Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria, sezione n. 2, sentenza n. 194 depositata il 5 giugno 2023

Avviso accertamento – Minusvalenza – Indeducibilità – Risoluzione compravendita immobiliare – Illegittimità

Massima:

L’avviso di accertamento dell’Ufficio per l’anno d’imposta 2014 con il quale è stata contestata alla società ricorrente l’indeducibilità di una minusvalenza derivante dalla risoluzione di una compravendita immobiliare stipulata nel 2011 in favore di altra società, è riconosciuto illegittimo e va quindi annullato. La “retrocessione” disposta dalle parti appare strettamente legata all’accordo risolutorio sia qualificando il contratto del 2014 come risoluzione per inadempimento oppure come scioglimento per mutuo dissenso. La giurisprudenza di Cassazione conferma che anche la risoluzione per mutuo dissenso come anche quella per inadempimento ha effetto retroattivo liberando il cessionario dall’obbligo di pagare il prezzo. Di conseguenza la restituzione di un bene, in precedenza venduto, comporta la rettifica del relativo ricavo e non un nuovo acquisto in applicazione dei principi civilistici di cui all’art. 2423 bis punto 1 cc e art. 2426 cc, facendo così venire meno l’originaria plusvalenza realizzata con la vendita.

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1.- La xxxxx ha impugnato avviso accertamento, notificato nel 2019, relativo all’anno di imposta 2014 contestando la indeducibilità di una minusvalenza per 479.457,89 euro derivante dalla risoluzione nel 2014 di una compravendita immobiliare stipulata nel 2011 (per la quale aveva realizzato una plusvalenza di 686.509 euro) in favore della società xxxxx, con irrogazione di sanzione pari a 2.000,00 euro. Sostiene la società ricorrente, in sintesi, che essendo venuta meno la plusvalenza realizzata nel 2011 per effetto della risoluzione contrattuale del 2014, retroattiva, risulterebbe del tutto legittima la contabilizzazione della minusvalenza. Ad avviso dell’Ufficio, invece, l’atto del 2014 indipendentemente dalla qualificazione operata dalle parti avrebbe comportato un vero e proprio ritrasferimento “ex nunc” della proprietà in capo alla parte cedente ovvero a xxxxx, si da doversi escludere una minusvalenza deducibile.

Con sentenza n. 287 del 25 giugno 2021 la C.T.P. di Perugia ha respinto il ricorso con condanna alle spese (1.000,00 euro) in sintesi aderendo in toto alle argomentazioni difensive prodotte dall’Amministrazione.

Con atto di appello la società xxxxx ha impugnato la suindicata sentenza ritenendola erronea, sulla scorta di motivi così riassumibili: il contratto del 2014 avrebbe forma e contenuto di risoluzione per inadempimento dunque con effetti tipicamente retroattivi ai sensi dell’art 1458 c.c. essendo stato preceduto da un contenzioso tra le parti. Anche qualificando il contratto quale scioglimento per mutuo consenso l’effetto sarebbe sempre “ex tunc” anche quanto agli effetti reali del contratto, citando sul punto ampia giurisprudenza della Cassazione.

Dal punto di vista fiscale l’emissione da parte della società cessionaria di una nuova fattura non comporta necessariamente l’esistenza di una sottostante compravendita. La tesi accolta dal primo giudice secondo cui la risoluzione sarebbe un nuovo trasferimento risulterebbe lesiva del principio civilistico di prudenza oltre che del divieto di rivalutazione dei beni e di iscrizione di utili non effettivamente realizzati. In buona sostanza, ad avviso di parte appellante, la risoluzione per inadempimento del 2014, producendo l’effetto di liberare il cessionario dall’obbligo di pagare il prezzo, avrebbe determinato il venir meno dell’originaria plusvalenza realizzata con la vendita. L’art. 28 d.P.R. 131/86 sull’imposta di registro non sarebbe qui invocabile. Chiede in subordine la non applicazione della sanzione. Si è costituita l’Agenzia delle Entrate di Perugia eccependo l’infondatezza dell’appello alla luce delle considerazioni sostanzialmente già svolte in primo grado ribadendo dunque come la risoluzione sarebbe autonoma fattispecie negoziale produttiva di un effetto traslativo “ex nunc” costituendo il presupposto per una nuova tassazione quale espressione di capacità contributiva. All’udienza pubblica del 21 aprile 2023, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Oggetto della presente controversia è la legittimità dell’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate nel 2019 relativo all’anno di imposta 2014 contestando la indeducibilità di una minusvalenza per 479.457,89 euro derivante dalla risoluzione nel 2014 di una compravendita immobiliare stipulata nel 2011 (per la quale xxxxx aveva realizzato una plusvalenza di 686.509 euro) in favore della società xxxxx.

2.- Sostiene come visto la società ricorrente xxxxx che essendo venuta meno la plusvalenza realizzata nel 2011 per effetto della risoluzione contrattuale del 2014, retroattiva, risulterebbe del tutto legittima la contabilizzazione della minusvalenza. Ad avviso dell’Ufficio, invece, l’atto del 2014 indipendentemente dalla qualificazione operata dalle parti avrebbe comportato un vero e proprio ritrasferimento “ex nunc” della proprietà in capo alla parte cedente ovvero a xxxxx, si da doversi escludere una minusvalenza deducibile.

3.- Questa è la questione in diritto dirimente per la decisione della controversia, che il giudice di primo grado ha risolto aderendo alla tesi dell’Ufficio, dunque ritenendo che con il contratto del 2014 “ragionevolmente le parti abbiano voluto realizzare un nuovo trasferimento della proprietà in favore dell’originario cedente, con effetto traslativo “basandosi sulle dichiarazioni negoziali di voler “retrocedere” il bene.

4.- L’appello è fondato e merita accoglimento.

5.- Il 24 ottobre 2011 l’odierna appellante ha effettuato la vendita di un compendio immobiliare composto da vari terreni ubicati nel Comune di Cannara in favore della società xxxxx realizzando – come è incontestato – una plusvalenza di 686.509,00 euro. Nel corso del 2012, a seguito della parziale risoluzione del contratto originario xxxxx tornava proprietaria di alcuni terreni che venivano iscritti in bilancio all’originario valore contabile di 1.123.449 euro, annullando così una parte della plusvalenza realizzata nel 2011 che scendeva da 686.509 euro a 479.458 euro (e quindi rettificandola di 207.051 euro). Con il medesimo accordo, le parti inserivano nel contratto originario una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1546 c.c. Il 27 febbraio 2014 in seguito a controversie intervenute tra le parti e culminate in un contenzioso civile, xxxxx e xxxxx riconoscevano reciprocamente la risoluzione per inadempimento del contratto del 2011 con retrocessione dell’immobile, con ristoro a favore della prima del risarcimento danni a titolo di penale pari 581.000,00 euro. In detto contratto le parti hanno stabilito tra l’altro che “…..xxxxx retrocede e trasferisce in piena proprietà a xxxxx, che accetta ed acquista i seguenti immobili……….”le parti espressamente riconoscono che con il presente atto hanno inteso procedere alla retrocessione dei restanti beni che furono oggetto di compravendita…..”.

6.- Sia qualificando il contratto del 2014 quale risoluzione per inadempimento oppure quale scioglimento per mutuo dissenso ritiene il Collegio di non condividere la ricostruzione operata dal primo giudice essendo la “retrocessione” disposta dalle parti evidentemente strettamente collegata all’accordo risolutorio. E’ ampiamente noto, anzitutto, come la risoluzione di un contratto per inadempimento ex art. 1458 c.c. ha tipico effetto retroattivo tra le parti salvo che per i contratti ad esecuzione continuata o periodica (ex plurimis Cassazione civile sez. II, 18 agosto 2022, n. 24915). Per giurisprudenza – da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi – il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o accordo risolutorio), espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, a prescindere dall’esistenza di eventuali fatti impeditivi o modificativi dell’originario regolamento di interessi; costituisce «un caso di ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio uguale e contrario a quello da risolvere » (Cassazione nn.683/66, 17503/2005, 18859/2008), integra un contratto autonomo con il quale le stesse parti estinguono un precedente, liberandosi dal relativo vincolo, con la peculiarità di presupporre un contratto precedente tra le stesse parti e di produrre effetto estintivo delle posizioni giuridiche conseguenti, nè vi sono ostacoli all’accordo risolutorio con effetto retroattivo del contratto ad efficacia reale, fatto salvo l’onere della forma ad substantiam, perchè per effetto di esso si opera un nuovo trasferimento della proprietà al precedente proprietario (così Cassazione 31 ottobre 2012, n. 18844, Id. 8878/1990).

Dunque la giurisprudenza ritiene che anche la risoluzione per mutuo dissenso così come quella per inadempimento ha effetto retroattivo, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, liberando dunque il cessionario dall’obbligo di pagare il prezzo. Ne consegue che la restituzione di un bene precedentemente venduto comporta la rettifica del relativo ricavo e non un nuovo acquisto, in applicazione degli stessi principi civilistici (artt. 2423 bis punto 1 c.c.2426 c.c.) venendo meno l’originaria plusvalenza realizzata con la vendita. Naturalmente tutto quanto sopra esposto vale in assenza della prova di una simulazione, la quale però non è stata nemmeno ipotizzata dall’Ufficio, la cui attività difensiva è stata esclusivamente rivolta alla diversa qualificazione civilistica del contratto di cui si discute nel presupposto dunque della volontarietà dei relativi effetti. A diverse conclusioni non può giungersi applicando l’art. 28 d.P.R. 131/1986 riferito, a prescindere da ogni altra considerazione, all’ imposta di registro.

7.- Alla luce delle suesposte argomentazioni l’appello è fondato e merita accoglimento con l’effetto della riforma della sentenza appellata ed annullamento dell’avviso di accertamento impugnato. Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria Sezione Seconda accoglie l’appello, condannando la parte soccombente alle spese del grado, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge. Spese compensate. Così deciso in Perugia all’udienza pubblica del xxxxx.