Corte di Cassazione sentenza n. 7830 depositata il 29 marzo 2018
LICENZIAMENTO – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – LAVORATORE ASSENTE PER MALATTIA – CERTIFICATI MEDICI – FALSITA’ – ONERE DELLA PROVA – A CARICO DEL DATORE DI LAVORO – SUSSISTE
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Roma respingeva il ricorso di G.F. inteso ad ottenere l’accertamento della illegittimità ed inefficacia del licenziamento disciplinare intimato al predetto il 15.2.2010 e la condanna della RAI s.p.a. alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
2. La Corte di appello respingeva il gravame del lavoratore rilevando come la RAI avesse prodotto tempestivamente i certificati inviatile dal G., ritenuti falsi e posti a fondamento del licenziamento intimato per violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede derivanti dal rapporto di lavoro ex art. 2104 c.c., degli obblighi discendenti dal regolamento di disciplina aziendale – art. 29 c.c.n.l. – e dal codice etico (era emerso che l’autenticità del secondo certificato medico inviato, a firma del Dr. S.S., contenente la prognosi di gg. 10 di riposo e cura, non poteva che essere esclusa perché, il giorno in cui era stato rilasciato, il medico non aveva svolto alcuna attività di sostituzione nell’ambito del servizio di medicina generale, in luogo della titolare, Dott. B.); osservava, poi, che il G. non aveva rispettato l’obbligo di custodire gli originali dei detti certificati e che, se la prova della sussistenza della giusta causa di licenziamento gravava sul datore di lavoro, la documentazione giustificativa dell’assenza dal lavoro doveva essere fornita dal lavoratore, sicché neanche rilevava che la società avesse rinunciato all’audizione della teste Dr. B., rinunzia peraltro accettata dal ricorrente. Né poteva conferirsi rilievo alla giustificazione secondo cui per prassi i certificati venivano richiesti per telefono e rilasciati senza procedere a visita del paziente.
3. Sulla immediatezza della contestazione e del provvedimento espulsivo, si osservava che era riservato al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che giustificassero o meno il ritardo e che la doglianza del ricorrente al riguardo era connotata da genericità a fronte di specifica argomentazione del giudice del merito.
4. Anche le censure dell’appellante sulla proporzionalità della sanzione venivano disattese.
5. Di tale decisione chiede la cassazione il G., fondando l’impugnazione su tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, è denunziata violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’erronea valutazione della ripartizione dell’onere della prova delle circostanze fatte valere in giudizio ed al principio di non contestazione ex artt. 115, 167 e 416 c.p.c., in relazione ai fatti di causa quali esposti nel ricorso.
2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 2104 c.c..
3. Con il terzo, è dedotta violazione ed erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione al principio di immediatezza della contestazione.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato.
5. Premesso che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice (cfr. Cass. 21.6.2016 n. 12749), non è conforme a diritto l’affermazione secondo cui in sede di contraddittorio giudiziale grava sul lavoratore l’onere di provare la veridicità dei certificati posti a fondamento dell’assenza dal lavoro ed in tale contesto non rileva quanto argomentato in sentenza in ordine alle circostanze che nulla aveva il ricorrente eccepito dopo avere preso visione delle dichiarazioni dei medici allegate alla memoria di costituzione della società e che solo nell’atto di appello il predetto aveva affermato di non ricordare come erano stati redatti i certificati relativi al suo stato di salute.
6. In tema di licenziamento, la L. n. 604 del 1966, art. 5, pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l’onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l’altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte (cfr. Cass. 16.8.2016 n. 17108).
7. Premesso che la procedura di verificazione è prescritta soltanto per le scritture provenienti dai soggetti del processo e nell’ipotesi di negazione della propria firma da parte di quel soggetto contro il quale esse siano state prodotte e che pertanto, nella controversia concernente la legittimità del licenziamento, intimato al lavoratore per la falsificazione di un certificato medico, legittimamente il giudice del merito accerta la falsità dell’atto, proveniente da un terzo, senza il ricorso alla procedura anzidetta (cfr. Cass. 14.2.1983 n. 1113), deve osservarsi come, in conformità al principio su richiamato in tema di prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo del licenziamento, era onere del datore di lavoro dimostrare la falsità dei certificati medici trasmessi dal lavoratore a giustificazione dell’assenza dal lavoro. Sicché, non solo doveva essere reputata come ostativa a detto accertamento sul piano probatorio la rinunzia da parte del datore all’assunzione della teste Dott.ssa B., rinunzia peraltro accettata dal ricorrente, ma la valutazione della dedotta falsità dei certificati non poteva neanche essere compiuta – come invece ritenuto corretto dalla pronunzia impugnata – sulla base unicamente delle dichiarazioni stragiudiziali rese dalla indicata Dott.ssa B. e sulla base della e-mail inviata il 28.10.2009 dal Dott. S., indicato quale sostituto della prima che aveva rilasciato il secondo certificato di conferma della originaria prognosi, con proroga del periodo di malattia.
Quindi, non soltanto deve rilevarsi la difformità rispetto ai principi enunciati delle affermazioni della Corte di appello di Roma in tema di ripartizione dell’onere probatorio, in quanto, una volta inviata dal lavoratore via fax la documentazione giustificativa dell’assenza, sul piano probatorio null’altro competeva a quest’ultimo, ma deve altresì osservarsi come alle dichiarazioni e comunicazione dei sanitari sopra richiamate non potesse conferirsi alcuna attitudine a smentire l’autenticità dei detti certificati, senza escussione degli indicati sanitari quali testi nell’ambito di rituale attività di acquisizione delle prove in regime di regolare contraddittorio tra le parti. Diversamente opinando, in sostanza si ammetterebbe la possibilità di deposizioni scritte al di fuori dei rigorosi limiti previsti dell’art. 257-bis c.p.c.; né può sostenersi che anche la smentita via e-mail d’un certificato rilasciato da medico di struttura pubblica o con essa convenzionato sia assistita dalla medesima fede privilegiata, essendo quest’ultima connessa e tipizzata non già in relazione alla mera qualificazione soggettiva del dichiarante, bensì anche alla natura dell’atto.
8. Alla stregua di tali considerazioni, deve pervenirsi all’accoglimento del primo motivo – che determina l’assorbimento degli altri – con conseguente cassazione della pronunzia impugnata in relazione all’accoglimento dell’indicato motivo di ricorso.
9. Va, poi, disposto il rinvio della causa alla Corte di appello indicata in dispositivo per nuovo esame alla luce dei principi su richiamati, dei quali dovrà essere fatta conseguente applicazione.
10. In sede di rinvio dovrà provvedersi alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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