Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sezione n. 2, sentenza n. 2577 depositata il 2 maggio 2023
Accertamento – Redditi fondiari – Canoni c. d. “a scaletta” – Legittimità.
Massima:
E’ legittima, alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, canoni c. d. “a scaletta”, nell’arco del rapporto e deve escludersi la necessità di dimostrare, con rilievo condizionante, il collegamento del previsto aumento nel tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale, salvo che la clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392. Ciò che cambia, con il canone “a scaletta”, è la tempistica del pagamento che, anziché avvenire in misura fissa, è “spalmata”, nell’arco della durata della locazione, secondo un criterio progressivamente crescente. Nel caso di specie i Giudici hanno accertato che l’accordo contenente la clausola a scaletta era stato inserito fin dall’origine nel contratto di locazione e che le spese di adeguamento sull’immobile erano finalizzate all’esercizio della specifica attività svolta dal conduttore non emergendo dal testo contrattuale che i lavori costituissero una prestazione in luogo di corrispettivo quale parte del canone di locazione. (G.T.).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S. M., con atto ritualmente notificato e depositato, impugnava l’avviso di accertamento per omesso versamento dell’IRPEF dovuto per l’anno di imposta 2014 in relazione ad accertati maggiori redditi non dichiarati da locazione per ? 4.700,00, così procedendo al recupero di imposta di IRPEF ed addizionali, oltre ad interessi e sanzioni, pari ad ? 4.031,65. Eccepiva l’assenza del presupposto impositivo e l’illegittimità dell’avviso di accertamento, sostenendo essere consentito al contribuente prevedere accordi che contemplino successivi aumenti del canone di locazione, per poi giungere, dopo un lasso di tempo, all’importo finale costituente il canone di locazione a regime, anche considerato che i lavori effettuati dal conduttore erano necessari per svolgere l’attività lavorativa (impianto elettrico, ridistribuzione degli spazi, tinteggiatura delle pareti), senza alcun vantaggio per il locatore. Precisava che, per l’anno di imposta 2011, era stata accolta analoga istanza in autotutela. Eccepiva, infine, la presenza di errori materiali nell’accertamento riferiti alla durata del contratto e al canone ivi indicato.
L’Agenzia delle Entrate, D.P. III di Roma, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità del ricorso, poiché lo stesso andava notificato al Centro Operativo di Pescara e non alla D.P. di Roma. Nel merito, resisteva e chiedeva rigettarsi il ricorso, sostenendo come l’accordo dovesse essere inquadrato nell’ambito di operazione permutativa con un pagamento del canone da parte del conduttore, mediante prestazione in natura equivalente ai lavori effettuati dal conduttore.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa, rappresentando di aver notificato il ricorso alla D.P. III di Roma, perché così indicato in seno all’avviso di accertamento.
Con sentenza n. 4899/19/2021, in data 17.02-03.05.2021, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, con la condanna della resistente al pagamento delle spese di lite, sul presupposto che l’accordo sui lavori intervenuto tra locatore e conduttore non avesse natura permutativa e che i lavori fossero finalizzati a consentire al conduttore di svolgere la propria attività all’interno dei locali.
Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate, D.P. III di Roma, proponeva gravame con atto di appello telematicamente notificato in data 3.12.2021, indi depositato nelle stesse forme in data 6.12.2021, sostenendo che l’accordo intervenuto tra le parti (canone crescente e onere per il conduttore di effettuare lavori sull’immobile), al di fuori del contratto, avesse natura permutativa, con la conseguenza che per la determinazione dell’imponibile doveva farsi riferimento all’importo a regime anche per gli anni precedenti.
Si costituiva in giudizio S. M., eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per genericità, nel resto resistendo e chiedendone il rigetto, non senza precisare che i canoni in misura crescente erano previsti sin dall’origine e non con accordo fuori dal contratto.
All’udienza del 20.04.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1)- L’appello, seppur caratterizzato da adeguata specificità nelle censure esposte, è infondato.
Costituisce orientamento di legittimità ormai consolidato quello secondo cui “alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli
immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto. A tal fine deve escludersi la necessità di dimostrare, con rilievo condizionante, il collegamento del previsto aumento nel tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale. L’ancoramento a tali elementi costituisce infatti solo una delle possibili modalità attraverso cui può operarsi detta predeterminazione del canone “a scaletta”, in alternativa alla quale questa può altrettanto legittimamente operarsi sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione” (Cass., n. 23986/2019; n. 4445/2023), salvo che la suddetta clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392 circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d’acquisto della moneta (Cass., n. 4445/2023, cit.).
Pertanto, in presenza di un canone c.d. “a scaletta”, lo scalettamento sebbene determini una progressiva mutazione dell’originario equilibrio contrattuale non si risolve in sfavore del conduttore. La ragione di scambio resta infatti invariata, essendo costituita dal rapporto fra il godimento del bene e l’importo complessivo che, in base alla pattuizione originaria, il conduttore dovrà corrispondere nell’ambito dell’intera durata del rapporto. Ciò che cambia, in presenza di un canone “a scaletta”, è solamente la tempistica del pagamento che, anziché avvenire in misura fissa (mese per mese e anno per anno), è “spalmata”, nell’arco della durata della locazione, secondo un criterio progressivamente crescente.
Molteplici sono le ragioni per le quali le parti possono trovare più conveniente prevedere, in luogo in un canone medio fisso, un canone progressivamente crescente, tale che in un primo momento venga alleggerito l’onere economico del conduttore, differendo al prosieguo del rapporto la corresponsione di canoni maggiorati, compensativi dello “sconto” iniziale. Si tratta, soprattutto, di venire incontro alle esigenze del conduttore di un immobile a uso non abitativo, che spesso nei primi mesi o anni deve farsi carico di spese di adeguamento o ristrutturazione dell’immobile e, al contempo, può fare affidamento solamente su un minor avviamento commerciale.
Pertanto, con riferimento al caso di specie nel quale l’accordo è inserito fin dall’origine nel contratto di locazione e le spese sull’immobile sono finalizzate all’esercizio della specifica attività svolta dal conduttore, non è persuasivo attribuire a detto accordo natura permutativa, anche perché non emerge, dal testo contrattuale, che i lavori integrino una prestazione in luogo di corrispettivo (vale a dire parte del canone di locazione).
2)- In ragione della peculiarità del giudizio, avente natura squisitamente interpretativa, e delle ragioni reciprocamente esposte, le spese del presente grado di giudizio debbono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
La Corte respinge l’appello dell’ufficio e compensa le spese.