AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 12 febbraio 2020, n. 52
Crediti ereditari – Partita IVA chiusa
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’ istante, in qualità di erede di un architetto, fa presente che il de cuius in vita (anno 2002) si è insinuato in una procedura fallimentare per un credito professionale per il quale era stato emesso un progetto di notula.
Il 31 dicembre 2006 il professionista ha chiuso la partita IVA ancora in pendenza di fallimento.
Successivamente, nell’anno 2012, l’architetto è deceduto e i due eredi sono subentrati nel credito insinuato.
Nel mese di maggio 2019 è stato predisposto un piano di riparto del fallimento che ha previsto il pagamento parziale del credito professionale.
Il curatore ha richiesto agli eredi l’apertura della partita IVA originariamente chiusa ovvero, in alternativa, l’apertura di una nuova partita IVA per l’incasso delcredito in argomento.
La richiesta del curatore si fonda sulla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 8059 del 21/04/2016 e la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 11/3/2019.
Nella prima la Suprema Corte precisa come “Il compenso di prestazione professionale è imponibile a fini IVA anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività nel cui ambito la prestazione è stata effettuata ed alla relativa formalizzazione”.
Nella risoluzione citata, si ribadisce che “in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella” prevedendo una deroga a quanto stabilito dall’articolo 35-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 che dispone la chiusura della partita IVA del contribuente deceduto da parte deglieredi entro sei mesi dalla data della sua morte.
Pertanto, l’istante chiede se sussistono obblighi IVA al momento della percezione dei compensi nonché chiarimenti in ordine alla corretta tassazione del credito in esame. Inoltre, chiede se tali importi debbano essere assoggettati alla relativa cassa di previdenza.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
A parere dell’istante, le soluzioni fornite nei citati documenti di prassi e di giurisprudenza non si applicherebbero al caso concreto in quanto riferite ad una fattispecie differente (presenza di partita IVA del de cuius ancora attiva) mentre nel caso di specie la partita IVA è stata chiusa in data antecedente al decesso.
Ritiene che le norme da applicare al caso in esame sono le seguenti :
1) l’art. 7, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986 (Tuir), in base al quale i compensi professionali incassati dagli eredi di un lavoratore autonomo deceduto debbano essere tassati in capo agli eredi, mantenendo la stessa qualificazione di redditi di lavoro autonomo;
2) tali compensi sono soggetti a tassazione separata sulla base all’art. 21, comma 2, del Tuir, e pertanto devono essere dichiarati nel Quadro “RM” del Modello “Unico”; tuttavia, gli eredi del professionista hanno la facoltà di optare, nella propria dichiarazione dei redditi, per l’applicazione della tassazione ordinaria;
3) le ritenute subite (certificate dai sostituti di imposta) sono scomputabili nel Modello Unico di cui sopra, pro quota in base al numero degli eredi;
4) per le prestazioni poste in essere dal de cuius, in assenza di partita IVA e datala carenza del presupposto soggettivo, gli eredi non hanno obblighi Iva e al momento della percezione dei compensi devono limitarsi a emettere una semplice ricevuta soggetta eventualmente ad imposta di bollo per importi superiori ai 77,47 euro;
5) gli importi non sono assoggettabili alla cassa di previdenza originaria del decuius, per i motivi di cui sopra.
L’istante ritiene che al caso in esame non possa applicarsi il disposto dell’art. 35-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, che stabilisce che “Gli obblighi derivanti, a norma del presente decreto, dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi, ancorché i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte del contribuente, entro i sei mesi da tale data. Resta ferma la disciplina stabilita dal presente decreto per le operazioni effettuate, anche ai fini della liquidazione dell’azienda, dagli eredi dell’imprenditore.”
Pertanto ritiene applicabile la R.M. n. 501918 del 5 giugno 1973, che prevede che “nel caso di decesso del titolare di un ‘impresa individuale prima del verificarsi del momento impositivo, poiché l’impresa ha cessato di esistere per effetto della morte del suo titolare, non vi è dubbio che i corrispettivi pagati agli eredi e riguardanti prestazioni rese dall’imprenditore deceduto devono considerarsi fuori del campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto per assenza del presupposto soggettivo”.
Tale soluzione ritiene sia giustificata dal fatto che non è possibile riaprire la vecchia partita IVA ormai cessata da svariati anni, né aprirne una nuova in capo agli eredi.
L’istante chiede, inoltre, qualora la soluzione proposta non fosse condivisa, di:
– indicare se risulti applicabile il regime naturale c.d. “forfettario”, fatti salvi i requisiti dimensionali che il contribuente, se ancora in vita, avrebbe avuto;
– indicare la configurazione e gli obblighi dichiarativi e fiscali per la nuova partita Iva da aprire, intendendosi il codice attività da assegnare alla partita Iva (se coincidente con quello del de cuius pur non avendone i requisiti), la forma giuridica da assumere etc.;
– indicare la configurazione e gli obblighi dichiarativi e fiscali in capo gli eredi;
– indicare la presenza o meno degli obblighi previdenziali per la originaria cassa di previdenza del de cuius.
L’istante precisa che gli eredi hanno a loro volta una partita IVA autonoma, e nello specifico l’istante svolge la professione di avvocato; che il de cuius aveva operato la chiusura della partita IVA in data antecedente alle risoluzioni Agenzia delle Entrate nn. 11/E 2007 e 232/E 2009, già citate nella risoluzione n. 34/E2019.
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 6 del Dpr n. 633 del 1972 al comma 3 stabilisce che “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”.
L’ambito applicativo della citata norma è stato di recente chiarito dalla Suprema Corte che con la sentenza a Sezioni Unite n. 8059 del 21 aprile 2016 ha affermato: “[…] il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati […] con la materiale esecuzione della prestazione,giacché, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione(…) il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”;
Con la risoluzione n. 34/E del 11 marzo 2019, richiamando i principi espressi dalla Suprema Corte, è stato affermato che “in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella (…). Resta,peraltro, salva la possibilità anticipare la fatturazione delle prestazioni rese dal de cuius e di chiudere la partita IVA, salvo, in tale evenienza, computare nell’ultima dichiarazione annuale IVA “anche le operazioni indicate nel quinto comma dell’articolo 6, per le quali non si è verificata l’esigibilità dell’imposta” (così l’articolo 35 comma 4 del decreto IVA), ossia anticipare l’esigibilità rispetto al momento dell’effettivo incasso.”
Per le suesposte considerazioni, si ritiene che nel caso di specie la prestazione di servizi professionali svolta dal de cuius e per la quale si è generato il credito in esame,rientra nel campo di applicazione dell’IVA, anche se il prestatore (de cuius) ha chiuso anticipatamente la partita IVA.
Tale ultima circostanza comporta l’impossibilità (da parte degli eredi) di porre in essere gli adempimenti relativi all’obbligo di fatturazione quando avviene il pagamento del corrispettivo da parte della curatela, momento in cui si verifica anche l’esigibilità dell’imposta.
Pertanto, non potendo gli eredi riaprire la partita IVA del de cuius, si ritiene che l’obbligo di fatturazione relativo alla predetta operazione da assoggettare ad Iva dovrà essere assolto dal committente (curatore fallimentare) ai sensi dell’articolo 6, comma 8, del d.lgs n. 471 del 1997.
Inoltre, con riferimento alla natura dei compensi per le prestazioni effettuate dal de cuius e percepiti dagli eredi si ritiene che gli stessi costituiscano redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 7, comma 3, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986(TUIR) che stabilisce “in caso di morte dell’avente diritto i redditi che secondo le disposizioni relative alla categoria di appartenenza sono imputabili al periodo d’imposta in cui sono percepiti, determinati a norma delle disposizioni stesse, sono tassati separatamente a norma degli articoli 17 e 18, salvo il disposto del comma 3 dell’articolo 16, anche se non rientrano tra i redditi indicati nello stesso articolo 16, nei confronti degli eredi e dei legatari che li hanno percepiti”.
In forza della richiamata disposizione, i compensi da liquidare agli eredi conservano la loro natura e, pertanto, devono essere assoggettati a tassazione secondo le modalità, stabilite dalla categoria di appartenenza, che sarebbero state applicate se i redditi fossero stati percepiti direttamente dal de cuius (cfr. circolare n. 15 del 5 marzo 2003). Più precisamente, tali compensi professionali (per le prestazioni effettuate dal de cuius e percepite dagli eredi) costituiscono redditi di lavoro autonomo tassati secondo il principio di cassa con tassazione separata, salvo la facoltà per la tassazione ordinaria di cui all’articolo 16, comma 3 del TUIR.
Su tali compensi i sostituti d’imposta dovranno effettuare la ritenuta d’acconto ai sensi dell’articolo 25 del d.P.R n. 600 del 1973.
Resta infine da precisare che il quesito relativo all’assoggettabilità o meno delle somme in esame alla cassa di previdenza esula delle competenze della Scrivente in quanto non relativo all’applicazione di norme tributarie.
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