CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 49494 depositata il 13 dicembre 2023
Lavoro – Infortunio – Prestazioni eseguite in attuazione di un contratto d’appalto – Estensione al committente della responsabilità dell’appaltatore – Omessa valutazione dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria dei lavori – Dovere di sicurezza – Omissione colposa – Insufficienza del solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 24 settembre 2021/ la Corte d’Appello di Napoli confermava la pronuncia di condanna di A.L. per il reato di lesioni colpose ai danni di E.V., precipitato da un’altezza di sei metri durante i lavori di rifacimento del tetto del capannone di proprietà dell’impresa di A.L., riportando gravi lesioni che avevano comportato l’indebolimento permanente degli organi della deambulazione. Di tale reato, e di una serie di contravvenzioni dichiarate prescritte, erano chiamati a rispondere in cooperazione colposa il predetto A.L., legale rappresentante della “Angelino s.r.l.”, committente dei lavori edili concernenti la impermeabilizzazione del capannone, delle travi e dei canali di gronda, attraverso la sostituzione delle lastre in policarbonato, e P.L. (del pari condannato ma non ricorrente), quale titolare della omonima ditta individuale affidataria dei detti lavori.
Al committente era stata addebitata una colpa generica e un profilo di colpa specifica per aver omesso di valutare, pur avendone l’obbligo, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 9, lett. a), l’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria.
2. Secondo i giudici di merito, l’istruttoria dibattimentale aveva consentito di accertare che al momento dell’infortunio il lavoratore, precipitato al suolo per il cedimento di una delle lastre in policarbonato, era stato assunto in nero, era totalmente privo dei dispositivi di protezione individuale né gli era stata impartita formazione, inoltre, per l’accesso al lavoro in quota, erano stato montati due trabattelli in metallo non conformi alla normativa di settore, in quanto privi di parapetti e fermapiedi. La Corte territoriale riteneva sussistente il profilo di responsabilità colposa contestata, non avendo il L., verificato l’inidoneità della impresa affidataria, non essendo sufficiente, in proposito, il mero requisito della iscrizione nel registro delle imprese, ed La incautamente deciso di rivolgersi ad una ditta individuale priva di personale dipendente benché i lavori commissionati necessitassero di particolare competenza tecnica, trattandosi di lavori in proposito, il carattere rudimentale dei trabattelli montati in loco avrebbero dovuto renderlo consapevole della assoluta inadeguatezza dell’impresa prescelta. Aggiungeva la totale irrilevanza del fatto che il L., non fosse a conoscenza dell’assunzione irregolare dell’ E., non essendo necessaria, ai fini della cooperazione colposa, la consapevolezza della natura negligente della altrui condotta.
3. Ha proposto ricorso A.L., per il tramite del difensore di fiducia, articolando quattro motivi.
3.1 Con il primo, lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
A sostegno del motivo di gravame deduce che la Corte non aveva tenuto in debito conto le previsioni dell’allegato XVII del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, relativo alla verifica della idoneità tecnico – professionale, secondo cui, nei cantieri di entità presunta minore di 200 uomini – giorno, è sufficiente la verifica della iscrizione alla Camera di commercio da parte del committente. La sentenza impugnata aveva privato di ogni rilievo il chiaro dato normativo, affermando altresì che erano irrilevanti anche la stipula di un regolare contratto di appalto e la nomina di un direttore dei lavori, estendendo sul committente un obbligo di vigilanza che certamente la legge non gli attribuisce.
3.2 Con il secondo motivo, deduce vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). La sentenza impugnata aveva operato un cattivo governo delle risultanze istruttorie ed aveva attribuito al ricorrente la responsabilità dell’evento senza che nessuna regola cautelare causalmente riconducibile al verificarsi dell’evento poteva dirsi incombente sull’ A., ma soltanto sul datore di lavoro. Il sinistro era certamente da ascriversi, sotto il profilo della causalità, a precisi inadempimenti posti in essere dal datore di lavoro, quali la violazione dell’obbligo di formazione, dell’obbligo di redazione del POS e di fornire al lavoratore i necessari dispositivi di sicurezza. La pronuncia era illogica ove aveva ricondotto alla responsabilità dell’ A., l’evento che aveva considerato causalmente riconducibile alle violazioni sopra dette, poste in essere dal solo datore di lavoro.
3.4 Con il terzo motivo/denuncia vizio di motivazione per manifesta illogicità nella valutazione degli elementi di prova in ordine alla individuazione dell’elemento soggettivo del reato. La pronuncia impugnata aveva affermato che la sorpresa del ricorrente nel rinvenire sul cantiere il E.V., che vi lavorava a sua insaputa, era indice proprio dell’omissione dei controlli che il committente avrebbe dovuto esercitare. Detta affermazione era manifestamente illogica, poiché la posizione di committente – qual era l’ A. – non avrebbe mai potuto implicare la presenza assidua sul cantiere.
3.5 Con il quarto motivo, lamenta vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena. La Corte territoriale aveva del tutto illogicamente respinto il motivo formulato per la concessione delle attenuanti generiche, senza tenere conto degli elementi positivi valutabili evidenziati nell’atto di appello.
Considerato in diritto
1. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati per intima connessione logica, sono manifestamente infondati.
2. In tema di infortuni sul lavoro, questa Corte Suprema ha più volte affermato che il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché all’agevole ed immediata percepibilità da parte del committente delle situazioni di pericolo (Sez.4, 15 luglio 2015 n. 44131, Rv.264974). Nel caso di prestazioni eseguite in attuazione di un contratto d’appalto, l’estensione al committente della responsabilità dell’appaltatore è poi ammissibile soltanto laddove l’evento possa ritenersi collegato ad un’omissione colposa, specificamente determinata, che risulti imputabile alla sfera di controllo dello stesso committente (Sez.4, 23 gennaio 2014 n. 6784, Rv.259286). In particolare, è stato ripetutamente affermato che sussiste un preciso obbligo di diligenza, previsto anche dalla normativa antinfortunistica, in ordine all’esercizio dei criteri di scelta della impresa esecutrice, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, Rv. 278435 – 01), anche in considerazione, appunto, della natura dei lavori affidati all’impresa prescelta (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Rv. 267744 – 01), attinente alla peculiare fattispecie analoga a quella che qui opera, ossia la esecuzione di lavori in quota.
3. Di tali principi hanno fatto buon governo i giudici di merito. I temi probatori risultano infatti adeguatamente esplorati e illustrati sia dalla sentenza di primo grado, sia da quella impugnata, specie considerando che le due pronunzie, corrispondenti alla nozione ed aventi i requisiti della c.d. “doppia conforme”, devono essere lette ed esaminate come un unicum motivazionale. In particolare, le pronunce sottolineano che: 1) i lavori da eseguire, che comportavano un rischio rilevante connesso al fatto che gli stessi dovevano eseguirsi sul tetto del fabbricato, erano stati affidati ad una impresa individuale priva di personale dipendente (dato che emergeva dalla visura camerale acquisita agli atti del giudizio); 2) detta circostanza, agevolmente verificabile da parte del committente, aveva di fatto comportato che il titolare dell’impresa, al fine di eseguire i lavori, aveva incaricato un lavoratore assunto in nero; 3) le caratteristiche dell’impresa appaltatrice, dunque, già di per sé non garantivano il possesso dei particolari requisiti di idoneità per il compimento dei lavori in quota, certamente caratterizzati da notevole pericolosità e richiedenti specifiche attrezzature; 4) ad ulteriore riprova di ciò, le lavorazioni erano iniziate senza la consegna del POS; 5) la totale assenza degli strumenti di lavoro idonei ad eseguire la tipologia di lavori richiesta era immediatamente percepibile, atteso che l’istruttoria espletata aveva messo in luce la natura del tutto rudimentale dei cd: trabattelli utilizzati per salire sul tetto del capannone, privi di parapetti e dispositivi antiscivolo.
3.1. Il rischio dunque, come correttamente evidenziato nella impugnata sentenza, così come in quella del primo giudice, era non solo prevedibile in astratto ma anche in concreto, attesa la peculiare sede delle lavorazioni (come detto, impermeabilizzazione del tetto del capannone) nonché la presenza, sulla superficie del tetto, di lucernai in policarbonato, che rendevano particolarmente insidiosa l’opera da eseguire, costituendo una superficie certamente non stabile e non solida. Va inoltre ricordato che il committente a sua volta imprenditore risponde comunque della adozione delle misure generali di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, B., Rv. 272221 – 01).
4.Ne’ può esimere il committente dalla responsabilità in ordine alla scelta dell’impresa appaltatrice il fatto che le previsioni dell’allegato XVII del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, relativo alla verifica della idoneità tecnico professionale, richiede, nei cantieri di entità presunta minore di 200 uomini giorno, soltanto la verifica della iscrizione alla Camera di commercio, eseguita da parte del committente. Questa Corte ha già affermato che, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l’obbligo di verifica di cui al D.Lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90, lett. a), non può risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo. (Sez. 4 -, n. 28728 del 22/09/2020, O., Rv. 280049 – 01). Detto controllo formale non può infatti esonerare il committente dalla verifica della concreta capacità della impresa prescelta ad eseguire la tipologia delle lavorazioni appaltate, specie (come nel caso appena citato) in nella ipotesi di attività intrinsecamente pericolose quali i lavori in quota.
4. E’ manifestamente infondato anche il quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole della eccessività della pena e della mancata concessione delle attenuanti generiche. In proposito, la Corte territoriale ha fornito risposta al motivo di gravame/ rilevando l’assenza di elementi favorevoli, attesa la gravità del fatto e delle conseguenze subite dalla vittima; osservando poi che comunque era stata applicata una pena prossima al minimo edittale. La pronuncia è quindi perfettamente rispettosa dei principi costantemente affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4 – n. 32872 del 08/06/2022, Rv.283489- 01;Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017 Rv. 270986 01, Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014 Rv. 260610 – 01). Inoltre, è consolidato il principio per cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596 – 01).
5. Stante la manifesta infondatezza dei motivi il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, oltre che ad una ulteriore somma in favore della Cassa delle Ammende., non emergendo ragioni di esonero. Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (eredi della persona offesa deceduta nelle more del giudizio) liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute nel presente grado di legittimità dalle parti civili M.M., E.A., E.A., che liquida in favore complessivi Euro 4.800, oltre accessori come per legge.