AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 366 del 4 luglio 2023
Articolo 10–bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 – Detassazione dei contributi e delle indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 – Accesso ad un finanziamento bancario con garanzia dello Stato, ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, e cassa integrazione guadagni in deroga, prevista dall’articolo 22 del decreto-legge n. 18 del 2020
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società ALFA S.p.A. rappresenta di aver fruito, nel corso degli anni d’imposta 2021 e 2022, delle seguenti misure di aiuto per il sostegno alla liquidità delle imprese e per il sostegno del lavoro, finalizzate al contrasto degli effetti negativi della pandemia COVID-19:
a. accesso ad un finanziamento bancario con garanzia dello Stato a titolo oneroso rilasciata da SACE S.p.A. con finalità di liquidità, ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, e successive modifiche;
b. fruizione della Cassa Integrazione Guadagni in Deroga (CIGD) prevista dall’articolo 22 del decreto-legge n. 18 del 2020 (cd. ”Decreto Cura Italia”).
Al riguardo, la società fa presente che il citato ”Decreto Cura Italia” (Titolo II rubricato ”misure a sostegno del lavoro”, capo I, ”estensione delle misure speciali in tema di ammortizzatori sociali per tutto il territorio nazionale”) ha previsto ”una serie di misure speciali a sostegno dei datori di lavoro e dei lavoratori” (cfr. messaggio Inps n. 1321 del 23/03/2020).
Come sottolineato nell’interpello, l’INPS ha precisato che la possibilità di fruire della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) ha come obiettivo, oltre quello di ”sostenere il reddito del beneficiario”, anche quello ”di mantenere presso le aziende i lavoratori già specializzati e di sollevare le aziende stesse, in temporanea difficoltà, dal costo del personale momentaneamente non utilizzato che può essere riammesso al lavoro, una volta superato il periodo di crisi”.
Inoltre, ha precisato che i datori di lavoro interessati che abbiano già trasmesso domanda di accesso alle prestazioni in deroga con causale ”COVID-19 Nazionale” possono inviare una domanda integrativa, con la medesima causale e per il medesimo periodo originariamente richiesto, con riferimento ai lavoratori che non rientravano nel novero dei possibili beneficiari della prestazione, prima delle modifiche al DL n. 18 del 2020, apportate dal decreto-legge n. 23 del 2020.
Sulla base della normativa di riferimento, pertanto, la società istante ha ”conseguito un aiuto relativo alla fruizione della Cassa Integrazione Guadagni in Deroga con causale COVID-19 nazionale, diverso rispetto all’aiuto percepito dal lavoratore dipendente”. Inoltre, come precisato nell’interpello, entrambi gli aiuti di cui è stata destinataria la società ”sono stati erogati sotto forma di riduzione di un costo”.
Dal punto di vista contabile, la società istante fa presente di aver rilevato a conto economico entrambi gli aiuti fruiti sotto forma di ”minor costo”, senza indicare tra i ricavi un corrispondente contributo in conto esercizio. In alternativa come precisato nell’interpello ”avrebbe potuto rilevare in contabilità l’intero importo del costo sostenuto, al lordo dell’aiuto, a fronte di un contributo, in conto esercizio da indicare tra i ricavi”.
Ciò premesso, in merito alla fattispecie prospettata, la società chiede di sapere se i contributi fruiti per effetto dell’accesso alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria COVID-19 e al finanziamento bancario assistito da garanzia dello Stato rientrino nell’ambito oggettivo di applicazione del regime di detassazione generale, ai fini delle imposte sul reddito (IRPEF/IRES) e dell’IRAP, prevista per tutti i contributi concessi a seguito dell’emergenza COVID-19 dall’articolo 10bis del Decreto Legge n. 137 del 2020.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che gli aiuti fruiti per effetto dell’accesso a finanziamenti bancari assistiti da garanzia dello Stato e alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria COVID-19 integrino tutti i presupposti soggettivi ed oggettivi per l’accesso alla detassazione generale COVID-19 introdotta dall’articolo 10bis del Decreto-legge n. 137 del 2020, e cioè:
i. la società istante è un soggetto esercente attività di impresa;
ii. la norma risulta applicabile per qualsiasi contributo, indennità e ogni altra misura di aiuto, ivi compresi i contributi sopra descritti;
iii. l’aiuto può essere concesso da chiunque (compresi SACE S.p.A. e INPS);
iv. l’applicazione della disposizione esula dalle modalità di erogazione dei contributi, contemplando anche le fattispecie di aiuto sotto forma di riduzione e/o azzeramento di un onere o di un debito, come nel caso di contributo in conto garanzia e integrazione salariale per effetto dell’accesso alla cassa integrazione con causale COVID-19;
v. la norma è applicabile indipendentemente dalla modalità di contabilizzazione; quindi, anche nel caso in cui il costo e/o il debito ridotto (o azzerato), e il corrispondente contributo in conto esercizio, non siano stati rilevati in contabilità;
vi. le misure sono state introdotte a fronte della straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi causati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 e pertanto hanno finalità diverse rispetto alle rispettive misure esistenti prima della medesima emergenza. In particolare, il legislatore ha rispettivamente previsto:
con gli articoli 1 e 13 del decreto-legge n. 23 del 2020 ”Decreto Liquidità” misure di sostegno alla liquidità delle imprese a fronte della straordinaria necessità di contenere gli effetti negativi causati dall’emergenza epidemiologica COVID-19;
con il Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia), la possibilità per le imprese che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, di presentare domanda all’INPS di accesso alla Cassa Integrazione Ordinaria (articolo 19), Trattamento Ordinario di integrazione salariale per le imprese che si trovano in Cassa Integrazione Straordinaria (articolo 20) e prevedendo nuove disposizioni per l’accesso alla cassa integrazione in deroga (articolo 22).
La CIG straordinaria COVID-19, secondo l’istante, rappresenta un aiuto, oltre che per i dipendenti, anche per le imprese, dunque idoneo a soddisfare i requisiti del citato articolo 10bis.
In particolare, come più chiaramente emerso in sede di risposta alla richiesta di integrazione documentale, l’Istante ha sottolineato come, con il tempo, la CIG sia ormai «considerata non più come una assicurazione a favore del lavoratore bensì a favore dell’imprenditore volta a sollevarlo dal peso dell’obbligo retributivo nel periodo di sospensione temporanea dell’attività».
Nel particolare contesto emergenziale dovuto al diffondersi della pandemia, secondo la società, lo strumento della Cassa Integrazione Guadagni ha «consentito al datore di lavoro di poter estinguere in maniera satisfattiva l’obbligazione del pagamento dei salari nei confronti dei dipendenti, facendo venir meno la necessità di rilevare un debito correlato al pagamento dei salari e degli stipendi dei dipendenti nel corso del periodo emergenziale».
Dal punto di vista tecnico-giuridico, come sottolineato dall’istante, l’applicazione della CIG «determina una sospensione delle reciproche obbligazioni del lavoratore e del datore di lavoro connesse al rapporto di lavoro subordinato, nonostante il rapporto di lavoro permanga giuridicamente efficace».
Al riguardo, la società evidenzia come la disciplina riguardante la Cassa Integrazione Covid-19 non abbia comportato il venir meno del rapporto di lavoro con il dipendente e l’obbligo da parte del datore di lavoro di corrispondere il salario ai propri dipendenti. Infatti, come sottolineato nell’interpello, l’Istante ha comunque iscritto tra i propri debiti le quote di TFR maturate dai suoi dipendenti nel bilancio di esercizio per l’anno di riferimento, nel rispetto di quanto previsto dal Legislatore che ha introdotto uno specifico divieto di licenziamento dei dipendenti nel corso del periodo emergenziale.
Sulla base di tali considerazioni, la società istante ritiene che gli aiuti fruiti, entrambi erogati attraverso ”la riduzione di un costo”, possano essere oggetto di detassazione ai fini IRES e IRAP, da attuare attraverso la compilazione del rigo RF55 con codice 99 del modello Redditi 2022 e del rigo IC57 con codice 99 del modello IRAP 2022 con indicazione di un importo corrispondente al valore dei rispettivi aiuti calcolati, nonostante gli stessi non siano stati erogati mediante accredito su conto corrente in virtù della previsione dell’irrilevanza della modalità di fruizione e nonostante non siano stati contabilizzati a conto economico in virtù dell’irrilevanza della modalità di contabilizzazione.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
In via preliminare, si evidenzia che il presente parere viene reso sulla base delle informazioni e degli elementi rappresentati dal contribuente, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità, completezza, concretezza ed esaustività, e non riguarda, in particolare, la verifica della sussistenza di accesso ai benefici menzionati in istanza; tali verifiche, infatti, esulano dalle competenze esercitabili dalla scrivente in sede di risposta ad interpello ed in relazione a tali aspetti resta impregiudicato il potere di controllo dell’amministrazione finanziaria nelle opportune sedi.
L’articolo 10bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. decreto Ristori), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha previsto che «I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».
Al riguardo, tenuto conto del principio di carattere generale secondo cui tutti i contributi e i sussidi concorrono comunque alla formazione del reddito imponibile IRPEF/IRES e del valore della produzione ai fini IRAP, tranne quelli per i quali la disciplina istitutiva abbia previsto esplicitamente la ”non imponibilità” ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, la disposizione in commento ha previsto, in riferimento ai ”contributi” e alle ”indennità” di qualsiasi natura, erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, un regime generalizzato di irrilevanza fiscale ai fini delle citate imposte, in favore di tutti i soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché dei lavoratori autonomi.
Come evidenziato anche nella recente risposta n. 156 del 2023 attraverso l’articolo 10bis in esame, il legislatore ha inteso riconoscere ai contributi di ”qualsiasi natura” erogati, in via eccezionale, a seguito dell’emergenza epidemiologica Covid-19, ”da chiunque” e ”indipendentemente dalle modalità di fruizione”, la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile e del valore della produzione, in considerazione della finalità dell’aiuto economico di contrastare gli effetti negativi conseguenti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Nel rispetto dello spirito della norma, deve trattarsi in ogni caso di sostegni economici strettamente connessi all’emergenza pandemica e, come richiesto espressamente dal citato articolo 10bis, «diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza».
Ciò premesso, con l’istanza di interpello in esame, la società ha chiesto di valutare se le due misure agevolative oggetto dell’istanza (Cassa Integrazione Guadagni in Deroga e finanziamenti bancari assistiti da garanzia dello Stato), fruite a seguito dello stato di emergenza pandemica, rientrino o meno nell’ambito oggettivo di applicazione del suddetto regime di detassazione.
Si tratta, in particolare, di misure agevolative per il sostegno del lavoro e della liquidità delle imprese, disciplinate rispettivamente:
dall’articolo 22 del decreto-legge n. 18 del 2020 (cd. ”Decreto Cura Italia”), che ha previsto, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID19, in favore dei datori di lavoro del settore privato, in costanza di rapporto di lavoro, l’accesso ai trattamenti di Cassa Integrazione Guadagni in deroga (CIGD), per la durata della riduzione o della sospensione del rapporto di lavoro, e comunque per un periodo limitato;
dall’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, e successive modifiche, che, ”al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia COVID-19”, ha previsto l’accesso a finanziamenti bancari assistiti da garanzia dello Stato a titolo oneroso rilasciata da SACE S.p.A.
Con specifico riferimento alla Cassa Integrazione Guadagni in deroga (CIGD) prevista dal citato articolo 22 del decreto-legge n. 18 del 2020, in sede di documentazione integrativa la società ha affermato che ”la disciplina introdotta nel periodo emergenziale relativa alla Cassa Integrazione Covid-19 non ha fatto venir meno il rapporto di lavoro con il dipendente e l’obbligo da parte del datore di lavoro di corrispondere il salario ai propri dipendenti”. Secondo la ricostruzione della fattispecie operata dall’Istante, quindi, nel periodo di emergenza della pandemia, la suddetta disposizione avrebbe consentito ai datori di lavoro, attraverso la richiesta della Cassa integrazione per i propri dipendenti, di mantenere in organico lavoratori già specializzati nonostante la situazione di temporanea inoperatività, sollevandoli altresì dall’obbligo/onere di corrispondere loro le retribuzioni integralmente.
Di conseguenza, la Cassa integrazione, secondo l’istante, rappresenterebbe un aiuto, oltre che per i dipendenti, anche per le imprese, idoneo a soddisfare i requisiti del citato articolo 10bis, determinando la possibilità di operare una variazione in diminuzione pari alla differenza tra il ”teorico” costo del lavoro (costo per le retribuzioni che, sulla base dei contratti, le imprese avrebbero dovuto sostenere in assenza dei provvedimenti emergenziali) e la quota rimasta effettivamente a carico delle imprese.
La medesima impostazione, secondo la ricostruzione dell’interpellante, vale anche per la concessione della garanzia dello Stato in riferimento al finanziamento richiesto dalla società, che configurerebbe, anche in questo caso, un contributo fruito sotto forma di ”minor costo”, detassabile ai sensi del citato articolo 10bis del ”Decreto Ristori”, mediante una ”variazione in diminuzione” della base imponibile, in sede di dichiarazione dei redditi, di importo pari al costo ”non sostenuto” per la garanzia da finanziamento.
Al riguardo, la soluzione proposta dall’istante non è condivisibile; la ratio della disposizione in esame è, in tutta evidenza, quella di evitare in via generalizzata che gli effetti positivi derivanti dall’erogazione dei contributi durante il periodo di emergenza COVID-19 finalizzati, com’è noto, a limitare le gravi conseguenze economico/finanziarie della crisi vengano, anche solo in parte, depotenziati dall’incidenza della tassazione dei contributi erogati; con l’introduzione di una disposizione di carattere generale, quindi, il legislatore ha perseguito l’obiettivo di assicurare l’integrale fruizione del sostegno economico, sterilizzando la possibile incidenza dell’obbligo fiscale, con riferimento a tutte le misure di sostegno per le quali lo stesso legislatore non avesse già provveduto attraverso l’apposita previsione contenuta nella norma istitutiva dell’agevolazione.
In linea con la suddetta ratio, costituisce quindi presupposto imprescindibile, ai fini dell’applicazione del citato regime di detassazione, la circostanza che al soggetto destinatario sia assegnato un beneficio che comporti un ”vantaggio economico” effettivo e quantificabile che la norma indica in maniera generica come ”contributo” o ”indennità” che consiste, in sostanza, in una integrazione di ricavi oppure in una partecipazione (totale o parziale) al sostenimento di determinati costi purché rimasti ”a carico” dal soggetto beneficiario.
Applicando questo principio al caso di specie, risulta invece che l’accesso alla Cassa integrazione che pone, in tutto o in parte, a carico dell’INPS la retribuzione del lavoratore a fronte della contrazione, in misura corrispondente, della prestazione lavorativa di quest’ultimo incide sulla genesi stessa del ”debito” per retribuzioni dovute dal datore di lavoro, traducendosi nel venir meno di un costo di quest’ultimo per tutta la durata della misura.
Di conseguenza, l’integrazione salariale da parte dell’INPS al lavoratore non rappresenta un ”contributo in conto esercizio” dell’impresa inteso in senso tecnico come ”ristoro” di costi sostenuti.
L’applicazione dell’articolo 10bis in relazione a somme come quelle in esame che, come sopra evidenziato, fanno venire meno a monte il debito del datore di lavoro e che rappresentano, quindi, un costo non sostenuto dallo stesso genererebbe un effetto agevolativo ”ulteriore” rispetto a quello alla base della ratio della norma stessa che, come sopra evidenziato, si limita a sterilizzare gli effetti che la tassazione di un contributo genera sul destinatario.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento alla seconda misura agevolativa oggetto del quesito proposto, l’articolo 1 del decreto legge n. 23 del 2020, il quale ha previsto, al fine di ”assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia COVID-19, diverse dalle banche e da altri soggetti autorizzati all’esercizio del credito”, la concessione, fino al 31 dicembre 2020, di garanzie, ”in favore di banche, di istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e degli altri soggetti abilitati all’esercizio del credito in Italia, per finanziamenti sotto qualsiasi forma alle suddette imprese”.
Al riguardo, in considerazione delle difficoltà economico-finanziarie delle imprese a causa del COVID-19, la misura in esame è finalizzata ad agevolare, in favore di determinati soggetti individuati dalla norma come beneficiari, l’accesso a finanziamenti, la cui caratteristica è che il prestito è garantito al 100 per cento dallo Stato.
Si tratta, in sostanza, di finanziamenti in riferimento ai quali l’imprenditore interessato deve sostenere un costo complessivo (comprensivo di interessi, commissioni o altro) che già nasce decurtato dagli eventuali oneri relativi alla garanzia, che in condizioni normali sarebbero sostenuti dall’imprenditore.
Di conseguenza, anche in riferimento a tale fattispecie, per effetto dell’accesso alla misura, l’imprenditore non vede sorgere il corrispondente debito di talché anche in questo caso il beneficio non si traduce in un ”contributo in conto esercizio” dell’impresa inteso in senso tecnico come ”ristoro” di costi sostenuti.
Anche in tali fattispecie, l’applicazione dell’articolo 10bis genererebbe a beneficio dell’impresa un effetto agevolativo ultroneo rispetto a quello per il quale la norma è stata introdotta.
In conclusione, sulla base delle predette considerazioni, si ritiene che nessuna delle due misure agevolative sopra descritte, ancorché finalizzate al sostegno del lavoro e al sostegno alla liquidità delle imprese (per contrastare gli effetti negativi della pandemia COVID-19), rientri nell’ambito di applicazione del regime di detassazione dei ”contributi Covid-19”, disciplinato dal più volte citato articolo 10bis del decreto legge n. 137 del 2020, in assenza del presupposto oggettivo, vale a dire l’erogazione di un ”contributo” a riduzione del ”costo sostenuto” dalla società.
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