Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 1258 depositata l’ 11 gennaio 2024
apprezzamento probatorio operato in sede di merito
RILEVATO
La società contribuente impugnava il rifiuto dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale Roma III – prot. n. 52112/2017, in relazione all’istanza di rimborso presentata in seno alla dichiarazione dei redditi per l’anno 2012 e relativa alla ritenuta del 20% operata sull’indennità di esproprio che la società contribuente, nell’a.i. 2007 (UNICO – tassazione ordinaria), percepiva a seguito dell’espropriazione di due terreni da parte dell’amministrazione comunale. La somma trattenuta a titolo di ritenuta, pari ad €134.533,00, veniva considerata quale credito d’imposta e esposta nelle dichiarazioni dei redditi a.i. 2007 e successive, fino alla summenzionata dichiarazione del 2012, nella quale si avanzava istanza di rimborso. Nel diniego l’Ufficio osservava che, trattandosi di ritenute alla fonte subite erroneamente, il rimborso doveva essere richiesto ex artt. 37-38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
La CTP di Roma accoglieva le ragioni della società contribuente.
Sul gravame dell’Ufficio, il collegio d’appello confermava la sentenza di prime cure.
Insorge l’Ufficio affidandosi ad un unico mezzo di ricorso. La società contribuente si è costituita con controricorso.
In prossimità dell’adunanza la parte privata ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
1. Con l’unico motivo, sollevando censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 112 c.p.c. e 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’Ufficio censura la pronuncia di seconde cure per aver ritenuto che la società contribuente non fosse tenuta ad esporre, nel Quadro RN della dichiarazione, la plusvalenza, pari all’entità dell’indennità di esproprio, e che le spettasse il rimborso della ritenuta effettivamente subita.
2. Il motivo di ricorso è inammissibile.
L’Agenzia delle Entrate, censurando l’error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 112 c.p.c. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in via indiretta sottopone all’attenzione di questa Corte un difetto di motivazione della sentenza, che si evince, oltretutto, dal fatto che l’Ufficio non abbia individuato una norma specifica, inerente il caso concreto, violata dalla pronuncia di seconde cure.
Ciò è confermato da quanto riportato a pg. 7 del ricorso per cassazione, in cui si legge “La pronuncia di seconde cure si appalesa immotivata e del tutto apodittica, atteso che, nel percorso argomentativo tratteggiato, non risultano chiare le ragioni in base alle quali i Giudici tributari abbiano ritenuto che tra i ricavi dichiarati dalla Società fossero stati computati anche gli importi delle indennità di esproprio, tanto che lo stesso organo giudicante giunge ad ipotizzare, senza quindi avere assoluta certezza, che l’unica operazione posta in essere nell’anno sia stata l’espropriazione dei due terreni”.
Oltretutto, il motivo di ricorso è inammissibile perché presuppone un inammissibile riesame di merito di questa Corte, volto ad indagare la documentazione prodotta dall’appellante e il vaglio critico operatone dalla Commissione di secondo grado. La formale denuncia di errori di diritto, in realtà, sollecita una diversa valutazione della vicenda storica sottesa al giudizio ed un difforme apprezzamento delle risultanze istruttorie vagliate in sede d’appello. Richiamando alla memoria una recente pronuncia di questa Corte, i cui principi possono considerarsi di portata generale, è facoltà del giudice del merito, nell’esercizio «del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda dell’eccezione, (…) la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (Cass., n. 15771 del 2019).
Il riesame dell’apprezzamento probatorio operato in sede di merito, dunque, è sottratto al giudizio di legittimità, a meno che «esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente (…) pertanto chi censura non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014» (Cass., n. 15771 del 2019).
Nel caso di specie, si esclude che la C.t.r., nelle sei pagine di sentenza, abbia celato le ragioni della propria decisione, avendo anzi esplicitato a più riprese come la documentazione allegata in atti dalla società contribuente abbia orientato ed indirizzato la Corte nella decisione adottata (“Tale ricostruzione della contabilità aziendale, come provato in atti, risulta sufficiente a giustificare la regolarità della stessa in quanto se l’unica operazione posta in essere nel 2007 l’esproprio, il relativo reddito risulta quindi regolarmente indicato nello stato patrimoniale del bilancio d’esercizio, avendo optato per la tassazione ordinaria, non era tenuto a dichiararlo nel Quadro RN quale reddito proveniente dalla plusvalenza dell’esproprio, quindi spetta alla società il rimborso IRES, anno 2007 per l’importo di € 134.533,00 relativo alla ritenuta operata e versata a titolo d’imposta dal sostituto d’imposta sull’imponibile IRPEF dell’indennità di esproprio percepita pari ad € 673.668,81, importo netto € 488.816,79, (v. nota Comune Grottaferrata prot. 8835 del 29/022008)”).
Pertanto, il ricorso non può essere accolto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere alla parte contribuente le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in €. cinquemilaseicento/00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso in misura forfettaria del 15%, Iva e cpa come per legge.
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