CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 2207 depositata il 22 gennaio 2024
Lavoro – Avvisi di addebito INPS – Estratto di ruolo – PEC – Pubblico registro IPA – Inammissibilità
Rilevato che
Con sentenza del giorno 8.4.2021 n. 362, la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame proposto da D.T. srl avverso la sentenza del tribunale di Como che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto da quest’ultima avverso gli estratti di ruolo di undici avvisi di addebito dell’Inps, affermando di non aver mai ricevuto la notificazione di alcuno di essi e chiedendo l’accertamento negativo del credito in essi dedotto.
Il tribunale rilevava che la società ricorrente non aveva dedotto alcun vizio degli atti asseritamente non notificati, tale da consentire, in astratto, l’accoglimento della domanda e, in ogni caso, dai documenti prodotti dall’Inps, risultava che tutti gli avvisi di addebito erano stati notificati a mezzo pec, all’indirizzo di posta elettronica della società ricorrente.
La Corte d’appello, per quanto ancora d’interesse, nel confermare la sentenza di primo grado, ha accertato la mancanza dell’interesse ad agire, in caso di opposizione all’estratto di ruolo, in assenza di un’azione recuperatoria che miri a dimostrare che il termine di 40 giorni dalla notifica della cartella, di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 46/99 non è mai iniziato a decorrere, perché non vi è stata notifica idonea a determinare la conoscenza dell’iscrizione a ruolo; mentre l’impugnazione dell’estratto di ruolo, in sé, è inammissibile, perché non è atto idoneo a determinare alcuna lesione del patrimonio del contribuente. Nella specie, gli avvisi di addebito risultavano tutti debitamente notificati ben prima dell’asserita conoscenza degli stessi attraverso la richiesta dell’estratto di ruolo, e ciò era avvenuto a mezzo pec, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società.
Infine, la Corte d’appello ha rigettato la doglianza sulla mancata valutazione del disconoscimento della conformità delle copie agli originali dei documenti attestanti le notificazioni degli avvisi di addebito, perché tale disconoscimento era stato generico, non essendo stati allegati elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà in tali documenti rappresentata.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, D.T. srl ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, mentre l’Inps e l’Agenzia delle Entrate riscossione hanno resistito con controricorso.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza perché la Corte di appello non aveva censurato la decisione del tribunale di negare il disconoscimento effettuato dalla società ricorrente, ex artt. 214, 215 e 216 c.p.c. e ex art. 2719 c.c., della conformità delle copie delle relate agli originali e per violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare dell’art. 3 bis della legge n. 53/94, dell’art. 26 comma 2 del DPR n. 602/73, dell’art. 57 bis del d.lgs. n. 82/05 (Codice dell’amministrazione digitale) e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per inesistenza delle notifiche effettuate via pec dall’Inps, perché gli avvisi di addebito erano stati inviati da indirizzi pec non inseriti nel pubblico registro IPA.
Con il terzo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per l’inesistenza delle notifiche effettuate via pec dall’Inps da un indirizzo non inserito nei pubblici elenchi IPA.
Con il quarto motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto notificato l’avviso di addebito n. 33320190000539828000 nonostante gli enti non avessero provato la notifica e la medesima Corte non avesse rilevato tale preliminare ed assorbente omissione.
In via preliminare, rispetto ai motivi di gravame, la questione, che questo collegio è chiamato a dirimere, concerne la possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto rituale notificazione di atti di riscossione, e che ne scopra l’esistenza, di impugnarli immediatamente, anche insieme col ruolo.
Va rilevato che sul punto è intervenuto il legislatore con l’art. 3-bis del d.l. n. 146/21, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215/21 che ha novellato l’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, intitolato alla “Formazione e contenuto dei ruoli”, il quale ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 12 citato che ha stabilito, nella sua prima parte, che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», limitando l’accesso alla tutela immediata, configurata precedentemente dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 19704/15 che l’aveva rimessa alla facoltà della parte, rispetto alla tutela differita prevista dall’art. 19 comma 3, ultima parte del d.lgs. n. 546/92.
Il comma 4 bis dell’art. 12 del DPR n. 602/73, nella sua seconda parte prevede anche che “Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.
Assodato, quindi, che l’estratto di ruolo, in linea generale non è più impugnabile, si è quindi aperta la questione se la nuova normativa si applichi o meno ai giudizi pendenti.
Con decisione molto recente, n. 26283 del 2022, la S.C. ha statuito, in primo luogo (e con riferimento alla prima parte del comma 4 bis), che “la disposizione del comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n.602/73 è ricognitiva della natura dell’estratto di ruolo, mero elaborato informatico contenente gli elementi della cartella, ossia gli elementi del ruolo afferente a quella cartella, che non contiene pretesa impositiva alcuna, a differenza del ruolo, il quale è atto impositivo, in quanto tale annoverato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/92 tra quelli impugnabili: sulla distinzione si sono soffermate queste sezioni unite (con la già citata sentenza n. 19704/15) e non constano voci dissonanti (in linea, anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4/22).14.1.- Quel che s’impugna è quindi l’atto impositivo o riscossivo menzionato nell’estratto di ruolo; di modo che inammissibile è l’impugnazione dell’estratto di ruolo che riporti il credito trasfuso in una cartella di pagamento che sia stata precedentemente notificata, e non impugnata (tra varie, Cass. n. 21289/20), o che sia rivolta a far valere l’invalidità di un’intimazione, regolarmente notificata e non contestata, per l’omessa notificazione delle cartelle di pagamento (sempre tra varie, v. Cass. n. 31240/19).”
Le stesse sezioni unite, in secondo luogo e con riferimento alla seconda parte del comma 4 bis dell’art. 12 DPR 602 cit. hanno statuito che: “Il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sè bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, tenendo conto dell’incisivo rafforzamento del sistema di garanzie, di cui si è detto, plasma l’interesse ad agire.17.1.- Questa condizione dell’azione ha difatti natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (tra varie, Cass. n. 9094/17; sez. un., n. 619/21), e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione. La disciplina sopravvenuta si applica, allora, ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell’impugnazione.” (Cfr. Cass. n. 10595/23).
Nei termini di cui alla presente vicenda, l’estratto di ruolo non poteva, quindi, essere impugnato dal contribuente, non rientrandosi nelle deroghe di cui al comma 4 bis dell’art. 12 del DPR n. 602/73; infatti, non risulta dagli atti, che ricorrano uno dei casi nei quali è consentita l’impugnazione del ruolo sulla base della nuova disciplina: l’eventuale ampliamento del novero di tali casi, pur auspicato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 190/23, è una questione che rientra esclusivamente nella competenza del Legislatore nazionale.
La normativa sopravvenuta giustifica la compensazione delle spese.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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