AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 06 ottobre 2021, n. 666
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n.212 – Liquidazione societaria – Fatture emesse ex articolo 6, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA] in liquidazione, di seguito istante, evidenzia quanto qui di seguito sinteticamente rappresentato.
L’istante, che svolge attività di […], è stata posta in liquidazione volontaria da [BETA], azionista unico, liquidazione che dovrebbe concludersi tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, con assegnazione delle residue posizioni attive e passive al socio unico.
L’istante, nel corso dell’ordinario svolgimento della propria attività, ha maturato diversi crediti nei confronti della [GAMMA].
In particolare:
– un primo credito […], documentato con n. 7 fatture emesse dall’istante tra maggio e ottobre 2012, in regime di esigibilità differita ex articolo 6, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA);
– un secondo credito, […], documentato con due fatture emesse nel mese di ottobre del 2012, ugualmente in regime di esigibilità differita.
Ad oggi i crediti risultano inevasi, visto che [GAMMA] non ha effettuato alcun pagamento. In particolare, l’istante riferisce che i primo credito è oggetto di una controversia con [GAMMA] nell’ambito della quale, a seguito della sentenza del TAR [..] 2018, l’ente [..] debitore dovrebbe procedere al pagamento, almeno parziale, delle somme dovute, sebbene ad oggi ciò non sia ancora accaduto; per il secondo credito, invece, è in corso un procedimento di arbitrato tra [GAMMA] e l’istante.
Ciò posto, l’istante riferisce di aver ceduto, nel luglio 2019, il primo credito al socio unico [BETA], cui dovrebbe essere assegnato anche il secondo con il riparto finale del procedimento di liquidazione.
Tanto premesso, l’istante chiede chiarimenti in merito agli adempimenti IVA in relazione ai suddetti crediti, considerato che il pagamento delle fatture potrebbe aver luogo solo dopo la liquidazione dell’istante e la chiusura della partita IVA.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante, in sintesi, ritiene che il liquidatore possa chiudere la partita IVA dopo la ripartizione dell’attivo – senza che sia necessario attendere il pagamento dei crediti – salvo provvedere all’apertura di una nuova partita IVA quando le somme saranno incassate dal cessionario-socio unico, al fine di procedere agli adempimenti tributari ad esse collegati.
A tal fine rinvia ai chiarimenti resi con la risposta ad interpello n. 163 pubblicata l’8 marzo 2021 nell’apposita sezione del sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate ( www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli- interpelli), ove è stato chiarito che quando il credito vantato da un soggetto in fallimento viene pagato dopo la chiusura del fallimento e la cancellazione del medesimo dal registro delle imprese, il curatore fallimentare deve provvedere agli adempimenti IVA correlati a detto credito aprendo una nuova partita IVA.
Parere dell’Agenzia delle entrate
Ai sensi dell’articolo 6, comma 3 del decreto IVA «le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo». Il successivo comma 4 prevede, tuttavia, che «Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data ella fattura o a quella del pagamento.».
In deroga alla disposizione appena richiamata, il comma 5 del citato articolo 6, per evitare l’anticipazione dell’IVA da parte dei fornitori dello Stato, degli enti pubblici, […] – quando i medesimi effettuano il pagamento di beni e servizi differiti nel tempo – dispone che «[…] per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi […] fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali […]. l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la facoltà di applicare le disposizioni del primo periodo [cd “esigibilità immediata”, ndr]».
Ne deriva:
a) per il cedente o prestatore, la possibilità di differire l’esigibilità dell’IVA fino al momento in cui il corrispettivo viene pagato;
b) per il cessionario o committente, la possibilità di detrarre l’IVA solo a seguito del pagamento del corrispettivo.
Quando, tuttavia, il cedente/prestatore cessa l’attività, occorre fare riferimento all’articolo 35, comma 4, del decreto IVA, secondo cui «In caso di cessazione dell’attività il termine per la presentazione della dichiarazione di cui al comma 3 decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda, per le quali rimangono ferme le disposizioni relative al versamento dell’imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione. Nell’ultima dichiarazione annuale deve tenersi conto anche dell’imposta dovuta ai sensi del n. 5) dell’articolo 2, da determinare computando anche le operazioni indicate nel quinto comma dell’articolo 6, per le quali non si è ancora verificata l’esigibilità dell’imposta. ».
A tal riguardo, con specifico riferimento all’attività professionale, con la risoluzione n. 232/E del 20 agosto 2009 e successivamente con la risoluzione n. 34/E del 11 marzo 2019 – richiamando i contenuti della circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007, punto 7.1, ove è stato affermato che «[…] l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale» – è stato ulteriormente specificato che «La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata».
In senso conforme la giurisprudenza con la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016 delle sezioni unite della Corte di cassazione, nonché la più recente ordinanza n. 22517, del 16 ottobre 2020, laddove precisa che «Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 (“decreto IVA “) prevede che nelle prestazioni di servizi, come nelle prestazioni professionali, l’imposta è dovuta solo al momento dell’incasso (Cass. n. 13209 del 2009; Cass. n. 3976 del 2009).
– La “VI direttiva IVA ” (77/388/CEE) e la direttiva 2006/112/CE, tuttavia, vincolano l’imponibilità IVA non al pagamento del compenso, ma al materiale espletamento della prestazione professionale e, con riguardo all’evento che genera l’obbligo, prevedono che questo nasce nel momento di effettuazione della prestazione professionale.
– Ad avviso delle Sezioni Unite di questa Corte, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 deve essere, pertanto, interpretato nel senso che per le prestazioni di servizi, il presupposto impositivo si verifica con l’esecuzione della prestazione professionale, mentre l’incasso del corrispettivo rappresenta il limite ultimo oltre il quale non si può andare per la fatturazione del compenso e l’esigibilità dell’imposta (Cass. sez. un. 8059 del 2016)
– Ora, poiché è indubbio che, in linea con il principio di neutralità fiscale, vadano assoggettati a IVA i compensi professionali, quand’anche percepiti dopo la cessazione dell’attività, è del pari, evidente che, qualora il professionista non intenda anticipare la fatturazione dei compensi prima dell’effettivo incasso, è necessario per lui attendere la riscossione dei propri crediti professionali prima di procedere alla chiusura della partita IVA. »
Proseguono i supremi giudici, affermando che, se il contribuente intende comunque chiudere anticipatamente la partita IVA, il medesimo è «vincolato a due adempimenti:
i) versare “preventivamente” l’imposta indicata nella fattura ad “esigibilità differita “D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6 emettendole, qualora non vi avesse ancora provveduto – quand’anche l’imposta in parola non fosse stata ancora riscossa insieme ai corrispettivi (il che è in linea con quanto evidenziato dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate 232/E/2009);
ii) computare nell’ultima dichiarazione annuale IVA anche le operazioni per le quali si è anticipata l’esigibilità dell’imposta – che nell’ipotesi di attività non cessata sarebbe stata “differita” – rispetto al momento dell’effettivo incasso».
I principi sopra richiamati tornano applicabili anche al caso prospettato – in cui l’istante ha reso delle prestazioni nei confronti di un ente locale, documentate con fattura con IVA ad esigibilità differita – con la conseguenza che, ove l’istante intenda chiudere in anticipo la partita IVA e cancellare l’attività dal Registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, lo stesso è tenuto a computare l’IVA differita nella dichiarazione annuale da presentare con riferimento all’ultimo periodo d’imposta prima della chiusura dell’attività.
Da ultimo si osserva che, la soluzione prospettata non è in contrasto con i chiarimenti resi con risposta n. 163 del 2021 richiamata dall’istante, in cui è stata ammessa, solo in via residuale, la possibilità per il curatore fallimentare di riaprire la partita IVA all’atto dell’incasso dei corrispettivi. Ciò in considerazione della peculiarità del caso ivi esaminato, in cui è stata rilevata la mancanza di coordinamento delle norme fiscali sopra richiamate con quelle concorsuali, ed in particolare con l’articolo 118, comma 2, del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (in breve, “Legge Fallimentare”) – come risultante dalle modifiche operate dall’articolo 7 del decreto- legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con legge 6 agosto 2015, n. 132 – ai sensi del quale, «Nei casi di chiusura di cui ai numeri 3) e 4) [per compiuta ripartizione dell’attivo, ovvero quando la sua prosecuzione non consentirebbe di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura, ndr.], ove si tratti di fallimento di società il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese. […] La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’articolo 43»; ne deriva che il Giudice fallimentare può disporre la chiusura del fallimento nonostante i corrispettivi non siano stati tutti incassati. A ciò si aggiunga che, diversamente dal caso in esame, i corrispettivi per le prestazioni rese descritti nella risposta n. 163 non erano ancora stati nemmeno fatturati.
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