Corte di Cassazione ordinanza n. 22026 depositata il 12 luglio 2022
demansionamento nel pubblico impiego – travisamento delle prove – mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico – omesso esame di elementi istruttori
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Bologna, in riforma della pronuncia del Tribunale di Forlì, respingeva la domanda proposta da Z.P., dipendente dal 1981 del Comune di Cesena, inquadrato quale ispettore capo reparto nell’area D1 del c.c.n.l. Comparto Regioni dall’1/3/1995 (a seguito di altro contenzioso giudiziario), intesa ad ottenere l’accertamento del carattere discriminatorio, vessatorio e comunque dequalificante del trasferimento dal servizio ‘informativa e vigilanza ai quartieri’ a quello ‘contenzioso’ ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale;
2. il Tribunale, senza esaminare l’esistenza d’un intento punitivo dell’amministrazione nei confronti dell’attore, ne aveva accolto la domanda limitatamente al demansionamento conseguente all’attribuzione di nuovo incarico; per l’effetto, aveva condannato il Comune a pagare allo Z.P. a titolo risarcitorio la complessiva somma di euro 603,85 ed aveva disposto che il ricorrente fosse riassegnato alle mansioni di ispettore contabile;
3. la Corte territoriale, precisato preliminarmente che, stante la mancata proposizione di appello incidentale da parte dello Z.P. in relazione alle altre domande dallo stesso presentate e non esaminate (violazione art. 2087 cod. civ. e art. 44 d.lgs. n. 286/1998) la questione devoluta attenesse all’accertata dequalificazione (an debeatur) ed al danno liquidato (quantum debeatur), riteneva fondati i motivi di gravame del Comune incentrato sulla violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 e sull’erronea valutazione del materiale probatorio;
evidenziava che la norma suddetta aveva recepito un concetto di equivalenza formale, cioè ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquista;
riteneva che, nella specie, tale equivalenza formale vi fosse e che la prova testimoniale non avesse dimostrato che con il nuovo incarico lo Z.P. fosse rimasto inoperoso ovvero privato delle mansioni assegnategli;
evidenziava, in particolare, che non era vero che lo Z.P. si fosse occupato solo dell’inserimento dei dati relativi alle pratiche relative ai contenziosi pendenti dinanzi ai giudici di pace, ma anche della gestione di tali contenzioni oltre che della direzione e del coordinamento del personale a lui sottoposto;
escludeva, pertanto, un inadempimento datoriale;
4. avverso tale pronuncia ricorre per cassazione Z.P. con sei motivi, cui resiste il Comune di Cesena con tempestivo controricorso, successivamente illustrato da memoria.
Considerato che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 343 e 346 cod. proc. civ. e degli artt. 2087 cod. civ. e 44 d.lgs. 286/1998 per avere la Corte territoriale ritenuto precluso, in mancanza di appello incidentale, l’esame delle altre domande non esaminate (e così quello delle domande concernenti la sussistenza di un intento punitivo e discriminatorio di cui al ricorso iscritto al RG n. 174/2011 e quello delle domande concernenti la condotta antisindacale di cui al ricorso n. 378/2012 RG);
sostiene che, dopo la pronuncia del Tribunale di Forlì egli era risultato totalmente vittorioso e quindi non vi erano state domande respinte in relazione alle quali proporre impugnazione incidentale;
2. il motivo è infondato;
si premetta che se una domanda o un’eccezione di merito è respinta o assorbita, è onere dell’appellato (l’odierno ricorrente, nel caso di specie) svolgere rispettivamente appello incidentale o espressa riproposizione della domanda o eccezione medesima ex art. 346, comma 2, cod. proc. civ. (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., n. 11799/2017): non risulta che sia stata espletata l’una o l’altra attività processuale;
quanto al ritenersi il ricorrente totalmente vittorioso in prime cure, è affermazione da un lato comunque irrilevante – atteso l’appello proposto dal Comune – dall’altro anche infondata;
a tal proposito si noti che il ricorrente ha trascritto, nelle parti di interesse, l’originario ricorso iscritto al RG n. 174/2011 e (parzialmente) la sentenza di primo grado (non ha trascritto, invero, anche il ricorso iscritto al RG n. 378/2012 il cui contenuto, però, si evince dal controricorso ed anche dalla sentenza impugnata);
dagli atti di causa risulta, dunque, che vi erano stati due distinti ricorsi (poi riuniti);
il primo (RG n. 174/2011) avente ad oggetto la richiesta di declaratoria di illegittimità del provvedimento di trasferimento del 12 agosto 2010 perché discriminatorio e lesivo dell’onore oltre che determinante demansionamento e lesione della professionalità;
il secondo (RG n. 378/2012) avente ad oggetto la condotta antisindacale del Comune di Cesena con riguardo alla determinazione n. 263/2012 di organizzazione del nuovo orario di servizio, atto da considerarsi “alternativamente”, quanto alla posizione dello Z.P., discriminatorio;
nella pronuncia (favorevole, ancorché “per quanto di ragione”) di prime cure non era stata, in realtà, ricompresa anche la domanda di cui al secondo ricorso e soprattutto non vi era stata alcuna affermazione circa la sussistenza di un intento punitivo o discriminatorio da riconoscersi al (pur demansionante) trasferimento (sul punto il Tribunale ha ritenuto di non dover indagare su quelle “vagheggiate dal ricorrente come reali intenzioni della volontà datoriale”);
né sussistono elementi per ritenere che tale seconda domanda avesse avuto meramente ad oggetto una prosecuzione nel tempo della condotta discriminatoria denunciata con il primo ricorso;
vi era stato, invero, nella sentenza del Tribunale un cenno ad una contrazione dell’orario: ma nessun passaggio di tale sentenza aveva riguardato la pretesa condotta antisindacale e, inoltre, il dispositivo della stessa aveva fatto riferimento solo al provvedimento del 2010 senza nulla dire con riguardo alla determinazione organizzativa del 2012 (ed alla domanda a questa relativa) intervenuta quando lo Z.P. era stato già trasferito;
peraltro, il ricorso di cui al RG n. 378/2012 è successivo al disposto trasferimento dello Z.P. (ed anteriore alla reintegra nelle originarie mansioni di Capo Reparto del Reparto di Vigilanza e Quartieri di cui alla sentenza del Tribunale di Forlì del 2015), il che costituisce ulteriore elemento per escludere che tra la condotta di cui al ricorso del 2012 e quella di cui al ricorso del 2011 vi fosse una unicità di contesto lavorativo tale da far ritenere ricompresa nella pronuncia favorevole (“per quanto di ragione”) anche una delibazione su tale seconda domanda;
la motivazione della sentenza di prime cure era stata, dunque, incentrata sul demansionamento per effetto del trasferimento, senza alcuna espressa pronuncia sull’altra domanda (e sulla pretesa condotta antisindacale oltre che sulle delibere aventi ad oggetto l’articolazione dell’orario), così come non vi era stata alcuna pronuncia (favorevole) sul preteso intento punitivo e discriminatorio;
quindi il ricorrente non era stato vittorioso come assume così dall’essere esonerato dalla proposizione dell’impugnazione incidentale sulle domande non accolta;
né vi sono elementi per ritenere che l’esame di tale seconda domanda sia stato assorbito;
rispetto ad un lamentato comportamento punitivo e discriminatorio, il riconosciuto demansionamento, pure oggetto di domanda, attiene ad un’azione diversa come diverse possono essere le conseguenze in termini di risarcimento del danno;
3. con il secondo motivo il ricorrente denuncia “omessa pronuncia sul demansionamento e sul danno liquidato per la suddetta dequalificazione”; censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che, stante il mancato appello incidentale, la questione devoluta attenesse all’accertata dequalificazione (an debeatur) ed al danno liquidato (quantum debeatur);
4. il motivo è infondato per le stesse ragioni evidenziate con riguardo al precedente motivo;
5. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001;
censura la sentenza impugnata per avere “incongruamente motivato” l’esistenza di una equivalenza formale tra le mansioni precedenti e posteriori al trasferimento;
6. il motivo è inammissibile;
nonostante la formale denuncia di violazione di legge il ricorrente si duole della motivazione della Corte territoriale in punto di equivalenza delle mansioni e, nella sostanza, sollecita una revisione del giudizio di merito, non consentita in sede di legittimità;
nella specie la Corte bolognese, sulla base di un accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, ha escluso la sussistenza dell’asserito demansionamento del ricorrente, poiché adibito ad una mansione rientrante nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo di comparto e, dunque, ha interpretato l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 in senso assolutamente conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “in ipotesi di esercizio dello ius variandi nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52, d.lgs. n. 165/2001, assegna rilievo al solo criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, da valutarsi con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, prescindendo dagli specifici contenuti professionali e comunque dal rilievo gerarchico e funzionale che implicavano quelle di provenienza, senza che il giudice possa, dunque, sindacare sotto tale profilo la natura equivalente della mansione assegnata, non trovando applicazione la norma generale di cui all’art. 2103 cod. civ.” (v. Cass. n. 18816/2019; Cass. n. 18817/2018; Cass. n. 2011/2017; Cass. n. 17214/2016, Cass. n. 7106/2014, Cass. n. 12109/2014);
il limite è costituito dalla sottrazione integrale delle funzioni che è, evidentemente, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego ma che, nello specifico, è stata esclusa dalla Corte territoriale che ha ritenuto di non poter ravvisare, sulla base delle risultanze di causa, una situazione di totale inoperosità ovvero di sottrazione delle mansioni assegnate allo Z.P.;
7. con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115- 116 cod. proc. civ. e 416 cod. proc. civ., 97 Cost e 52 d.lgs. n. 165;
lamenta il ricorrente il complessivo travisamento delle prove acquisite nel corso del giudizio di primo grado;
8. il motivo è inammissibile;
va ricordato che la dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v. ex aliis Cass., Sez. Un., n. 16598/2016; Cass. n. 11892/2016) e che la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016 cit.; Cass. n. 13960/2014; Cass. n. 26965/2007), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame;
9. con il quinto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente motivazione sull’inattendibilità di talune deposizioni testimoniali;
10. anche tale motivo è inammissibile;
occorre rilevare che a seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ad opera del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, applicabile alla fattispecie ratione temporis, è denunciabile nel giudizio di legittimità solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, sicché resta ormai esclusa qualunque rilevanza della mera insufficienza della motivazione;
per il resto, il richiamato art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;
l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;
il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. solo qualora il ricorrente indichi il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’;
dette condizioni non ricorrono nella fattispecie sicché il ricorso si risolve in un’inammissibile critica della valutazione espressa dalla Corte territoriale, riservata al giudice del merito, sulla sussistenza di un demansionamento;
si aggiunga che, come da questa Corte più volte affermato (v. Cass. n. 6519/2019; Cass. n. 331/2020; Cass. n. 3821/2020; Cass. 12711/2020; Cass. 6519/2019), il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalle legge;
11. con il sesto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente motivazione sull’equivalenza delle mansioni prima e dopo il trasferimento;
12. il motivo è inammissibile per le stesse ragioni evidenziate con riguardo al motivo che precede;
13. da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto;
14. alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
15. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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