CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 9339 depositata l’ 8 aprile 2024
Lavoro – Infortunio – Negligente condotta datoriale – Misure di sicurezza – Rigetto
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Palermo, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di prime cure con cui si è ritenuto che l’infortunio sul lavoro occorso a P.G. il 1° settembre 2014 fosse causalmente ascrivibile all’omissione delle cautele previste dall’art. 2087 c.c., condannando la società datrice di lavoro A.E. Spa a rimborsare all’Inail, in via di regresso, la somma pari ad € 176.995,75;
2. la Corte, dopo aver accertato che l’infortunio si era verificato mentre il lavoratore era impegnato in compiti di manutenzione rientranti nelle sue mansioni a causa di una scarica elettrica proveniente dal contatto con elementi di tensione collocati all’interno di una cabina di illuminazione pubblica, ha ritenuto “adeguatamente dimostrato che l’incidente in parola sia addebitabile ad una negligente condotta datoriale, per aver omesso di adottare ogni utile cautela idonea a garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, attraverso un costante monitoraggio della integrità strutturale e funzionale sia della cabina di illuminazione pubblica che delle componenti strumentali e meccaniche ivi allocate compresa l’area in cui si trovò ad operare il G., che avrebbe dovuto essere dotata di strumenti di sicurezza atti ad evitare e/o attenuare le conseguenze dannose di una dispersione di energia elettrica”;
la Corte poi ha aggiunto: “incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che il danno sia dipeso da causa a lui non imputabile, per avere egli adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, ovvero che gli esiti dannosi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile. Onere probatorio (invero già allegatorio) inosservato dalla A. […]”; in particolare, secondo la Corte, “la società ha fornito una ricostruzione della dinamica del sinistro (un’errata manovra nell’apertura del sezionatore di arrivo, da imputare alla negligenza degli stesso infortunato e del preposto Licari, che avrebbe impedito il distacco della fornitura elettrica MT) meramente ipotetica, […] priva di ogni riscontro documentale […], fondata su non meglio precisati studi di settore […] e astratte considerazioni medico-legali […], nonché inconferente con le dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori coinvolti”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente società con un unico articolato motivo; ha resistito con controricorso l’INAIL;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. col motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. per violazione degli artt. 115 c.p.c., 2967 e 2087 c.c., 10 e 11 del d.P.R. 1124/1965 e 590 c.p.; si critica diffusamente la sentenza impugnata “per avere la Corte di Appello ritenuto sussistente una violazione dell’art. 2087 c.c. (con conseguente affermazione incidentale della responsabilità penale di un soggetto imprecisato), sulla base della dedotta omessa adozione di imprecisate misure di sicurezza, ed escludendo che l’infortunio si fosse verificato per l’omesso distacco preventivo dell’impianto elettrico della cabina di illuminazione nella quale il lavoratore prestava la sua opera, nonostante si trattasse di una circostanza pacifica tra le parti”;
2. il motivo non merita accoglimento;
la sentenza impugnata è dichiaratamente conforme a Cass. n. 12041 del 2020 secondo cui, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso; nella stessa pronuncia si è ribadita “la pressocché completa autonomia e separazione tra giudizio penale e giudizio civile”, con conseguente esclusione di una pregiudizialità penale ed irrilevanza, nella specie, che non sia stato avviato alcun procedimento penale per il fatto da cui l’infortunio è derivato;
le censure formulate da parte ricorrente, lungi dall’evidenziare realmente un errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, nella sostanza si fondano su di una diversa ricostruzione della vicenda storica e cioè contestando l’esclusione – operata dai giudici del merito – che l’infortunio si fosse verificato per l’omesso distacco preventivo dell’impianto elettrico della cabina presso cui il lavoratore prestava la sua opera;
si tratta di doglianze inammissibili, sia perché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. evocato da parte ricorrente, presuppone che i fatti siano quelli accertati dai giudici del merito e non è consentita una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di differenti valutazioni delle risultanze di causa, ma anche perché la contestazione dell’accertamento in fatto effettuato dai giudici ai quali compete non può che transitare attraverso la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. novellato, nella specie neanche prospettato e comunque precluso dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022);
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto, con condanna alle spese secondo il regime della soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 8.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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