AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 482 del 22 dicembre 2023
Operazioni in split payment – Rimborso IVA versata in eccesso – Articolo 30-ter, comma 1, del DPR n. 633 del 1972
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il COMUNE [ALFA], di seguito anche istante, fa presente quanto nel prosieguo sinteticamente riportato.
L’istante riferisce di aver beneficiato del contributo previsto dall’articolo 1, commi da 567 a 580, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, in favore dei Comuni sede di capoluogo di città metropolitana con disavanzo pro capite superiore a euro 700 vincolato al saldo dei debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2020, da definire in via transattiva mediante pagamento di una somma variabile in ragione dell’applicazione delle percentuali fissate dal comma 575 (tra il 40 e l’80 per cento, in relazione all’anzianità del debito).
A tal proposito, il Comune istante, riferisce che «A seguito del pagamento ai fornitori aderenti alle procedure transattive di cui in premessa, […] n.q. di cessionario P.A. soggetto alla disciplina dello Split Payment ex. Art. 17ter Dpr 633/72, ha provveduto, alle scadenze previste, al versamento dell’I.V.A., afferente alla sfera istituzionale dell’Ente, per conto del cedente. Si fa presente che i pagamenti sono iniziati nel mese di Giugno 2022 e terminati nel mese di Febbraio 2023.
L’imposta versata è stata calcolata sull’importo del credito ante transazione (dunque della fattura originaria) anziché sul credito transatto ed effettivamente pagato. Si precisa che a fronte delle transazioni avvenute non è stata ricevuta alcuna Nota di Variazione ex Art. 26 Dpr 633/72».
L’istante fa presente di aver «adottato tale comportamento prudenziale al fine di non incorrere in sanzioni per omesso versamento».
Ritenendo, tuttavia, che «il versamento dell’imposta andava eseguito in ragione dell’importo effettivamente pagato pur in assenza di una Nota di Variazione ex Art. 26 Dpr 633/1972», chiede di sapere «se il versamento in eccesso dell’I.V.A. afferente alla sfera istituzionale dell’Ente possa essere scomputato dalle liquidazioni dei mesi successivi ovvero essere richiesto a rimborso».
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante ritiene che «L’ Amministrazione Finanziaria con Risposta a Interpello del 18/09/2020 n. 378 ha stabilito che la Pubblica Amministrazione committente o cessionaria ”…può computare la parte d’imposta versata in eccesso rispetto all’IVA indicata nell’originaria fattura a scomputo dei successivi versamenti IVA da effettuare nell’ambito dello split payment”.
Nella medesima Risposta viene altresì precisato che tale fattispecie rappresenta”…un pagamento indebito eseguito dal committente/cessionario che può dar luogo ad azione di ripetizione di cui all’articolo 2033 e segg. del codice civile ovvero alla possibilità di eccepire la compensazione di cui all’articolo 1241 e segg. del c.c.”.
In ragione di quanto suddetto, si ritiene che l’Ente possa avvalersi alternativamente del riporto in compensazione del maggior versamento ovvero presentare istanza di rimborso».
Parere dell’Agenzia delle Entrate
In via preliminare, con riferimento alla fattispecie oggetto di interpello, si evidenzia che il presente parere viene reso sulla base di quanto rappresentato nell’istanza i cui elementi vengono assunti acriticamente, nel presupposto della loro veridicità, esaustività e concreta realizzazione e, nello specifico, in ragione dell’asserita circostanza che il Comune istante abbia agito nella qualità di amministrazione pubblica soggetta alla disciplina del cd. split payment, restando, dunque, integro al riguardo ogni potere di controllo da parte degli organi competenti. A tal proposito, si rammenta, infatti, che «il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica alle operazioni in relazione alle quali il corrispettivo sia stato pagato dopo il 1° gennaio 2015 e sempre che le stesse non siano state già fatturate anteriormente alla predetta data» (cfr. per ulteriori approfondimenti le circolari 9 febbraio 2015, n. 1/E e 13 aprile 2015, n. 15/E).
L’articolo 1 della legge n. 234 del 2021, ai commi 567 e 571 riconosce, per gli anni 2022-2042, in favore dei comuni sede di capoluogo di città metropolitana con disavanzo pro capite superiore a euro 700, contributi «prioritariamente vincolati al ripiano della quota annuale del disavanzo […]. La liquidità relativa alla quota di contributo destinata al ripiano del disavanzo è vincolata prioritariamente al pagamento dei debiti commerciali definiti con la transazione di cui al comma 575».
Il successivo comma 574 del medesimo articolo prevede che «Al fine di una quantificazione dei debiti commerciali, gli enti di cui al comma 567 […] predispongono, entro il 15 maggio 2022, il piano di rilevazione dei debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2020. A tal fine, gli enti ne danno avviso tramite affissione all’albo pretorio on line entro il 31 gennaio 2022 e adottano ogni forma idonea a pubblicizzare la formazione del piano di rilevazione, assegnando un termine perentorio, a pena di decadenza, non inferiore a sessanta giorni per la presentazione da parte dei creditori delle richieste di ammissione. […] La mancata presentazione della domanda nei termini assegnati da parte dei creditori determina l’automatica cancellazione del credito vantato».
Da ultimo, per quanto di interesse ai fini del presente interpello, il seguente comma 575 dispone che «Valutato l’importo complessivo di tutti i debiti censiti in base alle richieste pervenute ai sensi del comma 574, i comuni, entro il 15 giugno 2022, propongono individualmente ai creditori, compresi quelli che vantano crediti privilegiati, nel rispetto dell’ordine cronologico delle fatture di pagamento o delle note di debito, la definizione transattiva del credito offrendo il pagamento di una somma variabile tra il 40 e l’80 per cento del debito, in relazione alle seguenti anzianità dello stesso: a) 40 per cento per i debiti con anzianità maggiore di dieci anni; b) 50 per cento per i debiti con anzianità maggiore di cinque anni; c) 60 per cento per i debiti con anzianità maggiore di tre anni; d) 80 per cento per i debiti con anzianità inferiore a tre anni. La transazione, da accettare entro un termine prefissato non superiore a trenta giorni, prevede la rinuncia ad ogni altra pretesa e la liquidazione obbligatoria entro venti giorni dalla conoscenza dell’accettazione della transazione».
Orbene, il Comune istante asserisce di aver attuato la procedura illustrata dalle norme predette e, per l’effetto, pagato i propri debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2020, nella misura transatta, versando, tuttavia, la relativa IVA direttamente all’erario nella qualità di cessionario pubblica amministrazione soggetta alla disciplina del cd. split payment calcolata sull’importo dei crediti così come originariamente fatturati, non avendo ricevuto alcuna nota di variazione in diminuzione.
Si rammenta che il meccanismo di ”scissione dei pagamenti” (cd. split payment) è disciplinato dall’articolo 17ter, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito, decreto IVA), introdotto dall’articolo 1, comma 629, lettera b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Tale norma, al comma 1, stabilisce «Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di amministrazioni pubbliche, come definite dall’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni e integrazioni, per le quali i cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze».
Le disposizioni contemplate dal comma 1 si applicano anche alle operazioni effettuate nei confronti dei soggetti individuati al comma 1bis (ossia, enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona, fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, società controllate direttamente o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica).
Con riferimento alle ”modalità e termini” di versamento, il decreto ministeriale attuativo 23 gennaio 2015 (come modificato dai successivi decreti ministeriali del 27 giugno 2017, 13 luglio 2017 e del 9 gennaio 2018) ha disposto che:
«Per le operazioni di cui al comma 1 l’imposta sul valore aggiunto è versata dalle pubbliche amministrazioni e dalle fondazioni, enti e società cessionarie di beni o committenti di servizi con effetto dalla data in cui l’imposta diviene esigibile» (articolo 1, comma 2);
«L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi di cui all’art. 1 diviene esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi» (articolo 3, comma 1);
«Le pubbliche amministrazioni, fondazioni, enti e società possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione della fattura ovvero al momento della registrazione della medesima» (articolo 3, comma 2).
In sostanza, in relazione agli acquisti di beni e servizi effettuati nei confronti dei cessionari/committenti contemplati dai commi 1 e 1bis, tali soggetti pur non assumendo la qualifica di debitori d’imposta versano l’IVA, loro addebitata nelle relative fatture, direttamente all’erario, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal versamento della relativa imposta.
L’obbligo di versamento dell’IVA sorge al momento del pagamento del corrispettivo, salva l’opzione per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione della fattura ovvero al momento della registrazione della medesima.
A tal proposito, con la risposta ad interpello n. 436, pubblicata sul sito internet della scrivente Agenzia il 28 ottobre 2019, è stato fatto rinvio ai «[…] chiarimenti forniti con la risoluzione n. 75/E del 5 marzo 2002, in relazione all’esigibilità dell’imposta all’atto del pagamento del corrispettivo ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del decreto IVA (cosiddetta ”esigibilità differita”). In particolare, secondo il sopra citato documento di prassi, ‘‘l’esigibilità differita dell’imposta collegata al pagamento del corrispettivo comporta che, in caso di mancato pagamento in tutto o in parte del corrispettivo (…) l’imposta non diviene esigibile in tutto o in parte, benché l’operazione sia stata fatturata (…) in tale ipotesi occorre effettuare nei registri Iva opportune rettifiche, apportando le necessarie annotazioni in diminuzione’‘.
In altri termini, data l’esigibilità dell’IVA al momento del pagamento, non trova applicazione, nella fattispecie, il cosiddetto principio di cartolarità dell’imposta secondo cui ”se il cedente o prestatore (…) indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” (cfr. articolo 21, comma 7, del decreto IVA). In conclusione, si ritiene corretto che l’istante, responsabile del pagamento dell’imposta, in applicazione della scissione dei pagamenti, versi l’IVA dovuta per gli importi effettivamente pagati e non per quelli indicati in fattura».
Stante ciò, con riferimento alla fattispecie oggetto di interpello, si ritiene che il Comune interpellante avrebbe dovuto versare nella qualità di amministrazione pubblica soggetta alla disciplina del cd. split payment l’IVA calcolata sull’importo del credito transatto ed effettivamente pagato.
Tanto premesso, con specifico riferimento agli indebiti versamenti IVA eseguiti in regime di cd. split payment, con la circolare 13 aprile 2015, n. 15/E è stato chiarito che, nell’ipotesi in cui il cedente/prestatore emetta una nota di variazione in diminuzione ex articolo 26 del decreto IVA, «se la stessa si riferisce ad una fattura originaria emessa in sede di ”scissione dei pagamenti” o ”split payment”, la stessa dovrà essere numerata, indicare l’ammontare della variazione e della relativa imposta e fare esplicito riferimento alla suddetta fattura. In forza di ciò e trattandosi di una rettifica apportata ad un’IVA che non è confluita nella liquidazione periodica del fornitore, lo stesso non avrà diritto a portare in detrazione, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, l’imposta corrispondente alla variazione, ma dovrà limitarsi a procedere solo ad apposita annotazione in rettifica nel registro di cui all’art. 23, senza che si determini, quindi, alcun effetto nella relativa liquidazione IVA.
Conseguentemente, la PA committente o cessionaria:
nell’ipotesi in cui si tratti di un acquisto effettuato in ambito commerciale, in considerazione delle modalità seguite per la registrazione dell’originaria fattura dalla stessa ricevuta, dovrà provvedere alla registrazione della nota di variazione nel registro ”IVA vendite” di cui agli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 633 del 1972, fermo restando la contestuale registrazione nel registro ”IVA acquisti” di cui all’art. 25 del medesimo DPR, al fine di stornare la parte di imposta precedentemente computata nel debito e rettificare l’imposta detraibile;
nel caso in cui l’acquisto sia stato destinato alla sfera istituzionale non commerciale, in relazione alla parte d’imposta versata in eccesso, rispetto all’IVA indicata nell’originaria fattura, la PA potrà computare tale maggior versamento a scomputo dei successivi versamenti Iva da effettuare nell’ambito del meccanismo della scissione dei pagamenti».
Con la successiva risoluzione 21 dicembre 2020, n. 79/E è stato, invece, precisato come, «in assenza di emissione da parte del fornitore di una nota di variazione in diminuzione di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, non sia possibile per la Provincia istante computare maggiori versamenti effettuati a titolo di Iva a scomputo dei successivi versamenti Iva da effettuare nell’ambito del meccanismo della scissione dei pagamenti.
In tale ipotesi, si può ritenere che la Provincia istante possa presentare all’Amministrazione Finanziaria un’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 [rectius, ad oggi articolo 30ter, comma 1, del decreto IVA], provando che:
l’Iva versata dall’istante a fronte della fattura di anticipazione ricevuta e richiesta a rimborso non sia effettivamente più dovuta e che sussiste una fattispecie di pagamento indebito oggettivo o di arricchimento senza causa da parte dell’Amministrazione finanziaria in relazione all’Iva versata;
l’appaltatore non può più emettere nota di variazione ai sensi dell’articolo 26 del medesimo d.P.R. n. 633.
Tale soluzione deriva dal particolare meccanismo dello split payment, secondo il quale le Pubbliche Amministrazioni committenti-cessionarie, ancorché non rivestano la qualifica di debitori di imposta, tuttavia, sono i soggetti che devono materialmente versare all’Erario l’Iva addebitata loro dai fornitori».
Le indicazioni sopra riportate vanno, tuttavia, coordinate con i chiarimenti resi successivamente, (per tutte, la risposta ad interpello n. 762, pubblicata sul sito internet della scrivente Agenzia il 4 novembre 2021), con riferimento all’ipotesi in cui l’operazione originaria sia venuta meno, in tutto o in parte, a seguito di ”accordo tra le parti”.
Nello specifico, con il citato documento, dopo aver rammentato che l’articolo 26, comma 3 del decreto IVA nell’estendere la possibilità di emettere le note di variazione in diminuzione di cui al precedente comma 2 ai casi di accordo tra le parti, nonché di indicazione in fattura di corrispettivi o relative imposte in misura superiore a quella reale ne limita la portata temporale ad un anno dall’operazione originaria, è stato, altresì, confermato che non è possibile il ricorso tout court all’istituto disciplinato dall’articolo 30ter del decreto IVA che, «essendo norma residuale ed eccezionale, trova applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Il suddetto istituto, infatti, non può essere utilizzato ordinariamente per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione, qualora tale termine sia decorso per ”colpevole” inerzia del soggetto passivo […]», ma solo «laddove il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione ex articolo 26, comma 2, del dPR n. 633 del 1972».
Ciò premesso, nel caso specifico, il Comune istante riferisce di aver stipulato un atto transattivo, a saldo e stralcio dei propri debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2020, attuando la procedura disciplinata dall’articolo 1, commi da 567 a 580, della legge n. 234 del 2021.
Tali norme, che definiscono con precisione le tempistiche, le modalità e le condizioni di stipula dell’atto transattivo, ne rappresentano la ”causa” e l’imprescindibile ”presupposto”, sicché non può dirsi che l’accordo sia scaturito dalla piena autonomia tra le parti.
In tale circostanza, il termine di un anno decorrente dall’effettuazione dell’operazione contemplato dall’articolo 26, comma 3, del decreto IVA, ai fini dell’emissione di una nota di variazione in diminuzione «in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti» è ormai spirato per circostanze non imputabili alla colpevole inerzia delle parti.
Pertanto, pur non essendo più possibile emettere il documento in parola risultando così preclusa la possibilità per l’istante di scomputare la maggiore imposta versata dalle liquidazioni IVA dei mesi successivi resta comunque ferma la possibilità di presentare domanda di rimborso ai sensi dell’articolo 30ter, comma 1, del decreto IVA.
[…].
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