CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2021, n. 17631

Tributi – Imposta di registro – Agevolazione “prima casa” – Risoluzione consensuale di pregressa donazione relativa ad immobile pre-posseduto nello stesso Comune dell’immmobile agevolato – Perdita benefici – Esclusione

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 366, depositata il 04/03/2016, la CTR della Liguria ha rigettato l’appello principale della contribuente e accolto quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, dichiarando dovuta la maggiore imposta di registro e le sanzioni, applicate nell’avviso di liquidazione impugnato, riferito a un atto di compravendita immobiliare stipulato il 20/11/2009, registrato il 07/12/2009, usufruendo dell’agevolazione “prima casa”.

In particolare, la CTR ha ritenuto che la contribuente non potesse godere di tale beneficio fiscale, poiché, a seguito della risoluzione consensuale di una pregressa donazione, concordata dopo la menzionata compravendita con effetto retroattivo, aveva riacquistato la proprietà dell’immobile in precedenza donato (acquistato l’11/03/2003, usufruendo dell’agevolazione “prima casa”), che si trovava nello stesso comune in cui era ubicato quello compravenduto, in violazione di quanto stabilito dall’art. 1, nota II bis, comma 1, lett. b), della tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.

Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi di impugnazione.

L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria di costituzione solo per l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa delle proprie difese.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 561, 563 e 2652, n. 8, c.c. ed anche dell’art. 1, nota II bis, della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., nella parte in cui la CTR ha ritenuto l’efficacia retroattiva dello scioglimento per mutuo dissenso della donazione, ritenuta invece insussistente, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto che, comunque, al momento della stipula, la contribuente non era proprietaria di nessun altro immobile, perché la donazione era stata risolta per mutuo dissenso successivamente.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per non avere la CTR considerato che nei gradi di merito la contribuente aveva spiegato di avere accettato la revoca della donazione perché il donante non riusciva a vendere l’immobile a causa del timore dei potenziali acquirenti di subire azioni legali da parte degli eredi della donante stessa, aggiungendo inoltre che il vantaggio fiscale dell’agevolazione era ampiamente neutralizzato dalle imposte pagate per la donazione e per la revoca della stessa.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere la CTR adottato una motivazione meramente apparente nel giustificare la correttezza della sanzione con il riferimento alla globale condotta della contribuente.

Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul rilievo operato dalla contribuente, secondo il quale, fondandosi l’avviso di liquidazione su un ipotetico abuso del diritto, esso avrebbe dovuto essere preceduto dall’attivazione del contraddittorio a pena di nullità.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati.

2.1. Com’è noto, l’art. 1, nota II bis, della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, tra le altre condizioni, stabilisce al comma 1, lett. b), che l’aliquota agevolata dell’imposta di registro, riferita agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di abitazioni non di lusso, si applica, purché «nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare; l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza», aggiungendo al successivo comma 4 che «In caso di dichiarazione mendace … sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte … Sono dovuti gli interessi di mora di cui al comma 4 dell’art. 55 del presente testo unico…».

Nel caso di specie dagli stessi argomenti della sentenza impugnata si evince con certezza che, al momento della stipula dell’atto di compravendita in questione, come pure in quello della successiva registrazione, la contribuente non era proprietaria né titolare di altro diritto reale su beni immobili presenti nel comune in cui si trovava l’abitazione acquistata, avendo donato poco tempo prima al marito un immobile, che poi epitomato nella sua disponibilità per effetto di una risoluzione consensuale della donazione.

Deve dunque ritenersi che la contribuente non abbia reso alcuna dichiarazione mendace al momento della compravendita.

Nessuna norma prevede la revoca dell’agevolazione o la decadenza dall’agevolazione prevista per l’acquisto della “prima casa”, nel caso in cui, come nella specie, l’acquirente, dopo l’acquisto, ritorni in proprietà di beni immobili di cui si era spogliato prima dell’acquisto.

Resta ovviamente ferma ogni valutazione dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla possibilità di configurare condotte elusive dell’imposta, a cui consegue l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 10 bis l. n. 212 del 2000, n. 212, la quale, tuttavia, nella specie non risulta essere stata posta a fondamento della richiesta dell’avviso di liquidazione impugnato.

Tale soluzione interpretativa è peraltro stata adottata dalla stessa Agenzia delle entrate, nelle risposte ad interpelli che hanno riguardato fattispecie del tutto simili a quella in esame (v., in particolare, risposta n. 443 del 2019 e risposta n. 158 del 2020) o che comunque hanno posto questioni analoghe (cfr. risposta n. 77 del 2021), alcune delle quali sono state richiamate anche dalla ricorrente.

2.2. Non assume rilievo, ai fini della decisione, la controversa questione relativa alla decorrenza degli effetti della risoluzione consensuale del contratto, tenuto conto che, sia che l’effetto retroattivo operi automaticamente sia che tale effetto costituisca oggetto di espressa pattuizione delle parti, comunque esso riguarda solo i loro rapporti interni.

Com’è noto, infatti, l’art. 1372 c.c., dopo aver stabilito che il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o per le cause ammesse dalla legge, precisa anche che il medesimo contratto, salvo ipotesi particolari previste dalla legge, non produce effetti rispetto ai terzi.

E tale statuizione non può non riguardare anche l’accordo con il quale si risolve consensualmente il contratto già stipulato.

Ciò è confermato dalla norma contenuta nell’art. 1458, comma 2, c.c., che, nel disciplinare la diversa ipotesi della risoluzione del contratto per inadempimento (giudiziale o per effetto di clausola risolutiva espressa), ha comunque stabilito, anche in quel caso, che la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della domanda di risoluzione.

D’altronde, come più volte affermato da questa Corte, il mutuo dissenso, realizzando, per concorde volontà delle parti, la ritrattazione bilaterale del negozio stipulato, si sostanzia in un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario (Cass., Sez. 3, n. 27999 del 31/10/2019). Tale accordo risolutivo può riguardare anche gli atti con cui si è trasferita la proprietà o altri diritti reali – i quali, ai sensi dell’art. 1376 c.c. producono i loro effetti al momento della manifestazione del consenso – con la conseguenza che il mutuo dissenso determina il ritrasferimento dei menzionati diritti all’originario titolare (Cass., Sez. 5, n. 20445 del 06/10/2011).

Tale impostazione è confermata dall’orientamento assunto da questa Corte in materia tributaria, la quale, applicando il comma 2 dell’art. 28 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 agli atti risolutivi di compravendite immobiliari che non trovino la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione), ha ritenuto che a tali atti debba applicarsi l’imposta di registro in misura proporzionale (e non quella fissa, stabilita al precedente comma 1), senza che ciò si ponga in contrasto con il principio di capacità contributiva, atteso il nuovo passaggio di ricchezza correlato agli effetti ripristinatori e restitutori del mutuo dissenso (v. Cass., Sez. 5, n. 24506 del 05/10/2018; cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 15403 del 21/06/2017; Cass., Sez. 6-5, n. 4134 del 02/03/2015).

Alle stesse conclusioni si deve pervenire in caso di risoluzione consensuale della donazione effettuata prima dell’acquisto immobiliare effettuato dal donante avvalendosi dei benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa.

Nonostante la successiva risoluzione consensuale della donazione, resta comunque che l’acquirente, al momento dell’acquisto, non era titolare di diritti immobiliari ostativi al beneficio e che l’eventuale retroattività della menzionata risoluzione non muta tale situazione di fatto, esplicando effetti solo nei rapporti interni tra donante donatario.

2.3. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto in applicazione del seguente principio: “In tema di agevolazioni fiscali per l’acquisto della “prima casa”, non decade dal beneficio il contribuente che, dopo avere acquistato l’immobile, concordi lo scioglimento per mutuo dissenso di una donazione, effettuata prima dell’acquisto, avente ad oggetto un altro immobile posto nello stesso comune, poiché, al momento in cui ha compie l’acquisto, non è più proprietario del bene donato e, quindi, non rende alcuna dichiarazione mendace in ordine alla sussistenza della condizione prevista dall’art. 1, nota II bis, comma 1, lett. b), della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, senza che assuma rilievo la retroattività degli effetti, concordata in sede di risoluzione consensuale della donazione, che vale solo per i rapporti interni tra le parti, e restando comunque ferma ogni valutazione dell’Amministrazione in termini di abuso del diritto, secondo la disciplina dettata dall’art. 10 bis l. n. 212 del 2000“.

3. L’accoglimento di tale motivo rende superfluo l’esame degli altri, che devono ritenersi assorbiti.

4. In conclusione, deve essere accolto il primo motivo e assorbiti gli altri, deve essere cassata la decisione impugnata.

5. E possibile decidere nel merito la vertenza, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente (art. 384, comma 2, c.p.c.).

6. La novità della questione posta all’esame del giudice di legittimità giustifica la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente; compensa interamente tra le parti le spese di lite.