gli abiti perché bagnatisi in seguito alla prestazione lavorativa, abbandono rispetto al quale non è neppure da parlare di danno, perché il datore ben può recuperare quel tempo sulla retribuzione, azzerando senza difficoltà il (pur minimo) pregiudizio economico.

In questo quadro, la soluzione data dalla Corte territoriale appare corretta perché la violazione commessa è sanzionata dal CCNL con una misura conservativa e non con il licenziamento.

Ma appaiono non violati – lo si dice per rispondere al terzo motivo di ricorso – anche i parametri di proporzionalità.

L’apprezzamento della proporzionalità è valutazione propria del giudice del merito, che in tanto potrebbe essere censurata in quanto si evidenziassero elementi di manifesta irrazionalità.

Ma è evidente che non vi è alcuna irragionevolezza manifesta a fronte di un allontanamento cagionato da un’evenienza lavorativa, ovverosia per la necessità di cambiarsi gli abiti bagnatisi per lo svolgimento della prestazione, nell’essersi ritenuto che la sottrazione di pochi minuti per fare la spesa non potesse avere l’effetto di comportare la totale perdita del legame fiduciario e potesse comportare addirittura il licenziamento.

3. Quanto sopra esime, anche per ragioni di ragionevole durata, dalla disamina di altri profili in ipotesi anche preliminari (v. l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività, che imporrebbe verifiche ulteriori presso la Corte territoriale sulle modalità di comunicazione della pronuncia qui impugnata), sicché il ricorso va disatteso, con regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.