CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 4273 depositata il 10 febbraio 2023
Eccedenza di retribuzione – Recupero – Periodi di ferie maturati in costanza del periodo di vigenza dei contratti di solidarietà cd. difensivi – Onere probatorio – Normativa in materia di contratti di solidarietà e riproporzionamento della retribuzione feriale durante i relativi periodi
Fatto
1. Con sentenza 17 gennaio (notificata il 14 febbraio) 2020, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello di A.C. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato insussistente l’obbligo di restituzione ed illegittimo il recupero attivato dalla società (con la sua condanna alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto), nei confronti dei propri dipendenti M.D., R.D.M., R.D.G., F.S., G.L.C., M.G.S. e D.M., in relazione al conguaglio operato per l’eccedenza di retribuzione corrispostagli per i periodi di ferie fruiti dopo la cessazione dell’integrazione salariale a carico dell’Inps, ancorché maturati in costanza del periodo di vigenza dei contratti di solidarietà cd. difensivi (in base ad accordi relativi al periodo 2013 – 2016, implicanti una riduzione dell’orario di lavoro su base verticale e a livello mensile, con relativo “riproporzionamento” degli istituti contrattuali e retributivi) del tipo A (con intervento in percentuale dell’integrazione salariale a carico dell’Inps), divenuti dal 1° dicembre 2015 al 31 maggio 2016 di tipo B (senza più integrazione salariale).
2. Preliminarmente illustrata la natura e gli effetti dei contratti di solidarietà, la Corte territoriale ha ritenuto, in condivisione con il Tribunale, la spettanza dell’onere probatorio, come sempre per chi agisca in ripetizione di un pagamento che assuma indebito ancorché convenuto (come nel caso di specie per l’iniziativa del lavoratore) in un giudizio di accertamento negativo, a carico della società datrice. E parimenti ha escluso che essa abbia documentato (come ben avrebbe potuto con le buste paga emesse nei corrispondenti periodi contrattuali, non prodotte, con la conseguente impossibilità di comparazione tra le poste in contestazione) la corresponsione di una retribuzione maggiore di quella dovuta per effetto della fruizione dai lavoratori delle ferie, maturate in costanza del periodo di solidarietà, in epoca successiva.
3. Né, infine, essa ha ravvisato nella richiesta restitutoria di A.C. s.p.a. alcun interesse meritevole di tutela, per la garanzia costituzionale del diritto del lavoratore alle ferie, regolato per legge, avendo essa scelto unilateralmente, in base ad un proprio atto di gestione imprenditoriale maggiormente rispondente ai propri interessi, di impiegare i lavoratori durante il periodo di solidarietà, fruendo in esso del cd. riproporzionamento della retribuzione; senza potersi ulteriormente avvantaggiare della riduzione di quanto loro dovuto per il periodo feriale maturato in detto periodo, ma goduto dai lavoratori dopo, una volta totalmente ripristinati gli obblighi giuridici (di prestazione e di corrispettiva retribuzione) del rapporto di lavoro.
4. Con atto notificato il 13 aprile 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, cui hanno resistito i lavoratori con controricorso.
5. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il secondo motivo, da esaminare in via prioritaria in ragione della motivazione della sentenza impugnata sull’onere probatorio relativo al fatto costitutivo della domanda di ripetizione di indebito, la ricorrente deduce omesso esame ed erronea valutazione di documentazione prodotta in giudizio e conseguente difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia ed omesso esame dei documenti allegati da 1 a 6, 12 e 13 alla memoria di costituzione, avendo la Corte territoriale trascurato non solo la circostanza dell’assenza di contestazione da parte dei lavoratori di integrale pagamento della retribuzione feriale relativa ai periodi di solidarietà (pertanto fatto pacifico non esigente ulteriore prova), ma anche dell’analitico dettaglio, riportato dalla documentazione richiamata, delle ferie maturate e non fruite nei periodi di solidarietà con i corrispondenti importi retributivi (dai quali agevolmente ricavabili, con una semplice operazione matematica, le somme effettivamente dovute).
2. Esso è inammissibile.
3. Anche a prescindere dal difetto di specificità – in assenza di trascrizione (quantomeno) delle parti rilevanti del ricorso introduttivo del giudizio in cui i lavoratori avrebbero allegato la riscossione dell’intera retribuzione per le ferie maturate durante il regime di solidarietà e fruite successivamente a detto periodo (in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.: Cass. s.u. 18 marzo 2022, n. 8950; Cass. 19 aprile 2022, n. 12481) – si verifica nel caso di specie l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, né i ricorrenti, come pure avrebbero dovuto per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., hanno indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità tra loro (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994).
3.1. Né il motivo può essere riqualificato, sull’assunto che con esso si intendesse censurare la violazione dell’art. 115 c.p.c. per omessa considerazione dei fatti non specificamente contestati quali elementi da porre a fondamento della decisione, in quanto la non contestazione non riguarda i documenti bensì i soli fatti “allegati”: neppure, come detto, riportati negli essenziali elementi rilevanti.
4. Si esaminano, per completezza, anche gli altri motivi di ricorso pur se il rigetto della doglianza di cui al motivo esaminato e relativa ad una delle ragioni su cui si fonda la sentenza impugnata rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13956 del 2005; Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 9752 del 2017; da ultimo Cass. n.27094 del 2021).
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 legge n. 863/1984, 5 legge n. 236/1993 e delle circolari Inps n. 9/1986 e n. 212/1994, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare la maturazione delle ferie, durante la vigenza del contratto di solidarietà, in proporzione all’effettivo orario osservato (in misura ridotta) da ciascun dipendente, come previsto dai contratti di solidarietà stipulati dalla società (pg. 3 degli Accordi 31 marzo 2012, 20 maggio 2014, 8 aprile 2015, 31 maggio 2016 e pg. 4 dell’Accordo 18 dicembre 2015), né la distinzione tra contratti di solidarietà di tipo A e di tipo B (occupandosi, le circolari INPS, esclusivamente di prevedere un’integrazione salariale delle ferie per la solidarietà di tipo A, senza porre alcun principio in base al quale le ferie fruite successivamente alla scadenza della solidarietà siano interamente a carico del datore di lavoro).
5. Con il terzo, essa deduce violazione e falsa applicazione della normativa in materia di contratti di solidarietà e riproporzionamento della retribuzione feriale durante i relativi periodi, avendo la Corte territoriale trascurato l’esplicita previsione di tutti i contratti di solidarietà stipulati del proporzionamento delle ferie alle ore effettivamente lavorate dal dipendente, così come della remunerazione relativa: ricevendo i dipendenti, nei contratti difensivi di tipo A, due quote retributive concernenti le ferie (il trattamento economico riproporzionato erogato dal datore di lavoro e l’integrazione salariale, corrisposta solo se le ferie siano fruite durante il regime di solidarietà, dall’Inps); nei contratti di tipo B, esclusivamente l’importo riproporzionato, erogato dal datore di lavoro.
6. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.
7. Al di là del difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. per carenza di trascrizione e di indicazione della produzione, tanto meno specifica, delle circolari Inps (Cass. s.u. 18 marzo 2022, n. 8950; Cass. 19 aprile 2022, n. 12481), non sussistono le violazioni di legge denunciate, in quanto il meccanismo di applicazione dei contratti di solidarietà (in particolare di tipo A, con integrazione salariale percentuale, a differenza di quelli di tipo B, di essa privi) non è stato messo in discussione.
7.1. La decisione della controversia ha avuto, infatti, ad oggetto il trattenimento indebito (come denunciato con azione negativa di accertamento dai lavoratori e ritenuto da entrambe le Corti di merito) dalla società datrice del pagamento ad orario pieno di una prestazione lavorativa integrale, eccedente rispetto al rateo di ferie maturato in misura ridotta (per effetto del riproporzionamento della retribuzione, e dei relativi istituti contrattuali collegati tra i quali le ferie, all’orario lavorativo inferiore prestato) in costanza di solidarietà, ma fruito dopo la sua cessazione: come rettamente inteso dalla Corte territoriale e confermato dalla stessa società datrice (in particolare dall’ultimo capoverso di pg. 22 al secondo di pg. 23 del ricorso).
Le censure, non cogliendo la ratio decidendi della sentenza (di assenza di prova della mancanza di causa della dazione della società agente in ripetizione di indebito, ancorché convenuta in un giudizio di accertamento negativo: dal primo periodo al quarto capoverso di pg. 6 della sentenza) e così non confutandola, risultano pertanto prive del requisito di specificità, prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige, a pena di inammissibilità, l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845; Cass. 18 novembre 2020, n. 26277).
8. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per l’omessa prova della volontà dei lavoratori di fruire delle ferie dopo la vigenza del contratto, avendo la Corte territoriale non considerato: a) essersi la società, quanto ai periodi di ferie, attenuta ai criteri fissati dal contratto collettivo applicato in azienda (in particolare, art. 31 C.C.N.L. Telecomunicazioni 1° febbraio 2013, di previsione ogni anno di un piano di ferie estivo – da giugno a settembre – e di uno invernale – dal 15 dicembre al 15 gennaio – in relazione ai quali presentare da parte dei dipendenti domanda di ferie); b) avere sollecitato i dipendenti alla corretta fruizione delle ferie (con espresse comunicazioni evidenzianti l’inserimento in busta paga di tre distinti contatori riferiti alla maturazione, fruizione e ai residui dell’istituto “ferie cds”); c) non avere mai ricevuto richieste di fruizione di ferie in periodi diversi da quelli effettivamente goduti dai singoli dipendenti.
Essa ha negato la violazione pure dell’art. 36 Cost., essendo state le ferie riproporzionate alla quantità e qualità della prestazione resa dai lavoratori, in mancanza di alcun obbligo normativo per il datore di lavoro di pagamento della quota del trattamento retributivo in eccesso.
Sicché, l’unico momento di fruizione delle ferie non poteva che essere il primo utile di svolgimento della prestazione lavorativa, non avendo alcun dipendente richiesto mai di fruire di ferie in tempi o modi diversi da quelli indicati dalla società.
9. Con il quinto essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt 112 c.p.c., 2697 c.c., in quanto la Corte territoriale – pure avendo menzionato il primo motivo di gravame (relativo alla violazione da parte del Tribunale del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, in ordine all’onere della prova, a carico della società, di avere i lavoratori prestato un numero di giornate di lavoro inferiori a quelle che generalmente prevedono la garanzia di piena maturazione dei ratei, compresi quelli di ferie, durante i contratti di solidarietà) – ha tuttavia trascurato che nessuna delle parti abbia mai messo in discussione di aver lavorato per un numero di giornate tale da comportare un ricalcolo (a livello retributivo) delle ferie, anche alla luce degli Accordi di solidarietà intercorsi: dato pertanto pacifico.
10. Anch’essi, pure congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.
11. Quanto alla prima censura, al di là della spettanza all’imprenditore, a norma dell’art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti e quindi di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, sul presupposto di una sua valutazione comparativa delle diverse esigenze, quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore competendo soltanto la facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo annuale (da ultimo: Cass. 19 agosto 2022, n. 24977, in motivazione sub p.to 11), la circostanza dell’omessa prova della volontà dei lavoratori di fruire delle ferie dopo la vigenza del contratto di solidarietà è irrilevante.
La società datrice non ha, infatti, assolto all’onere probatorio, indiscutibilmente a suo carico, in ordine alla ripetizione di indebito (sub specie di trattenuta sulla busta paga dei ratei di ferie in questione asseriti retribuiti in eccesso), essendo detta circostanza relativa ad argomentazione completiva della Corte territoriale (“D’altra parte … ”: dal primo al terzo capoverso di pg. 7 della sentenza): mero obiter dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass. 11 marzo 2022, n. 7995).
11.1. La seconda censura poi, quand’anche fosse fondata, è priva di decisività, posto che, al di là del numero di giornate lavorate, la Corte territoriale ha ritenuto (oltre all’inconfutata ratio decidendi del difetto di prova dell’indebito pagamento) neppure potere “ritenersi provato che le ferie fruite dai lavoratori fossero state retribuite per intero dall’azienda” (così all’ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).
12. Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 c.p.c. e del D.L. 132/2014, per erronea statuizione sulle spese, secondo il regime di soccombenza, anziché la loro compensazione per la complessità e la novità della questione.
13. Esso è inammissibile.
14. La liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio di soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali; con obbligo di chi si dolga di ciò, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 4 luglio 2011, n. 14542), essendo sindacabile in tale sede la sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio di soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. 27 settembre 2002, n. 14023; Cass. 31 agosto 2020, n. 18128).
15. Nel caso di specie, la ricorrente ha invocato profili (riferimento al caso concreto, delicatezza e complessità della questione trattata) che involgono una valutazione discrezionale, non censurabile davanti a questa Corte.
16. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 1.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.