FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 05 ottobre 2021, n. 14
La riforma del terzo settore – Primi approfondimenti
SOMMARIO
1. IL RIASSETTO NORMATIVO
2. GLI ENTI DEL TERZO SETTORE IN GENERALE
2.1 Qualifica di ETS
2.2 Assenza dello scopo di lucro e finalità sociali
2.3 Attività di interesse generale
2.4 Attività diverse
2.5 Denominazione sociale e iscrizione nel registro unico nazionale del terzo settore
2.6 Il lavoro negli enti del terzo settore
3. IL VOLONTARIATO NEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
4. PRIMI CENNI SU PARTICOLARI CATEGORIE DI ETS
5. IL REGIME FISCALE DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
5.1 Premessa e cenni alle disposizioni di coordinamento
5.2 Disposizioni in materia di imposte sui redditi (art. 79)
5.3 Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali (art. 82)
5.4 Detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali (art. 83)
5.5 Le scritture contabili ai fini fiscali (art. 87)
5.6 Il regime forfetario per le attività commerciali svolte dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato
5.7 Coordinamento normativo
Il presente lavoro costituisce una prima introduzione sulla Riforma del Terzo Settore, in cui vengono forniti altresì dei cenni a normative e regimi specifici, i quali saranno oggetto di una più approfondita analisi in contributi di prossima pubblicazione.
1. IL RIASSETTO NORMATIVO
Prima che fosse introdotto il D.Lgs. n. 117/2017 (di seguito anche Codice del Terzo settore o, in breve, CTS), la normativa riguardante il Terzo settore poteva rinvenirsi nel Codice Civile e in singoli interventi settoriali; ciò aveva condotto inevitabilmente ad una disciplina frammentaria e disorganica, nonché incompleta.
Inoltre, il settore del no-profit in Italia stava attraversando – e sta attraversando tuttora – una fase di crescita importante, sia in termini numerici che economici, e tale processo non risultava, dunque, sostenuto da una normativa adeguata.
Si è resa, quindi, necessaria una riorganizzazione legislativa della materia: la Legge Delega n. 106/2016 ha richiesto espressamente una revisione della disciplina del Titolo II del Libro Primo del Codice Civile, il quale disciplina le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o anche non riconosciute, oltre che il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore.
La Legge delega n. 106/2016 precisa che con la locuzione “Terzo settore” si fa riferimento al complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.
Ispirandosi ai principi di semplificazione e trasparenza, in un’ottica di coordinamento, il Codice del Terzo Settore determina il perimetro, i soggetti coinvolti, le norme di funzionamento, il regime fiscale e gli spazi di coordinamento normativo.
2. GLI ENTI DEL TERZO SETTORE IN GENERALE
2.1 Qualifica di ETS
A norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 117/2017, sono considerati Enti del Terzo Settore (di seguito anche, in breve, ETS):
– le organizzazioni di volontariato,
– le associazioni di promozione sociale,
– gli enti filantropici,
– le imprese sociali, incluse le cooperative sociali,
– le reti associative,
– le società di mutuo soccorso,
– le associazioni, riconosciute o non riconosciute,
– le fondazioni,
– altri enti di carattere privato diversi dalle società, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
L’allocazione in una delle forme associative previste dai decreti legislativi n. 112 e 117 del 3 luglio 2017 assume effetti rilevanti, in quanto da essa derivano le diverse prerogative riconosciute dalla riforma agli enti del Terzo settore e le differenti regole da osservare previste.
La scelta del modello associativo non è, tuttavia, appannaggio degli enti in via opzionale, in quanto i destinatari delle attività di interesse generale – che il legislatore prevede che tali enti debbano svolgere – sono differenti a seconda della tipologia dell’ente, così come sono differenti le modalità di svolgimento, le condizioni e, più in generale, i requisiti richiesti. A tal proposito, occorre considerare innanzitutto la diversa regolamentazione che disciplina gli enti del terzo settore, con esclusione delle imprese sociali, a cui si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 117/2017.
Alle imprese sociali, comprese le cooperative sociali che ontologicamente vengono ad esse equiparate, si applicano le regole del D.Lgs. n. 112/2017 e quelle del D.Lgs. n. 117/2017, solo in quanto compatibili con le disposizioni del primo decreto richiamato, e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita (cfr. art. 1, comma 5, D.Lgs. n. 112/2017).
Gli enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, cioè quelli regolati dal D.Lgs. n. 117/2017, risultano destinatari di una più ampia serie di vantaggi rispetto alle imprese sociali. Sul fronte fiscale, infatti, l’articolo 79 del D.Lgs. n. 117/2017 prevede che l’impresa sociale non possa rientrare tra gli “enti del Terzo settore di natura non commerciale”, con conseguenti effetti ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA (cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 475/2021).
A ciò si aggiunga che le disposizioni collegate alla qualifica di organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), una volta che la riforma del Terzo settore entrerà a regime (nel periodo d’imposta successivo di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore), andrà riferita agli enti non commerciali del Terzo settore, comprese le cooperative sociali, ma escluse le imprese sociali (cfr. art. 82, comma 1, D.Lgs. n. 117/2017).
2.2 Assenza dello scopo di lucro e finalità sociali
Come si può rilevare dall’elenco di cui al punto precedente, la qualifica di “Ente del Terzo settore” può applicarsi ad un ampio novero di categorie; in realtà, ciò che conta è l’assenza di fini di lucro, che risulta essere effettivamente l’elemento comune caratterizzante in negativo il Terzo settore. Quindi, il patrimonio degli enti del Terzo settore sarà utilizzato esclusivamente per lo svolgimento dell’attività statutaria, mirante al perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Fulcro dell’attività svolta dovrà essere il bene comune, nel senso di innalzamento dei livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, come richiesto dalla Legge Delega.
2.3 Attività di interesse generale
Non essendo rinvenibile, sul piano civilistico, una definizione in positivo delle caratteristiche comuni al Terzo settore e agli organismi che lo compongono, si rivela necessario individuare le attività di interesse generale che costituiscono l’oggetto sociale dell’ETS.
Ad esclusione delle imprese sociali, gli enti del Terzo Settore hanno l’obbligo di esercitare una delle attività tassativamente indicate all’art. 5 del D.lgs. n. 117/2017.
Sono considerate di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, le attività aventi ad oggetto:
a) interventi e servizi sociali ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e successive modificazioni, oltre che interventi, servizi e prestazioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, e di cui alla legge 22 giugno 2016, n. 112, e successive modificazioni;
b) interventi e prestazioni sanitarie;
c) prestazioni socio-sanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001 e successive modificazioni;
d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;
e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, nonché alla tutela degli animali e prevenzione del randagismo;
f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;
g) formazione universitaria e post-universitaria;
h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui all’articolo 5;
j) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai sensi dell’articolo 16, comma 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni;
k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo, alla prevenzione del bullismo e al contrasto della povertà educativa;
m) servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
n) cooperazione allo sviluppo, ai sensi della legge 11 agosto 2014, n. 125, e successive modificazioni;
o) attività commerciali, produttive, di educazione e informazione, di promozione, di rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell’ambito o a favore di filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un’area economica svantaggiata situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a promuovere l’accesso del produttore al mercato e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l’obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere ai lavoratori di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché’ di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile;
p) servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori molto svantaggiati e delle persone svantaggiate o con disabilità, nonché delle persone beneficiarie di protezione internazionale, e delle persone senza fissa dimora, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia (cfr art. 2, comma 4, D.Lgs.. n. 112/2017);
q) alloggio sociale, ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonché ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti;
s) agricoltura sociale, ai sensi dell’articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni;
t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
u) beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma dell’art. 5;
v) promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;
w) promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, nonché dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale di cui all’art. 5, promozione delle pari opportunità e delle iniziative di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi di cui all’articolo 27 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e i gruppi di acquisto solidale di cui all’articolo 1, comma 266, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
x) cura di procedure di adozione internazionale ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;
y) protezione civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Il legislatore delegato ha stabilito che l’elenco delle attività d’interesse generale, come sopra riportato, potrà essere aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti – in modo da tenere conto dei futuri sviluppi e dei nuovi bisogni sociali che riguarderanno il settore no-profit in Italia.
2.4 Attività diverse
L’art. 6 del Codice del Terzo Settore prevede la possibilità di svolgere ulteriori attività, diverse da quelle sopra elencate, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e che siano strumentali e secondarie alle attività dell’articolo 5.
La strumentalità si sostanzia, indipendentemente dall’oggetto, nel perseguimento delle medesime finalità sociali delle attività di interesse generale, a dimostrazione di come gli obiettivi di interesse sociale prevalgano sulle attività concretamente svolte, sempreché quest’ultime vadano ad affiancarsi a quelle di interesse generale: ciò significa che l’eventuale margine di guadagno delle attività a cui si riferisce l’art. 6 dovrà essere utilizzato, in una prospettiva di autofinanziamento, per il perseguimento del fine istituzionale.
Per quanto concerne la secondarietà, invece, si dispone che le attività diverse siano considerate secondarie quando i ricavi che ne derivino non siano superiori al 30% delle entrate complessive ovvero i ricavi non siano superiori al 66% dei costi complessivi.
2.5 Denominazione sociale e iscrizione nel RUNTS
Delle attività di interesse generale svolte, così come dell’assenza dello scopo di lucro e delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite, se ne dovrà dar conto nell’atto costitutivo, il quale dovrà anche riportare la denominazione sociale dell’ente, contenente obbligatoriamente l’indicazione di “ente del Terzo settore” o l’acronimo ETS, ai fini della trasparenza e della tutela del terzo. Tale denominazione, quindi, può e deve essere utilizzata esclusivamente dagli enti del Terzo settore: è, infatti, vietato l’utilizzo della sigla, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, da parte di soggetti diversi.
Inoltre, ai soli fini dell’acquisizione della personalità giuridica (la quale è facoltativa), deve anche essere indicato il patrimonio iniziale, pari almeno a 15.000 euro per le associazioni e almeno a 30.000 euro per le fondazioni.
L’acquisto della qualifica di ente del Terzo settore ed, eventualmente, della personalità giuridica, avviene con l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUNTS), avendo quindi quest’ultima efficacia costitutiva. Oltre che nel RUNTS, gli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese: ciò non vale per le imprese sociali, le quali assolvono tale obbligo con l’iscrizione unica nell’apposita sezione del registro delle imprese.
2.6 Il lavoro negli enti del terzo settore
Gli enti del Terzo settore possono realizzare il proprio scopo sociale avvalendosi dell’attività lavorativa dei soci o dei terzi, seppure con limitazioni differenti a seconda del modello associativo di appartenenza.
Preliminarmente, va osservato che, in tutti gli enti del Terzo settore, i lavoratori hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015.
In ogni caso, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno ad otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda, con valorizzazione del rispetto di tale parametro nel bilancio sociale o, in mancanza, nella relazione di missione che illustra le poste del bilancio d’esercizio (cfr. art. 16 D.Lgs. n. 117/2017 e art. 13 D.Lgs. n. 112/2017).
Le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) soggiacciono, altresì, a limitazioni alle attività lavorative che possono essere prestate a loro favore. Le ODV possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure nei limiti occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta. È, comunque, previsto il limite massimo di lavoratori che possono essere impiegati nell’attività, che non può essere superiore al 50% del numero dei volontari.
Le APS, invece, possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati, solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità e, comunque, entro il limite massimo del 50% del numero dei volontari o del 5% del numero degli associati. Occorre tenere conto, inoltre, dell’incompatibilità di tali attività lavorative a favore dell’ente con quelle di volontariato per il medesimo soggetto (v. infra).
Nelle imprese sociali, invece, non ci sono limitazioni circa le prestazioni lavorative che possono essere svolte dai soci; in ogni caso, la regola è che per lo svolgimento dell’attività lavorativa si applicano le ordinarie regole e tutele previste per i lavoratori occupati dalla generalità dei datori di lavoro.
3. IL VOLONTARIATO NEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
L’articolo 17 del D.Lgs. n. 117/2017 disciplina espressamente la figura del volontario e le attività di volontariato.
In particolare, tutti gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti ad istituire un registro in cui iscrivere coloro che svolgono attività in tale forma in modo non occasionale.
Non si considera, invece, volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.
Tale aspetto è importante in quanto la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria (cfr. art. 17, co. 5, D.Lgs. n. 117/2017).
Il volontario deve svolgere la propria attività senza fini egoistici, diretti o indiretti: è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.
Coerentemente, la sua attività non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. L’unica forma di ristoro è il rimborso delle spese, peraltro con limitazioni e comunque con divieto di rimborsi di tipo forfetario. L’ente del Terzo settore potrà, infatti, rimborsare al volontario che svolge l’attività a suo favore soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Previa delibera dell’ente, tali spese possono essere rimborsate anche a fronte di un’autocertificazione resa ai sensi dell’articolo 46 del D.P.R. n.445/2000, ma a condizione che l’importo non sia superiore a 10 euro giornalieri e 150 euro mensili. Tale modalità non si si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi (cfr. art. 17, comma 4, D.Lgs.. n. 117/2017).
Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari devono assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi. Nel caso di convenzioni tra enti del Terzo settore e amministrazioni pubbliche, la copertura assicurativa costituisce un elemento essenziale e i relativi oneri sono posti a carico dell’amministrazione pubblica con la quale viene stipulata la convenzione (cfr. art. 18, co. 2, D.Lgs. n. 117/2017).
Per promuovere e sostenere l’attività dei volontari che siano lavoratori subordinati di terzi è previsto che essi abbiano diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.
Nelle imprese sociali, il numero dei volontari impiegati non può essere superiore a quello dei lavoratori. In ogni caso, va tenuto conto che tali attività debbono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti.
4. PRIMI CENNI SU PARTICOLARI CATEGORIE DI ETS
Si analizzano ora brevemente i principali requisiti previsti per alcune categorie di ETS – associazioni di promozione sociale (APS), organizzazioni di volontariato (ODV) e imprese sociali – con una comparazione delle diverse condizioni richieste.
Per quanto riguarda il numero dei soci, alle ODV e APS è richiesto un numero minimo di soci, mentre nessun vincolo è previsto per le imprese sociali.
Più specificamente, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale debbono essere costituite in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, dal seguente numero di soci:
– per le ODV, non inferiore a sette persone fisiche o a tre organizzazioni di volontariato;
– per le APS, non inferiore a sette persone fisiche o a tre associazioni di promozione sociale.
Se, successivamente alla costituzione, il numero degli associati diviene inferiore a tali limiti, deve essere integrato entro un anno; al superamento del periodo di scadenza per l’integrazione, l’ente è cancellato dal Registro unico nazionale del Terzo settore, se non formula richiesta di iscrizione in un’altra sezione del medesimo.
Con riguardo alle finalità delle categorie di ETS in esame, le ODV sono costituite per lo svolgimento di una o più attività di interesse generale (cfr. articolo 5, D.Lgs. n. 117/2017) prevalentemente in favore di terzi, a differenza delle APS che debbono svolgere, invece, una o più attività tra quelle elencate all’articolo 5 in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi. Le imprese sociali, invece, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
In riferimento alle modalità di svolgimento dell’attività, sia le ODV che le APS debbono avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati o delle persone aderenti agli enti associati.
Le imprese sociali devono adottare modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorire il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati; è ammessa la prestazione di attività di volontariato, ma il numero dei volontari impiegati non può essere superiore a quello dei lavoratori.
5. IL REGIME FISCALE DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
5.1 Premessa e cenni alle disposizioni di coordinamento
Il Titolo X (artt. 79-89) del D.Lgs. n. 117/2017 disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore, in attuazione della disposizione di delega di cui all’articolo 9, comma 1, della Legge n. 106/2016, allo scopo di operare una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell’Unione Europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da una pluralità di disposizioni stratificate nel tempo. La auspicata “revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali (…)” indicata dalla lettera a) del citato art. 9, comma 1, della legge delega è stata realizzata in parte, in quanto le disposizioni del CTS mantengono l’applicazione agli ETS delle norme del TUIR, in quanto compatibili, in materia di IRES, fatte salve le disapplicazioni, le abrogazioni e previsioni di coordinamento generale introdotte con l’attuazione della riforma.
Una vera novità è rappresentata dalla possibilità di svolgere un’attività di impresa, anche in via esclusiva o prevalente, mantenendo la qualifica di ETS; in questo caso si potrà valutare la convenienza ad assumere la qualifica di “impresa sociale” disciplinata dal D.Lgs. n. 112/2017.
L’intero Titolo X del CTS, nonché le disposizioni abrogative o modificative di norme tributarie di cui all’art. 102, comma 2, del medesimo Codice, si applicano, ai sensi dell’art. 104, comma 2, CTS, “agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro”.
Ai sensi dell’art. 104, comma 1, CTS sono fatte salve alcune deroghe espresse per diverse agevolazioni fiscali già in vigore dal 1° gennaio 2018 (NOTA 1) per le ODV, le APS e le ONLUS.
Inoltre, ai fini di un coordinamento normativo, l’art. 89 CTS esclude l’applicazione agli ETS di una serie di disposizioni tributarie (NOTA 2).
Tra le principali disapplicazioni per gli ETS, in questa sede, meritano di essere ricordate:
– il mod. EAS, al cui invio rimangono obbligati gli enti non commerciali associativi senza la qualifica di ETS;
– il regime forfetario di cui alla Legge n. 398/1991, che rimane in vigore esclusivamente per le associazioni e società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, che non si iscrivano al RUNTS e che siano riconosciute dal Coni e affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), alle Discipline Sportive Associate (DSA) o agli Enti di Promozione Sportiva (EPS).
All’interno del citato titolo X vi sono delle specifiche disposizioni agevolative, quali il regime forfetario degli ETS non commerciali (art. 80) e il social bonus (art. 81), nonché le previsioni del Capo II riferibili alle ODV e APS (artt. 84, 85 e 86).
5.2 Disposizioni in materia di imposte sui redditi (art. 79)
L’articolo 79, comma 1, dispone l’applicazione agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, delle norme contenute nel Titolo X del CTS; agli ETS si applicano inoltre le norme del TUIR relative all’IRES, in quanto compatibili.
La norma in commento fornisce dettagliati criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale degli ETS, tenendo conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate.
In particolare, l’articolo 79 è volto ad individuare le attività svolte dagli enti del Terzo settore (diversi dalle imprese sociali) che si caratterizzano per essere non commerciali.
Ai sensi del comma 2 del citato art. 79, le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS si considerano non commerciali quando “sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento”.
Ai sensi del successivo comma 2-bis, le attività di cui al comma 2 si considerano non commerciali anche qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi. Il comma 2-bis è stato introdotto dall’art. 23, D.Lgs. n. 105/2018 (NOTA 3) al fine di consentire un, seppur piccolo, margine di flessibilità nella gestione degli enti ed evitare che il conseguimento di eventuali avanzi di gestione possa automaticamente comportare la qualifica dell’attività svolta come di natura commerciale, rischiando di incidere anche sulla natura dell’ente stesso. Pertanto, laddove dovessero realizzarsi le circostanze indicate in precedenza, a far tempo dal terzo periodo d’imposta l’ente dovrà adeguarsi ai criteri di cui al comma 2 e qualsiasi scostamento rispetto ai parametri ivi previsti determinerà la qualifica dell’attività come commerciale.
Il comma 6 dell’art. 79, precisa che: “Si considera non commerciale l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati e dei familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente”, non concorrendo, pertanto, alla formazione del reddito degli ETS “le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi”. All’ultimo capoverso del comma 6, è specificato che, tuttavia, si considerano di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei familiari e conviventi degli stessi “verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”. La norma va letta considerando le disposizioni già citate di cui al comma 2 e 2-bis che escludono la natura commerciale delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS quando svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superino i costi effettivi o che li superino di non oltre il 5%.
I commi da 3 a 5-bis, ai quali si rimanda, elencano una serie di entrate che, in base alla meritevolezza degli interessi tutelati oppure alla specifica tipologia di iniziative che l’ente svolge, sono da considerare non commerciali.
Il comma 5-ter, infine, prevede che il mutamento della qualifica, da ETS non commerciale a ETS commerciale, operi a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale. Questo avviene qualora, indipendentemente dalle previsioni del proprio statuto, i proventi delle attività istituzionali di cui all’articolo 5 del CTS, svolte secondo modalità commerciali, risultino superiori, nel medesimo periodo di imposta, rispetto alle entrate derivanti da attività non commerciali (c.d. criterio della prevalenza).
5.3 Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali (art. 82)
L’articolo 82, comma 1, reca disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali applicabili agli enti del Terzo settore, comprese le cooperative sociali. Sono escluse dalle agevolazioni contenute nell’articolo in analisi le imprese sociali costituite in forma di società, salve le agevolazioni in materia di imposte di registro, ipotecaria e catastale, imposta municipale propria e tributo per i servizi indivisibili.
Tra l’altro, le disposizioni in esame prevedono specifiche forme di esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti del Terzo settore per attività istituzionali, nonché agevolazioni in materia di imposizione indiretta su atti e trasferimenti immobiliari.
In sintesi, tra le principali agevolazioni previste, in questa sede meritano di essere segnalate:
– l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni e dalle imposte ipotecaria e catastale per i trasferimenti a titolo gratuito effettuati a favore dei suddetti enti di cui al comma 1, purché i relativi beni vengano utilizzati in attuazione degli scopi istituzionali per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (comma 2);
– l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (200 euro) agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o
– trasformazione, poste in essere da enti del Terzo settore di cui al comma 1; le modifiche statutarie sono esenti dall’imposta di registro se hanno lo scopo di adeguare gli atti a modifiche o integrazioni normative; gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall’imposta di registro (comma 3);
– l’applicazione in misura fissa (200 euro) delle imposte di registro, ipotecaria e catastale per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costituitivi di diritti reali immobiliari di godimento a favore dagli enti del Terzo settore, incluse le imprese sociali, a condizione che i beni siano utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in diretta attuazione degli scopi istituzionali o dell’oggetto sociale (comma 4);
– l’esenzione dall’Imu e dalla Tasi per gli immobili posseduti e utilizzati, purché si tratti di immobili destinati esclusivamente allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché di religione o di culto (comma 6);
– la riduzione o l’esenzione per tributi diversi da Imu e Tasi, di pertinenza degli enti locali, che questi ultimi possono deliberare nei confronti degli ETS non commerciali (comma 7);
– la riduzione o l’esenzione dell’Irap che le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono disporre nei confronti degli ETS, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società (comma 8).
Le agevolazioni dei citati commi 7 e 8 dell’art. 82 sono concesse ai sensi e nei limiti del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea agli aiuti «de minimis», e del regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo.
5.4 Detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali (art. 83)
Il legislatore delegato ha dedicato particolare attenzione alla revisione del sistema delle deduzioni e detrazioni fiscali riconosciute ai soggetti che scelgono di sostenere gli ETS.
Sotto il profilo soggettivo, la deducibilità o detraibilità delle erogazioni liberali può trovare applicazione qualora le stesse siano effettuate a favore di:
– ETS non commerciali, con particolari e ulteriori vantaggi qualora l’ente beneficiario sia un’Organizzazione di volontariato;
– ETS commerciali, cooperative sociali ed imprese sociali (non costituite in forma societaria) a condizione, tuttavia, che le liberalità ricevute siano utilizzate per lo svolgimento dell’attività statutaria, ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Si ricorda che le disposizioni riportate all’art. 83 CTS sono entrate in vigore anticipatamente al 1° gennaio 2018, operando per il noto periodo transitorio a favore di Onlus, ODV e APS, ai sensi dell’art. 104, comma 1, CTS.
Le principali previsioni dell’articolo in commento sono contenute ai commi 1 e 2. In particolare, il comma 1 istituisce una detrazione dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 30% degli oneri sostenuti dal contribuente per le erogazioni liberali in danaro o in natura a favore degli enti del Terzo settore non commerciali (di cui all’art. 79, comma 5, CTS), per un importo complessivo dell’erogazione non superiore a 30.000 euro in ciascun periodo di imposta. L’importo è elevato al 35% degli oneri sostenuti dal contribuente, qualora l’erogazione liberale sia a favore di organizzazioni di volontariato. Per poter fruire della detrazione, il versamento deve essere effettuato con strumenti di pagamento tracciabili.
Il comma 2 prevede una deduzione dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore nei limiti del 10% del reddito complessivo dichiarato da persone fisiche, enti e società. L’eventuale eccedenza non dedotta può essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare.
Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non sono cumulabili; inoltre, i soggetti che effettuano erogazioni liberali ai sensi del presente articolo non possono cumulare le predette detraibilità e deducibilità con altra agevolazione fiscale prevista da altre disposizioni di legge a fronte delle medesime erogazioni.
5.5 Le scritture contabili ai fini fiscali (art. 87)
L’articolo 87 introduce una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per gli enti del Terzo settore.
Sono individuate le regole operanti nei confronti degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario, tenuti a redigere le scritture contabili analitiche per l’attività complessivamente svolta e, inoltre, le scritture contabili riguardanti le attività commerciali. Per gli ETS non commerciali è stato mantenuto l’obbligo di tenere la contabilità separata per l’attività commerciale eventualmente esercitata (comma 4).
Nel caso di raccolte pubbliche di fondi, come in passato, l’ente deve inserire all’interno del rendiconto o del bilancio un resoconto specifico, accompagnato da una relazione illustrativa, che evidenzi le relative entrate e spese (comma 6).
Il comma 2 chiarisce che gli obblighi contabili relativi all’attività complessivamente svolta (comma 1, lettera a)) si considerano assolti anche qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni di cui agli artt. 2216 e 2217 del codice civile.
L’art. 87 del CTS ha graduato gli obblighi contabili ai fini tributari degli ETS non commerciali in relazione all’elemento dimensionale.
Ai sensi del comma 3, gli ETS che non applichino il regime forfetario e che, nell’esercizio delle attività di interesse generale e attività secondarie e strumentali (di cui agli artt. 5 e 6 del CTS), abbiano conseguito in un anno proventi di ammontare non superiore a 220.000 euro, possono tenere per l’anno successivo il rendiconto di cassa di cui all’art. 13, comma 2, del CTS.
La norma prevede un’integrazione delle scritture contabili nelle ipotesi in cui l’ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale. Gli ETS commerciali sono tenuti al rispetto degli obblighi contabili previsti dagli artt. 14, 15 e 16 del D.P.R. n. 600/1973: pertanto, al superamento dei limiti dei ricavi previsti (400.000 euro per i servizi e 700.000 euro per le altre attività), essi saranno soggetti all’obbligo di tenuta della contabilità ordinaria.
Ai sensi del comma 7, entro tre mesi dal momento in cui gli ETS assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali (ovvero dal momento in cui si verificano i presupposti di cui all’articolo 79, comma 5, CTS) tutti i beni facenti parte del patrimonio dovranno essere compresi nell’inventario di cui all’articolo 15 del D.P.R. n. 600/1973, con l’obbligo per l’ente di tenere le scritture contabili di cui agli articoli 14 e segg. del medesimo decreto.
5.6 Il regime forfetario per le attività commerciali svolte dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato
Relativamente allo svolgimento delle attività commerciali, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale possono applicare uno speciale regime forfetario previsto dall’art. 86 del D.Lgs. n. 117/2017, che ricorda per molti aspetti quello previsto per i contribuenti forfetari con ricavi e compensi non superiori a 65.000 euro di cui alla legge 190/2014.
I due enti destinatari possono aderire al regime forfetario se nel periodo d’imposta precedente hanno percepito ricavi, ragguagliati al periodo d’imposta, non superiori a 130.000 euro o alla diversa soglia che dovesse essere autorizzata dal Consiglio dell’Unione europea.
L’opzione per avvalersi del nuovo regime forfettario potrà essere effettuata nella dichiarazione di inizio di attività di cui all’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, presumendone la sussistenza dei requisiti oppure, se l’ente è già in attività, nella dichiarazione annuale IVA relativa all’anno precedente, in quanto in vigenza del regime forfetario la dichiarazione Iva non verrà più presentata.
Ai fini delle imposte dirette, le organizzazioni di volontariato che applicano il regime forfetario determinano il reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi percepiti un coefficiente di redditività pari all’1 per cento, mentre le associazioni di promozione sociale applicano un coefficiente di redditività pari al 3 per cento.
Per quanto concerne gli adempimenti contabili, i documenti ricevuti ed emessi, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili; relativamente agli obblighi in qualità di sostituti d’imposta, non devono operare la ritenta alla fonte sui compensi erogati ai lavoratori dipendenti, ai professionisti e simili.
Il comma 7 dell’art. 86 in esame prevede le regole di applicazione dell’IVA a cui devono attenersi le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che hanno optato per il regime forfetario. In particolare, i predetti enti:
a) non esercitano la rivalsa dell’imposta di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per le operazioni nazionali;
b) applicano alle cessioni di beni intracomunitarie l’articolo 41, comma 2-bis, del decretolegge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
c) applicano agli acquisti di beni intracomunitari l’articolo 38, comma 5, lettera c), del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
d) applicano alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi gli articoli 7-ter e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
e) applicano alle importazioni, alle esportazioni e alle operazioni ad esse assimilate le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ferma restando l’impossibilità di avvalersi della facoltà di acquistare senza applicazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), e comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Per le operazioni sopra indicate, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario non hanno diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Per le operazioni per le quali risultano debitori dell’imposta, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario emettono la fattura o la integrano con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e versano l’imposta entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni.
Negli altri casi sono esonerati dal versamento dell’IVA e da tutti gli altri obblighi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti.
Nel caso di passaggio dalle regole ordinarie di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto al regime forfetario, è obbligatoria la rettifica della detrazione di cui all’articolo 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Va effettuata nella dichiarazione dell’ultimo periodo d’imposta di applicazione delle regole ordinarie, in cui deve essere computata anche l’imposta relativa alle operazioni, per le quali non si è ancora verificata l’esigibilità, di cui all’articolo 6, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e all’articolo 32-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134; nella stessa liquidazione, può essere esercitato, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, il diritto alla detrazione dell’imposta relativa alle operazioni di acquisto effettuate in vigenza dell’opzione di cui all’articolo 32-bis del citato decreto-legge n. 83 del 2012, i cui corrispettivi non sono stati ancora pagati.
L’eccedenza detraibile emergente dalla dichiarazione relativa all’ultimo periodo d’imposta in cui l’imposta sul valore aggiunto è applicata nei modi ordinari può essere chiesta a rimborso ovvero può essere utilizzata in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
In caso di passaggio, anche per opzione, dal regime forfetario alle regole ordinarie è operata un’analoga rettifica della detrazione nella dichiarazione del primo periodo d’imposta di applicazione delle regole ordinarie.
Le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario possono optare per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto nei modi ordinari e delle imposte sul reddito nei modi ordinari ovvero in quelli di cui all’articolo 80 del Codice del Terzo Settore. L’opzione, valida per almeno un triennio, viene comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun periodo d’imposta successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata. Ovviamente il regime forfetario cessa di avere applicazione a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 86 in esame.
Nel caso di passaggio da un periodo d’imposta soggetto al regime forfetario a un periodo d’imposta soggetto al regime ordinario ovvero a quello di cui all’articolo 80, si vogliono evitare salti o duplicazioni di imposizione, secondo le regole già note per i contribuenti in regime di contabilità semplificata che passano dal regime di cassa a quello ordinario (articolo 18, Dpr 600/73).
Per questo motivo devono essere osservate le seguenti regole:
– i ricavi che, in base alle regole del regime forfetario, hanno già concorso a formare il reddito non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi ancorché di competenza di tali periodi;
– i ricavi che, ancorché di competenza del periodo in cui il reddito è stato determinato in base alle regole del regime forfetario, non hanno concorso a formare l’imponibile del periodo assumono rilevanza nei periodi di imposta successivi nel corso dei quali si verificano i presupposti previsti dal regime forfetario.
Corrispondenti criteri si applicano per l’ipotesi inversa, di passaggio dal regime ordinario ovvero da quello di cui all’articolo 80 a quello forfetario.
Nel caso di passaggio da un periodo d’imposta soggetto al regime forfetario a un periodo d’imposta soggetto a un diverso regime:
– i costi sostenuti nel periodo di applicazione del regime forfetario non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi;
– nel caso di cessione, successivamente all’uscita dal regime forfetario, di beni strumentali acquisiti in esercizi precedenti a quello da cui decorre il regime forfetario, ai fini del calcolo dell’eventuale plusvalenza o minusvalenza determinata, rispettivamente, ai sensi degli articoli 86 e 101 del TUIR, si assume come costo non ammortizzato quello risultante alla fine dell’esercizio precedente a quello dal quale decorre il regime;
– se la cessione concerne beni strumentali acquisiti nel corso del regime forfetario, si assume come costo non ammortizzabile il prezzo di acquisto.
Le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario sono escluse dall’applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) di cui all’articolo 9-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1 della legge 21 giugno 2017, n. 96.
5.7 Coordinamento normativo
Il comma 7 dell’art. 89 del D.Lgs. n. 117/2017 prevede che si intendano riferite agli enti non commerciali del Terzo settore di cui all’articolo 82, comma 1, le disposizioni normative vigenti riferite alle ONLUS in quanto compatibili.
Vengono, pertanto, apportate le seguenti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633:
a) all’articolo 3, terzo comma, primo periodo, le parole «di enti e associazioni che senza scopo di lucro perseguono finalità educative, culturali, sportive, religiose e di assistenza e solidarietà sociale, nonché delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)» sono sostituite dalle seguenti: «di enti del Terzo settore di natura non commerciale»;
b) all’articolo 10, primo comma, ai numeri 15), 19), 20) e 27-ter), la parola «ONLUS» è sostituita dalle seguenti: «enti del Terzo settore di natura non commerciale».
Con riferimento a quanto disposto dalla citata lettera b), di particolare interesse è la risposta all’interpello n. 475 del 15 luglio 2021 in cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il Codice del Terzo Settore, sostituendo nel decreto IVA la parola “ONLUS” con la locuzione “enti del terzo settore di natura non commerciale”, ha evidenziato la volontà del legislatore di escludere dal novero dei soggetti che possono beneficiare dell’esenzione Iva, ex art. 10, comma 1, n. 27-ter), Dpr n. 633/1972, tutti gli enti che hanno natura commerciale e, di conseguenza, anche le imprese sociali che lo sono per definizione.
In particolare, era emerso che l’istante, quale fondazione in possesso dei requisiti per assumere la qualifica di impresa sociale, ai sensi del Dlgs n. 117/2017, perseguiva, in via esclusiva, finalità di solidarietà sociale, attuate tramite la promozione e lo svolgimento di attività, rivolte a soggetti in stato di svantaggio, nei settori dell’assistenza sociale e sociosanitaria, della beneficenza e della formazione e chiedeva chiarimenti in merito al trattamento fiscale da applicare e, in particolare, se, in caso di assunzione della qualifica di impresa sociale, potesse ricondursi tra gli “enti aventi finalità di assistenza sociale” di cui all’articolo 10, comma 1, n. 27-ter) del decreto IVA e beneficiare della relativa esenzione d’imposta, al verificarsi degli altri presupposti previsti dalla norma che così dispone “all’art. 10, primo comma, ai numeri 15, 19, 20 e 27 ter [del Dpr n. 633 del 1972] la parola Onlus è sostituita dalle seguenti enti del terzo settore di natura non commerciale” (art. 89, comma 7, lett. b) del D.Lgs. n. 117/2017).
Secondo l’amministrazione finanziaria, la fondazione non può fruire dell’esenzione IVA di cui all’art. 10, comma 1, n. 27-ter, Dpr n. 633/1972, nell’ipotesi in cui dovesse assumere la qualifica di impresa sociale, in quanto la norma prevede l’esenzione dall’IVA per “le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriali, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, di persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo, di persone detenute, di donne vittime di tratta a scopo sessuale e lavorativo, rese da organismi di diritto pubblico, da istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica, previste dall’articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, o da enti aventi finalità di assistenza sociale e da enti del Terzo settore di natura non commerciale”.
L’articolo 89, comma 7, lettera b), del Codice del Terzo Settore ha modificato il citato n. 27-ter, comma 1, dell’art. 10 in esame sostituendo, come premesso, la parola “onlus” con la locuzione “enti del terzo settore di natura non commerciale” e tale modifica sarà applicabile, secondo quanto previsto dall’articolo 104, comma 2, del CTS, a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, del medesimo decreto legislativo e, comunque, non prima del periodo d’imposta successivo di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore.
L’impresa sociale, pertanto, non può rientrare nell’ambito degli “enti del terzo settore di natura non commerciale” in base ai commi 1 e 5 dell’articolo 79 del Codice del Terzo Settore. In particolare:
– il comma 1 prevede che “agli enti del terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le disposizioni di cui al presente titolo nonché le norme del titolo II del Tuir, in quanto compatibili”;
– il comma 5 stabilisce che “si considerano non commerciali gli enti del terzo settore di cui al comma 1 che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’articolo 5 in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo. Indipendentemente dalle previsioni statutarie, gli enti del terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’articolo 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo, nonché le attività di cui all’articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali”.
Il citato articolo 89, comma 7, lettera b), del Codice del Terzo Settore, in definitiva, sostituendo la parola “ONLUS” con la locuzione “enti del terzo settore di natura non commerciale” ha evidenziato la volontà legislativa di escludere dal novero dei soggetti che possono applicare la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 1, n. 27-ter), D.P.R. n. 633/1972, tutti gli enti che hanno natura commerciale e, di conseguenza, anche le imprese sociali che, per definizione, sono enti di carattere commerciale.
In effetti, l’art. 1 del citato D.Lgs. n. 112/2017, nel definire la nozione e la qualifica di impresa sociale, stabilisce che «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».
Pertanto, per le suesposte considerazioni, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la fondazione istante non possa fruire dell’esenzione IVA di cui all’art 10, comma 1, n. 27-ter del D.P.R. n. 633/1972, nell’ipotesi in cui dovesse assumere la qualifica di impresa sociale.
—
Note:
(1) Cfr. gli artt. 77, 78, 81, 82, 83, 84, c. 2, 85, comma 7, 102, comma 1, lettere e), f) e g), del CTS si applicano in via transitoria a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 e fino al periodo d’imposta di entrata in vigore delle disposizioni di cui al titolo X del CTS.
(2) Artt. 143 c. 3, 144, commi 2, 5 e 6, 148, 149 del TUIR; art. 3, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 346/1990; artt. 1, comma 2, e 10, D.Lgs. n. 347/1990; legge n. 398/1991.
(3) Che originariamente aveva previsto un più ampio margine di scostamento pari al 10%.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- La Corte di Cassazione rafforza la riserva di legge dei Consulenti del Lavoro - FONDAZIONE STUDI CDL - Approfondimenti 20 luglio 2021
- FONDAZIONE STUDI CDL - Comunicato 28 ottobre 2019 - Fondazione Studi e AIPGT uniti per migliorare la giustizia tributaria
- FONDAZIONE STUDI CDL - Comunicato 19 novembre 2021 - Conflavoro sceglie l’Asse.Co. dei Consulenti del Lavoro - Siglato l’accordo tra Confederazione nazionale Piccole e Medie Imprese e la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro per la promozione di un…
- FONDAZIONE STUDI CDL - Approfondimento 31 marzo 2020 - 100 Risposte per 100 domande - Le faq della fondazione studi consulenti del lavoro
- FONDAZIONE STUDI CDL - Comunicato 04 luglio 2020 - Covid-19: donne più esposte al rischio contagio - Sono 4 mln 345 mila le lavoratrici che svolgono attività ad alto rischio di contrarre malattie infettive respiratorie. Maggiormente esposti, inoltre,…
- IO Lavoro e Decontribuzione Sud - Le FAQ della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro - FONDAZIONE STUDI CDL - Approfondimento 03 novembre 2020
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: competenza del giudice tribut
La sentenza n. 186 depositata il 6 marzo 2024 del Tribunale Amministrativo Regio…
- Prescrizione quinquennale delle sanzioni ed intere
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 11113 depos…
- L’utilizzo dell’istituto della compens
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17116 depositata il 2…
- IMU: no all’esenzione di abitazione principa
La Corte di Cassazione. sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9496 deposi…
- Il consulente tecnico d’ufficio non commette
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 15642 depositata il 1…