La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13509 del 29 maggio 2013 ha confermato il proprio orientamento in tema tassazione ed equiparazione, a certe condizioni, tra reddito d’imprese e reddito professionale. Infatti, gli Ermellini, hanno confermato quanto statuito dalla sentenza n. 27211 del 20 dicembre 2006 in cui veniva definita che «La nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacchè l’articolo 51 del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’articolo 2195 del Codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorché non esclusiva».
I giudici di legittimità richiamando la sentenza n. 27211 del 20 dicembre 2006, hanno fissato i paletti sulla nozione tributaristica di società commerciale. Il ricorso del contribuente (un geometra) riguardava una sentenza tributaria frutto di un contenzioso relativo a un avviso di accertamento relativo ad Irpef per l’anno 1975 con cui era stato rettificato il suo reddito professionale sul presupposto che fosse reddito d’impresa e non di lavoro autonomo. I giudici tributari avevano motivato la decisione ritenendo che l’organizzazione e l’utilizzo di beni strumentali di ampie dimensioni aveva snaturato l’attività svolta dal contribuente. Secondo il professionista, invece, il giudice tributario aveva di fatto enfatizzato la prevalenza della struttura organizzativa autonoma rispetto all’opera intellettuale al fine di qualificare il suo reddito di geometra come reddito d’impresa. Per il professionista ciò che distingue l’attività professionale da quella imprenditoriale «è il carattere personale delle prestazioni previste dall’articolo 2232 del Codice civile; le caratteristiche e le misure del compenso previste dall’articolo 2233; il diverso rischio che grava sull’imprenditore, rispetto al prestatore d’opera intellettuale». In effetti, la sussistenza di queste caratteristiche nelle modalità di esercizio della professione da parte del ricorrente non erano state contestate dall’amministrazione finanziaria. La Cassazione, non entra nel merito della singola questione, ma richiama il precedente del 2006 per circoscrivere le due aree, civilistica e tributaria, delle due tipologie di attività.
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