AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 27 aprile 2022, n. 223
Regime speciale per lavoratori impatriati – Art. 16 d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147- Rientro in Italia di un medico con attività svolta in modalità smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, eseguendo anche una attività lavorativa occasionale non dipendente in USA
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’ Istante dichiara di aver trasferito la propria residenza negli Stati Uniti nel 2012, con relativa iscrizione all’AIRE, e che in tale Paese ha mantenuto ininterrottamente la stessa sino ad oggi.
Il Contribuente evidenzia, inoltre, che:
– svolge la professione di medico psichiatra, con relativa specializzazione conseguita negli Stati Uniti nel 2015;
– svolge la propria attività lavorativa (medico psichiatra) presso una clinica psichiatrica, sul territorio americano, come lavoratore dipendente;
– svolge una seconda attività lavorativa (medico psichiatra) presso una struttura, sul territorio americano, come lavoratore occasionale non dipendente;
– intende far ritorno in Italia stabilmente con svolgimento di attività lavorativa sul territorio italiano a decorrere dall’anno d’imposta 2022.
Il Contribuente rappresenta che presenterà le proprie dimissioni nei confronti dell’attuale datore di lavoro nel mese di maggio 2022 e che dalla stessa data intende non accettare più le richieste di lavoro occasionale da non dipendente e iniziare dal 1° giugno 2022 una nuova attività lavorativa, consistente nella telepsichiatria, con un nuovo datore di lavoro. Nonostante il nuovo datore di lavoro (clinica di telepsichiatria) sia statunitense, con relativi pazienti negli Stati Uniti, per accordo tra le parti, tale attività potrà essere svolta in modalità smart working sul territorio italiano, con conseguente trasferimento della residenza fiscale in Italia.
Ciò posto, in relazione alla fattispecie prospettata, al fine di fruire del regime degli impatriati previsto dall’articolo 16 d.lgs.147 del 2015 e successive modifiche, l’Istante chiede:
1) se ” la semplice volontà e non l’obbligo del contribuente di svolgere la propria attività lavorativa sul territorio italiano”, sia condizione sufficiente a creare il nesso tra il rientro in Italia e l’inizio della nuova attività lavorativa;
2) se, il regime degli impatriati possa essere mantenuto, qualora negli anni successivi al 2022, al fine di non perdere il proprio status di medico ospedaliero americano, dovesse svolgere delle prestazioni occasionali, inferiori a 15 giorni per anno d’imposta, sul territorio americano nei confronti del vecchio datore di lavoro e se, in tal caso, l’eventuale reddito generato sia ammesso al beneficio del regime degli impatriati insieme al reddito di lavoro dipendente;
3) se, in relazione al reddito di lavoro dipendente svolto in modalità smart working e al reddito da lavoro occasione prodotto all’estero possa essere riconosciuto un credito ‘imposta in base alla convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e gli USA;
4) se il beneficio possa essere mantenuto nel caso in cui negli anni successivi dovesse cambiare datore di lavoro.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’ Istante ritiene di avere tutti i requisiti richiesti dalla normativa riguardante il regime degli impatriati, in quanto:
– è stato fiscalmente residente all’estero per un periodo maggiore di anni due;
– la residenza fiscale sarà trasferita in Italia per almeno due anni (pena la decadenza) in conseguenza del nuovo lavoro;
– ha svolto attività di lavoro dipendente all’estero;
– i benefici fiscali sono accessibili anche ai lavoratori in smart working per conto di una società straniera;
– il lavoratore sarà fisicamente presente sul territorio italiano da dove svolgerà la propria prestazione.
Il Contribuente evidenzia che in base alla risposta dell’Agenzia delle entrate n. 596 del 2021 basta la semplice volontà del contribuente di far rientro fiscalmente in Italia in accordo con il proprio datore di lavoro affinché ci sia il nesso tra il rientro in Italia e la nuova attività lavorativa.
Al riguardo, l’ Istante precisa che il rientro in Italia è motivato ed è possibile esclusivamente per effetto dell’accettazione del nuovo lavoro svolto in modalità smart working e che, in mancanza di dimissioni da presentare all’attuale datore di lavoro e la conseguente nuova assunzione in modalità a distanza, non trasferirebbe la propria residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Pertanto, risulta evidente il nesso tra il rientro in Italia e la nuova attività lavorativa, essendoci un collegamento tra i due eventi.
Il Contribuente ritiene, inoltre, che lo svolgimento, durante il quinquennio di fruizione del beneficio del regime degli impatriati, di altra attività di lavoro occasionale non dipendente, inferiore a 15 giorni sul territorio estero, non andrebbe ad invalidare l’incentivo, in quanto la normativa stabilisce una sola condizione di decadenza, quella del mancato impegno a mantenere la residenza fiscale per almeno due anni.
Ad avviso del Contribuente per usufruire dell’agevolazione dovrebbe trasferire in Italia la propria residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR; in tal caso, lo svolgimento di un’attività occasionale inferiore ai 15 giorni all’estero non andrebbe a modificare il luogo della residenza fiscale, come avverrebbe, invece, in caso di periodi di permanenza all’estero superiori a 183 giorni all’anno.
A tale reddito occasione prodotto all’estero, secondo l’ Istante, non risulta applicabile il regime degli impatriati in quanto il comma 1 dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 fa esclusivamente riferimento ai redditi prodotti in Italia e non a tutti i redditi ovunque prodotti.
Pertanto, l’ Istante precisa che procederà al calcolo delle imposte facendo concorrere il reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia (attività prevalente svolta in smart working sul territorio italiano) alla formazione del reddito complessivo nella misura del 30 per cento, mentre il reddito da lavoro occasione prodotto all’estero concorrerà alla formazione del reddito complessivo nella misura del 100 per cento.
Poiché entrambi i redditi saranno prima tassati negli Stati Uniti con ritenute applicate dai datori di lavoro esteri, il contribuente successivamente nella propria dichiarazione dei redditi italiana beneficerà di un credito d’imposta in base alla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e gli Usa, ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 20, sino alla concorrenza delle imposte italiane. Tale credito d’imposta sarà generato ovviamente anche dalle imposte estere sul reddito di lavoro dipendente svolto in Italia in smart working, trattenute dal datore estero.
Una tesi contraria non avrebbe alcun fondamento poiché la normativa sul regime degli impatriati non ha disciplinato specificatamente il credito d’imposta; pertanto, tutt’oggi valgano le norme in vigore contro la doppia imposizione e l’articolo 165 del TUIR. Peraltro, nel caso prospettato se il Contribuente dovesse subire una doppia imposizione il regime per i lavoratori impatriati non sarebbe più un incentivo, ma sarebbe disincentivante, in quanto non sostenibile.
Infine, l’ Istante ritiene che il cambio del datore di lavoro nel quinquennio non infici l’agevolazione del regime degli impatriati, qualora l’attività continui ad essere svolta sul territorio italiano.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (cd. Decreto Internazionalizzazione) ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati”, destinato, ai sensi del comma 1 di tale articolo, al lavoratore che:
a) trasferisce la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR);
b) non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
c) svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Al ricorrere delle predette condizioni, i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare.
L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi del citato articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, decreto legislativo n. 147 del 2015).
In relazione alle disposizioni in commento sono stati forniti chiarimenti, da ultimo, con circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, cui si rinvia per una completa disamina degli aspetti di carattere generale della normativa in esame.
In particolare, per quanto d’interesse in relazione alla fattispecie in esame, al paragrafo 7.5 del citato documento di prassi viene precisato che l’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015, come modificato dall’articolo 5, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. decreto Crescita, convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato;
pertanto, possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).
Ciò posto, con riguardo al quesito 1), riguardante la sussistenza o meno nella fattispecie prospettata del collegamento funzionale richiesto dalla norma tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa, si svolgono le seguenti considerazioni.
Con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 è stato messo in rilievo che l’articolo 16 del decreto legislativo n.147 del 2015 individua sotto il titolo lavoratori “impatriati” diverse categorie di beneficiari, caratterizzate da specifici requisiti soggettivi, accomunate dalla circostanza di trasferirsi in Italia per svolgervi una attività lavorativa. Il citato documento di prassi ha precisato che la norma, a differenza di quanto previsto dalla legge n. 238 del 2010 – che richiede il trasferimento in Italia entro tre mesi dall’inizio dell’attività – non indica il tempo che deve intercorrere tra il trasferimento della residenza e l’inizio dell’attività lavorativa. Il medesimo documento di prassi ha chiarito, inoltre, che tenuto conto della finalità del regime di favore, teso ad attrarre la residenza in Italia di soggetti che, grazie alla loro esperienza all’estero, favoriscono lo sviluppo economico, culturale e tecnologico del Paese, coloro che già svolgono una attività lavorativa nel territorio dello Stato, ad esempio, perché già distaccati in Italia da un’altra società del gruppo, senza essere tuttavia iscritti alla anagrafe della popolazione residente e senza aver trasferito in Italia la dimora abituale o il centro prevalente dei propri interessi personali, possono accedere al beneficio a partire dal periodo di imposta in cui acquisiscono la residenza fiscale anche se ciò avvenga successivamente a quello in cui hanno iniziato in Italia lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ugualmente possono accedere al beneficio coloro che trasferiscono la residenza in Italia prima ancora di iniziare lo svolgimento di detta attività, a condizione che sia ravvisabile un collegamento tra i due eventi.
Dagli elementi forniti dall’ Istante, emerge che il rientro in Italia è motivato esclusivamente dall’accettazione di un nuovo lavoro che preveda l’esecuzione della prestazione lavorativa in Italia, svolta in modalità smart working. Tale circostanza risulta indicativa della sussistenza di un collegamento fra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa.
Con riguardo al quesito 2), riguardante la possibilità per l’ Istante di svolgere sul territorio americano delle prestazioni occasionali, inferiori a 15 giorni per anno d’imposta, durante il periodo in cui beneficia del regime speciale per i lavoratori impatriati, si rappresenta quanto segue.
L’applicazione del regime agevolativo in questione richiede, tra l’altro, che l’attività lavorativa sia prestata « prevalentemente» nel territorio italiano.
Con riferimento al suddetto requisito, l’articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto ministeriale recante le disposizioni di attuazione del regime speciale in esame (cfr. decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 26 maggio 2016), precisa che tale condizione deve essere verificata in relazione a ciascun periodo d’imposta e risulta soddisfatta se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno.
Al riguardo, come precisato nella circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (paragrafo 3.3), nel computo dei 183 giorni rientrano non solo i giorni lavorativi ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi. Non possono essere invece, computati i giorni di trasferta di durata superiore a 183 giorni, o il distacco all’estero, essendo l’attività lavorativa prestata fuori dal territorio dello Stato.
Tenuto conto della illustrata prassi, l’accesso al regime speciale per i lavoratori impatriati è ammissibile per il lavoratore che trasferisca la residenza fiscale in Italia per proseguire, in modalità da remoto, l’attività lavorativa resa a beneficio del proprio datore di lavoro estero, a nulla rilevando la circostanza che durante il periodo agevolato, il medesimo svolga occasionalmente sul territorio estero delle prestazioni di lavoro non dipendente, sempreché sia assicurata la prevalenza dell’attività lavorativa svolta nel territorio italiano, nei termini sopra illustrati.
Al riguardo, si evidenzia, inoltre, che la circolare 17/E del 2017 ha chiarito che l’agevolazione fiscale risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato. Ciò è in linea con la finalità delle norme tese ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività, e, in particolare, con il tenore letterale dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015, il quale dichiara espressamente agevolabili i redditi prodotti in Italia. Per individuare tali redditi si rinvia ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR, il quale considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero.
In linea generale, quindi, l’esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato, quale è quello derivante all’ Istante dall’esecuzione in territorio americano di prestazioni occasionali di lavoro non dipendente.
In merito al quesito 3), riguardante la possibilità di fruire del credito per le imposte pagate all’estero previsto dalla convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e gli USA, maturato sia per il reddito di lavoro dipendente svolto in Italia in modalità smart working che per il reddito derivante dal lavoro occasionale svolto in territorio americano, si rappresenta quanto segue.
In relazione al reddito di lavoro dipendente che l’ Istante intende svolgere in Italia, Paese nel quale sarà trasferita la propria residenza fiscale a partire dall’anno 2022, si evidenzia che ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali (di seguito “Convenzione”), ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 20, « 1. (…) i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato».
Sulla base di tale disposizione convenzionale, il reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia dall’ Istante sarà soggetto a tassazione esclusiva in tale Paese. Ne deriva che in relazione a tale reddito non matura il credito per le imposte pagate all’estero finalizzato all’eliminazione della doppia imposizione ai sensi dell’articolo 23 della Convenzione, trattandosi di reddito non tassato negli USA.
In relazione al reddito derivante dal lavoro occasionale non dipendente svolto in territorio americano si evidenzia che l’articolo 14 della Convenzione prevede che « I redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell’altro Stato contraente e la persona fisica disponga abitualmente in detto altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa».
Sulla base di tale disposizione convenzionale il reddito che il Contribuente ritrae dal lavoro occasionale non dipendente svolto in territorio americano, nel presupposto che sia svolto senza una base fissa, sarà soggetto a tassazione esclusiva in Italia, suo Paese di residenza. Ne deriva che in relazione a tale reddito non matura il credito per le imposte pagate all’estero finalizzato all’eliminazione della doppia imposizione ai sensi dell’articolo 23 della Convenzione, trattandosi di reddito non tassato negli USA.
Con riguardo al quesito 4), riguardante la possibilità per l’ Istante di mantenere il regime speciale per i lavoratori impatriati nei periodi d’imposta in cui viene applicato il beneficio fiscale, nel caso in cui dovesse cambiare datore di lavoro, si rappresenta quanto segue.
La citata circolare n. 17/E del 2017, nell’illustrare le ipotesi di decadenza dall’agevolazione, ha chiarito che il comma 3 dell’articolo 16, demanda al decreto attuativo l’individuazione delle cause di decadenza dal beneficio in questione. In proposito, quest’ultimo (decreto del 26 maggio 2016 del Ministero dell’economia e delle finanze) stabilisce che ” Il beneficiario degli incentivi di cui al predetto articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, decade dal diritto agli stessi laddove la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi”.
Il beneficiario decade, quindi, dall’agevolazione se trasferisce la propria residenza fuori dall’Italia prima che siano decorsi due anni dal suo trasferimento nel territorio dello Stato.
Il medesimo documento di prassi ha poi precisato che in caso di contratto di lavoro dipendente a tempo determinato avente scadenza anteriore al decorso del biennio, ovvero in ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato anteriormente allo scadere del biennio per cause non imputabili al lavoratore, questi non decade dall’agevolazione purché non trasferisca la residenza fuori dall’Italia prima del biennio.
Tenuto conto della normativa e della prassi illustrate, non si ravvedono elementi preclusivi alla fruizione dell’agevolazione, nel caso in cui durante il periodo agevolabile il Contribuente cambi datore di lavoro.
In relazione alla fattispecie prospettata, laddove risultino soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla norma in esame, non oggetto di verifica in sede di interpello, si ritiene che l’ Istante potrà beneficiare dell’agevolazione fiscale di cui all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 147 del 2015 – come modificato dall’articolo 5 del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 (c.d. decreto Crescita) – per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2022, nel quale trasferisce la residenza fiscale in Italia, e per i successivi quattro periodi di imposta.
Resta fermo che la verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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