CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3538 depositata il 7 febbraio 2024
Lavoro – Svuotamento delle mansioni – Giusta causa di dimissioni – Principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Vizio di ultrapetizione – Rigetto
Considerato che
1. La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello della società A. srl – Gruppo IPI e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto integralmente la domanda proposta da V.A..
2. Quest’ultimo, nominato direttore generale della società dal 2001, premesso di aver subito un completo svuotamento delle mansioni a partire dal 20.9.2018 e che ciò costituiva giusta causa delle dimissioni comunicate il 28.10.2018, aveva agito in giudizio per chiedere la condanna della società al pagamento, ex artt. 24 e 39 del CCNL, di una indennità pari a dodici mensilità nonché delle somme indebitamente trattenute sul trattamento di fine rapporto.
3. Il tribunale aveva accolto la domanda sul presupposto dell’esistenza di una giusta causa di dimissioni, ai sensi dell’art. 2119 c.c.
4. La Corte d’appello ha distinto due diverse ipotesi di dimissioni contemplate dal CCNL e dal codice civile; la prima disciplinata dall’art. 24, rubricato come “mutamento di posizione”, con le conseguenze previste dall’art. 39, comma 5 del contratto collettivo; la seconda, di dimissioni per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., con le conseguenze dettate dall’art. 38 del CCNL; ha ritenuto che il lavoratore avesse richiesto, col ricorso introduttivo della lite, unicamente l’indennità di cui agli artt. 24 e 39, comma 5 cit.; che tale domanda era stata correttamente respinta dal primo giudice per mancato rispetto del termine di 60 giorni previsto dall’art. 24 cit., senza che sul punto fosse stato proposta impugnazione; che la sentenza di primo grado era viziata da ultrapetizione poiché il tribunale aveva riconosciuto l’indennità sostitutiva del preavviso, ai sensi dell’art. 2119 c.c., e la maggiorazione di cui all’art. 38 del CCNL, in assenza di una domanda di parte; che quindi la sentenza di primo grado andava riformata, con rigetto integrale della domanda del lavoratore.
5. Avverso tale sentenza V.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La società A. srl – Gruppo IPI ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
6. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Rilevato che:
7. Con l’unico motivo di ricorso il lavoratore deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1., n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e, specificamente, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Assume che il tribunale non si è pronunciato oltre i limiti della domanda essendosi, invece, limitato ad applicare una norma giuridica diversa (art. 38 CCNL) da quella invocata dal lavoratore (art. 39 CCNL), restando immutati il petitum e la causa petendi.
8. Occorre premettere che, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale. In proposito va condiviso l’orientamento da ultimo ribadito da Cass. n. 20716 del 2018 (in conformità a Cass. n. 8069 del 2016; n. 16164 del 2015), anche sulla scia di Cass. S.U. n. 8077 del 2012 (v. contra Cass. 20718 del 2018; n. 21874/15; n. 11828 del 2014, che però non affrontano i principi di fondo affermati dalla cit. Cass. S.U. n. 8077 del 2012).
9. Riaffermato, dunque, che spetta al giudice di legittimità, a fronte della denuncia di un error in procedendo, estendere la cognizione al tenore degli atti processuali, nel caso di specie, dalla piana lettura delle allegazioni e delle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo di primo grado risulta che il ricorrente aveva formulato un’unica domanda ai sensi dell’art. 24 e 39, quinto comma, del CCNL.
10. Nel ricorso introduttivo di primo, depositato in modalità telematica in allegato al ricorso per cassazione, il ricorrente, dopo aver descritto lo svuotamento delle mansioni subito a seguito della nomina del nuovo amministratore delegato, a pag. 10, § 9, relativo a “Mutamento di posizione – La differenza qualitativa delle mansioni” ha esposto: “Le circostanze di fatto evidenziano senza tema di smentita la ricorrenza delle condizioni postulate dall’articolo 24 CCNL a mente del quale il dirigente che, a seguito di mutamento delle proprie mansioni sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolva, entro 60 giorni, il rapporto di lavoro, avrà diritto, oltre al trattamento di fine rapporto, anche all’indennità sostitutiva del preavviso di cui al successivo art 39 comma 5”; a pag. 15, § 10 ha ribadito: “Alla luce delle considerazioni in fatto e in diritto sopra svolte, il ricorrente, dimessosi per giusta causa a fronte del mutamento sostanziale della sua posizione apicale, ha diritto alla corresponsione dell’indennità prevista dal CCNL di riferimento all’art 39, V comma, nella misura pari a 12 mensilità”; a pag. 16, nelle “Conclusioni”, ha chiesto di “Accertare e dichiarare…la giusta del recesso operato dal ricorrente a mente dell’art. 24 CCNL ed art. 2119 cod. civ.; condannare la società A. srl al pagamento della indennità di cui all’articolo 39, V comma, CCNL nella misura di 12 mensilità…”.
11. Non ricorre pertanto l’error in procedendo denunciato dall’attuale ricorrente avendo la Corte di merito correttamente dichiarato il vizio di ultrapetizione, per essersi il tribunale pronunciato su una domanda non proposta nel ricorso introduttivo; del pari correttamente, i giudici di appello hanno escluso che la sentenza di primo grado si fosse limitata ad una diversa qualificazione giuridica della domanda proposta, data la pacifica diversità del petitum e della causa petendi rispettivamente della domanda formulata ai sensi degli artt. 24 e 39, comma 5, del CCNL rispetto a quella di recesso per giusta causa, di cui all’art. 2119 c.c., con le conseguenze dettate dall’art. 38 del contratto collettivo applicato, tanto che l’eventuale modifica dell’una domanda nell’altra avrebbe determinato una mutatio libelli (sulla distinzione tra mutatio e emendatio libelli v. Cass. 21017 del 2007; n. 17457 del 2009; n. 12621 del 2012; n. 1585 del 2015).
12. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
13. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo
14. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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