CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21193 depositata il 18 maggio 2023
Reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali – Violazione di legge – Prescrizione – Difetto dell’elemento soggettivo – Modelli DM10 – Vizio di motivazione – Causa di non punibilità – Art. 131bis c.p. – Reformatio in peius – Inammisibilità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 16 dicembre 2021, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Grosseto, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dell’imputata (…), amministratore unico della (…) S.r.l., per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, di cui al d.l. n. 463 del 1983, art. 2, comma 1bis, del convertito in l. n. 638 del 1983, in relazione all’anno 2013, e, per l’effetto ha rideterminato la pena per i residui fatti, in relazione all’anno 2014, in giorni 20 di reclusione, confermando nel resto la sentenza.
2. Avverso tale sentenza l’imputata ricorre per cassazione, per il tramite dell’Avv. (…), chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo di ricorso la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 125 c.p.p., di cui all’ art. 606 c.p.p., comma 1, lettera c), e, in subordine, il vizio di motivazione di cui all’ art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato.
Nel procedere alla disamina dei motivi di appello, il giudice di seconde cure non avrebbe affrontato la doglianza relativa all’elemento oggettivo del reato, con la quale si censurava il mancato raggiungimento della piena prova circa l’effettiva corresponsione delle retribuzioni, necessaria ai fini dell’integrazione del reato in esame per costante orientamento giurisprudenziale. Sul punto, la difesa richiama quella giurisprudenza secondo cui l’invio dei modelli DM10 può assurgere a piena prova dell’effettiva corresponsione, soltanto in assenza di elementi di segno contrario (Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014, Rv. 259909 – 01). Nel caso di specie, la Corte territoriale non avrebbe debitamente valorizzato le dichiarazioni dei testi a discarico, dalle quali emergeva come la società non fosse in regola con i pagamenti degli stipendi, escludendo, pertanto, l’efficacia pienamente probatoria del mero invio dei modelli DM10.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa deduce il vizio di motivazione, di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e all’omesso riconoscimento della causa di forza maggiore.
Secondo la difesa, il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente il dolo generico, richiesto dalla fattispecie incriminatrice, in quanto non avrebbe tenuto conto dell’incidenza degli eventi alluvionali sull’attività svolta dalla società, incorrendo in un travisamento della prova testimoniale del Dott. (…), il quale, dopo aver evidenziato le criticità del modello di business, avrebbe affermato chiaramente che la situazione era peggiorata a causa degli eventi alluvionali, determinanti uno stallo significativo nell’attività di estrazione. Pertanto, secondo la difesa, non vi sarebbe prova che laddove l’imputata avesse seguito i consigli del consulente (…), compiendo scelte aziendali diverse, venisse effettivamente recuperata la liquidità, attesa la particolare incidenza degli eventi alluvionali sul tipo di attività svolta dalla società, in grado di bloccare per un significativo lasso temporale l’attività di estrazione. D’altra parte, motivare in ordine alla sussistenza del dolo ancorando l’inadempimento dell’obbligo contributivo all’incapacità gestionale dell’imputata, come fa il giudice d’appello, avrebbe dovuto indurre, semmai, ad interrogarsi sull’esistenza di una condotta colposa o, quantomeno, di un ragionevole dubbio in merito alla sussistenza del dolo stesso.
Proprio in ragione dell’intervento di tali eventi alluvionali, la difesa ritiene applicabile al caso di specie l’esimente della forza maggiore, di cui all’art. 45 c.p., come ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità (7 febbraio 2014, n. 5905), la quale sarebbe in grado, non solo di interrompere il nesso eziologico tra condotta del soggetto agente ed evento, innescando una diversa e autonoma serie causale, ma anche di incidere sull’elemento soggettivo quale causa di esclusione del dolo o della colpa.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la carenza e l’illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), con riguardo alla ritenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 463 del 1983, art. 2, comma 1bis, convertito in l. n. 638 del 1983, per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui non si prevede l’estensione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 13 e 13bis.
Ad avviso del ricorrente, la motivazione addotta dalla Corte territoriale al fine di escludere il requisito della rilevanza, basata sulla circostanza che l’imputata non avrebbe provveduto ad effettuare il versamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, non coglierebbe nel segno in quanto, con la sollevata questione di legittimità costituzionale, si evidenziava la disparità di trattamento tra reati tributari e reato di omesso versamento anche sotto il profilo dell’accesso alla rateizzazione del debito. Sul punto, il Collegio fiorentino avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in ordine alla circostanza che l’imputata fosse già stata ammessa al pagamento rateale del debito maturato e che pertanto, laddove fosse stata espunta la disparità di trattamento rispetto ai reati tributari, ben avrebbe potuto avanzare la richiesta di postergazione del termine per adempiere fino all’apertura del dibattimento, ex d.lgs. n. 74 del 2000, art. 13, comma 3. In tal senso, non si potrebbe escludere il requisito della rilevanza della questione sollevata nel caso di specie.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce l’inosservanza della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’ art. 131bis c.p., con particolare riguardo all’interpretazione dell’elemento dell’abitualità.
Secondo la difesa, il giudice di seconde cure avrebbe errato nel ritenere non applicabile al caso di specie l’art. 131bis c.p., fondando tale decisione sulla presenza dell’elemento ostativo dell’abitualità, desunto dalla circostanza che la condotta dell’omesso versamento si sarebbe ripetuta per due anni consecutivi.
Anzitutto, la difesa richiama alcuni arresti giurisprudenziali in materia, censurando la genericità del riferimento alla ripetizione per due annualità consecutive – atteso che, a ben vedere, non si tratta di annualità intere – nonchè l’assenza di un’adeguata valutazione circa il discostamento dalla soglia di punibilità (Sez. 3 n. 30179 del 11/05/2018, A., Rv. 273686 e 273685).
In secondo luogo, la difesa censura la motivazione del provvedimento impugnato laddove il giudice d’appello sembrerebbe confondere la nozione di abitualità con l’istituto della continuazione. Sul punto, la difesa intende aderire a quell’orientamento giurisprudenziale che esclude che il riconoscimento della continuazione possa essere considerato ostativo all’applicazione della causa di non punibilità in parola (cfr. Sez. 2, n. 19932 del 2017), chiedendo, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata per inosservanza della legge penale.
2.5. Con l’ultimo motivo di ricorso si censura la carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonchè l’inosservanza del divieto di reformatio in peius in punto di rideterminazione della pena per il solo reato residuo.
In via subordinata, la difesa censura la motivazione del provvedimento impugnato anche in relazione al trattamento sanzionatorio.
Sotto un primo profilo, il giudice di seconde cure avrebbe negato le circostanze attenuanti generiche con motivazione meramente apparente, omettendo di considerare gli elementi positivi allegati dalla difesa ai fini del riconoscimento di dette attenuanti, segnatamente, l’ammissione al pagamento rateale da parte dell’imputata, che aveva comportato un rientro quasi totale del debito contributivo, e i rammentati eventi alluvionali, che avrebbero potuto incidere quantomeno in termini di positiva valutazione dell’imputata.
Sotto altro profilo, il giudice d’appello avrebbe violato il divieto di reformatio in peius nella rideterminazione della pena a seguito della ritenuta prescrizione del reato con riguardo all’annualità 2013. Infatti, il giudice di primo grado aveva ritenuto più grave la violazione riferita all’annualità 2013, determinando la pena base in un mese di reclusione, aumentata di 15 giorni per la continuazione. Ebbene, il giudice di secondo grado, nel rideterminare la pena per il solo reato residuo, relativo all’annualità 2014, avrebbe comminato una pena più grave, pari a 20 giorni, rispetto a quella prevista in primo grado, pari a 15 giorni, violando così il suddetto divieto.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione di legge in relazione alla prova dell’elemento oggettivo del reato è inammissibile.
Deve rammentarsi che è inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio di primo grado, se l’atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso già denunciato le medesime violazioni di legge (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, C. Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, C., Rv. 259066 – 01).
Dal non contestato riepilogo dei motivi di appello (cfr. pag. 3) risulta che con l’atto di appello deduceva il difetto dell’elemento soggettivo.
Peraltro, risulta dalla sentenza impugnata che la società della ricorrente aveva inviato all’INPS i modelli DM10 con la dichiarazione di avvenuto versamento degli stipendi e l’entità delle ritenute poi risultate non versate.
Al riguardo osserva, il Collegio, che In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente (Sez. 3, n. 28672 del 24/09/2020, B., Rv. 280089 – 01; Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017 L., Rv. 272120 – 01). In assenza di elementi contrari, neppure allegati, la sentenza impugnata ha argomentato la prova della effettiva corresponsione della retribuzione ai lavoratori dalla presentazione dei modelli DM-10 da parte del datore di lavoro.
2. Il secondo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato è inammissibile perchè con esso il ricorrente propone censure di mero fatto dirette a chiedere una rivalutazione del compendio probatorio non consentite in questa sede.
La sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, in risposta alla censura difensiva, ha escluso la rilevanza della forza maggiore (alluvione) ai fini dell’esclusione dell’elemento soggettivo del reato in quanto l’inadempimento era conseguente all’indisponibilità del denaro correlata alla condotta gestionale dell’imputata.
Giova rammentare che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è integrato dal dolo generico (Sez. 3, n. 43607 del 15/09/2015, P., Rv. 265284; Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, C., Rv 258056; Sez. 3, n. 29975 del 21/06/2011, L., non massimata) e quello secondo cui il reato è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è onere di questi ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni in modo di adempiere all’obbligo di versamento, anche se ciò possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni (Sez. 3, n. 38269 del 25/08/2007, T., Rv 23727), sicchè, se, in presenza di una situazione di difficoltà, decida di non versare le ritenute operate preferendo il pagamento degli emolumenti, non può a sua discolpa invocare l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, dolo generico, che rimane escluso sono nei casi di impossibilità assoluta dell’adempimento non imputabile al soggetto tenuto al versamento (Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013 P.G. in proc. C., Rv. 258056).
3. Il terzo motivo di ricorso appare inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale e ciò in quanto la questione ben può essere prospettata nei successivi gradi di giudizio e sollevata anche d’ufficio dal giudice che procede.
La ricorrente dubita della legittimità costituzionale del d.l. n. 463 del 1983, articolo comma 1 bis del conv. in l. n. 638 del 1983 nella parte in cui non è prevista l’estensione della disciplina dettata dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 13 e 13bis per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost..
La prospettata questione di legittimità costituzionale appare manifestamente infondata. In linea generale non ogni disparità di trattamento si traduce nell’illegittimità costituzionale della norma, ma solo quella irragionevole ovvero quella che tratta in modo diverso situazione eguali.
Tale situazione non ricorre nel caso in esame sol che si consideri che il debito tributario ricade sulla fiscalità generale, quello previdenziale incide sul lavoratore, sicchè la diversa valutazione operata dal legislatore, nell’esercizio della discrezionalità politica, non appare irragionevole.
4. Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte di legittimità ha affermato che la causa di non punibilità di cui all’art. 131bis c.p. può essere applicata solo se gli importi omessi superano di poco l’ammontare di tale soglia, in considerazione del fatto che il grado di offensività che integra il reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 3292 del 3/10/2017, S., non massimata; in termini analoghi, seppure con riferimento agli omessi versamenti tributari, Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, R.V., Rv. 266570).
Quanto al caso concreto, la corte territoriale ha considerato il numero delle omissioni – “due annualità” – ai fini della valutazione della gravità del fatto atteso all’ammontare dell’importo non versato.
La decisione è in linea con il principio di diritto, secondo il quale, in tema di reato di omesso versamento di ritenute previdenziali, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131bis c.p. occorre tener conto dell’importo complessivo dei contributi non versati e della entità del superamento della soglia di punibilità (Sez.3, n. 30179 del 11/05/2018, Rv 273686 – 01), importo complessivo, che deriva dalla somma delle omissioni “reiterate” anche quelle dichiarate prescritte, pari a oltre 40.000,00 Euro (Sez. 3 n. 32857 del 12/07/2022, M., Rv. 283486 – 01).
In conclusione, con il riferimento alla reiterazione delle omissioni, la corte territoriale ha ancorato il diniego di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis c.p. alla gravità del fatto in ragione dell’entità del superamento della soglia di punibilità.
5. Manifestamente infondata è l’ulteriore censura di violazione del divieto di reformatio in peius perchè non si confronta con la sentenza impugnata.
La corte territoriale, nel dichiarare la prescrizione dei fatti relativi all’annualità 2013, ha rideterminato la pena muovendo dalla pena base di giorni 15 di reclusione, aumentata di giorni 5 per la continuazione, tenuto conto del parziale pagamento del debito previdenziale, a fronte di una pena irrogata in primo grado di un mese di reclusione per il reato relativo all’annualità 2013, aumentata per la continuazione per le condotte relative all’annualità 2014, di 20 giorni di reclusione.
Nessuna violazione del divieto di reformatio in peius appare sussistente in quanto non viola il divieto di “reformatio in peius” la decisione del giudice di appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, dichiarando l’estinzione per prescrizione per taluno di essi, diminuisce l’entità della pena originariamente inflitta (Sez. 5, n. 31998 del 06/03/2018, R., Rv. 273570 – 01).
6. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, C., Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, T.) cosicchè è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Z., Rv. 263119).
7. – Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibilie.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.