CORTE DI CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5263 depositata il 28 febbraio 2024
Tributi – Cartella di pagamento – Controllo automatizzato – Modello di dichiarazione IVA – Notifica PEC – Indirizzo del mittente non risultante nei pubblici registri – Requisiti firma elettronica qualificata – Principio di elettività della domiciliazione – Legittimazione attiva del contribuente – Rigetto
Rilevato che
1. E.T., ex legale rappresentante pro tempore e ex socio accomandatario di T.C.G. Sas di E.T. e C., società cancellata dal registro delle imprese il 23.12.2019, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino avverso cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato del Modello di dichiarazione Iva, per l’anno 2016, dal quale era emersa una discrasia tra il credito di imposta dell’anno 2015 (anno in cui la dichiarazione era stata omessa) dichiarato al rigo VL26 e il credito risultante dalle precedenti dichiarazioni. Il ricorrente sosteneva la nullità della cartella per essere stata trasmessa da un indirizzo PEC del mittente (notifica.acc.piemontevda@pec.agenziariscossione.gov.it) differente da quello contenuto nei pubblici registri (protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it).
2. Con sentenza n. 579/2021 il ricorso veniva accolto.
3. Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte che, con sentenza n. 834/2022 depositata il 5.8.2022, lo accoglieva.
4. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha affermato che: 1) il contribuente era legittimato attivo in quanto, sebbene nel ricorso si fosse qualificato come ex legale rappresentante della cancellata T.C.G. Sas di E.T. e C., costituiva fatto incontestato che fosse anche l’unico socio della società; 2) l’indirizzo PEC del mittente Agente della Riscossione utilizzato per la notifica dell’atto impugnato non era quello presente sul sito dell’Agenzia ma era comunque appartenente al medesimo dominio di posta elettronica.it, consultabile presso l’ “Anagrafe dei domini internet.”. Come affermato dalla Commissione tributaria dell’Umbria, nella sentenza n. 304/2021, depositata il 3.12.2021, l’art. 26 del d.P.R. n. 602/73 prevedeva l’uso obbligatorio del solo indirizzo PEC del destinatario; non era seriamente dubitabile che l’indirizzo PEC utilizzato per la notifica della cartella notifica.acc.piemontevda@pec.agenziariscossione.gov.it appartenesse effettivamente all’Agenzia – Riscossione anche perché ciò che effettivamente rilevava, ai fini dell’identificazione del mittente, era il dominio presente successivamente al simbolo @. In ogni caso, in applicazione dell’art. 156 c.p.c., la nullità dell’atto impugnato non poteva essere pronunciata qualora lo stesso, come nella specie, avesse raggiunto lo scopo a cui era destinato, ovvero, nonostante l’irritualità della notifica, fosse venuto a conoscenza del destinatario. Peraltro, non erano stati addotti dal ricorrente specifici pregiudizi al diritto di difesa né un’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente e quello cartaceo.
5. Avverso la suddetta sentenza, E.T., ex legale rappresentante pro tempore e ex socio accomandatario di T.C.G. Sas di E.T. e C. (società cessata) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
6. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
7. È stata formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, in considerazione del rilievo di inammissibilità/manifesta infondatezza del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
8. Il ricorrente ha chiesto la decisione ed è stata quindi disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 380 bis e 380 bis.1 c.p.c.
9. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per non avere la CTR ritenuto illegittima la cartella impugnata attesa l’inesistenza giuridica della notifica PEC della stessa avvenuta da un indirizzo PEC non riferibile al mittente Agente della riscossione, non risultando nei Registri previsti per legge (REGINDE, INPEC e IPA). In particolare, ad avviso del ricorrente, dal combinato disposto degli artt. 3-bis della legge n. 53/1994 e 16-ter del D.L. n. 179/2012, conv. dalla legge n. 221/2012, si evincerebbe la necessità che l’attività di notifica avvenga esclusivamente mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica certificata risultanti dai pubblici elenchi, al fine di assicurare la certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificando.
Peraltro – evidenzia il ricorrente – anche l’art. 44 del Regolamento UE n. 910/2014 (eIDAS) richiede per i servizi elettronici di recapito certificato (PEC) requisiti specifici ovvero, tra l’altro, di essere forniti da uno o più prestatori di servizi fiduciari qualificati e di garantire con un elevato livello di sicurezza l’identificazione del mittente.
2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. per avere la CTR ritenuto applicabile l’art. 156 c.p.c. sebbene la notifica della cartella da un indirizzo PEC del mittente non risultante dai pubblici registri fosse inesistente e, pertanto, non suscettibile di sanatoria.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere la CTR omesso di pronunciare sull’eccezione dedotta con memoria difensiva in sede di gravame circa l’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio in quanto proposto nei confronti di un soggetto (ex legale rappresentante ed ex socio) diverso dalla società, unica destinataria della cartella impugnata.
4. Preliminarmente va dato atto dell’istanza di sospensione della sentenza impugnata articolata in ricorso, senza che sia necessario provvedere a riguardo, in quanto adempimento non di competenza della Corte di Cassazione. Infatti, l’art. 62 bis del d. Igs. n. 546 del 1992: riconosce alla parte che ha proposto ricorso per Cassazione la possibilità di chiedere alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata tale provvedimento cautelare (Cass., sez. 5, n. 21174 del 2022).
5. In conformità con la proposta di definizione anticipata, il ricorso deve rigettato per le ragioni di seguito indicate.
5.1. Il primo motivo si profila inammissibile nella parte in cui denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” trattandosi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 n.5 cpc, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis (v. nello stesso senso, Cass. n. 30948 del 2018); invero, anche a volere ricondurre la censura al vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., lo stesso prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022). Nella specie, il ricorrente non ha dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma – quanto all’assunta inesistenza della notifica PEC della cartella effettuata da un indirizzo PEC del mittente Agente della riscossione non risultante dai pubblici registri – di profili attinenti a “questioni”, esulanti dal vizio motivazionale.
5.2. Manifestamente infondata è invece la censura di violazione legge pur contenuta nel primo motivo di assunta inesistenza della notifica PEC della cartella effettuata da un indirizzo PEC del mittente (notifica.acc.piemontevda@pec.agenziariscossione.gov.it) non risultante nei pubblici registri.
Invero, come statuito dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, nella sentenza n. 15979 del 2022, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica (del ricorso per cassazione effettuata dalla Procura Generale della Corte dei Conti) avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del D.Lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente.
Quanto poi al richiamo nel motivo all’art. 44 Reg. 910/2014/UE (Requisiti per i servizi elettronici di recapito certificato qualificati) va osservato che l’art. 25 del Reg. n. 910/2014/UE stabilisce un principio generale che vieta al giudice dell’Unione di rifiutare gli effetti giuridici e l’efficacia probatoria delle firme elettroniche in procedimenti giudiziali per il solo motivo che tali firme si presentano in forma elettronica o non soddisfano i requisiti stabiliti dal regolamento n. 910/2014 affinché una firma elettronica possa essere considerata una “firma elettronica qualificata”, spettando al diritto nazionale definire gli effetti giuridici delle firme elettroniche, non prevedendo il menzionato regolamento “a quale tipo particolare di firma elettronica si debba ricorrere nell’ambito della redazione di un determinato atto giuridico, in particolare di una decisione amministrativa adottata sotto forma di documento elettronico” (CGUE, 20 ottobre 2022, E., C – 362/21, punti 35 – 36);
6. Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto, premessa la non predicabilità dell’inesistenza della notificazione proveniente da un indirizzo PEC non contenuto in pubblici registri, l’ipotizzata irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica- come, nella specie, accertato dalla CTR – ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass., sez. un., n. 7665/2016). In particolare, come precisato anche nella sentenza sopra richiamata della Corte, a sezioni unite, n. 15979 del 2022 “la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC, come nel caso; infine, e come anticipato, “la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese” (Cass. 2961/2021) sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo (Cass. s.u. 23620/2018) senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazione esperita dalla (Procura) notificante”.
7. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto la CTR nell’evidenziare, affrontando il tema della legittimazione attiva del contribuente, che lo stesso, per quanto si fosse qualificato in ricorso come ex rappresentante legale della società, era incontestabilmente l’unico socio della società e, pertanto, unico soggetto legittimato a ricevere la notifica della cartella e a presentare il ricorso, ha implicitamente rigettato l’eccezione relativa alla carenza di legittimazione passiva dello stesso in appello.
8. In conclusione, il ricorso va rigettato.
9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
10. Ai sensi del terzo comma dell’art. 380-bis cod. proc. civ. “la Corte… quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96” (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023; Cass. n. 28318 del 2023). La norma sottende una valutazione legale tipica del legislatore delegato, in ragione della quale l’applicazione delle sanzioni – di quelle del terzo comma come di quelle del quarto comma dell’art. 96 – non è subordinata ad una valutazione discrezionale ma discende, “di default”, dalla definizione del giudizio in conformità alla proposta (Cass. n. 27947/2023).
11. La Corte stima equo fissare in Euro 1200,00 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., ed in Euro 800,00 quella ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, atteso il carattere pacifico dei principi giurisprudenziali applicati e la manifesta infondatezza del ricorso, per i motivi ampiamente esposti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.400,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
condanna il ricorrente a pagare l’ulteriore importo di Euro 1.200,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.;
condanna il ricorrente a pagare l’ulteriore importo di Euro 800,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1quater D.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.