La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17189 depositata il 15 giugno 2023, intervenendo in tema di validità degli OMI come prova, ha ribadito il principio di diritto secondo cui “… in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti» (così Cass. n. 9474 del 12/04/2017; conf. Cass. n. 2155 del 25/01/2019; Cass. n. 24550 del 04/11/2020; Cass. n. 16957 del 16/06/2021). …”
La vicenda ha riguardato una società di persona ed i relativi soci a cui veniva notificato un avviso di accertamento per imposte dirette, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2006 nei confronti della società e due avvisi di accertamento nei confronti dei soci per la conseguente maggiore IRPEF, a loro imputata per trasparenza. I suddetti avvisi erano fondati, secondo quanto ritenuto dall’Agenzia delle Entrate, sulle compravendite immobiliari effettuate sulla base delle discordanze dei valori dichiarati negli atti di compravendita ed i valori desunti dall’utilizzo delle stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare (cosiddetti dati Omi). I contribuenti avverso tali atti impositivi proponevano ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure non accolsero le doglianze dei ricorrenti. La società ed i soci, avverso la decisione di primo grado, proposero appello. I giudici di appello accolsero parzialmente le doglianze dei ricorrenti. In particolare i giudici di secondo grado evidenziarono che a) non vi era stata alcuna violazione dei principi del giusto procedimento, essendosi l’attività istruttoria svolta nel rispetto dei principi sanciti dalla l. 27 luglio 2000, n. 212; b) l’avviso di accertamento era legittimo in quanto fondato su diversi elementi presuntivi; c) peraltro, «l’utilizzo di due fonti diverse, OMI e Tecnocasa, quest’ultima in modo parziale, non permettono una valutazione obbiettiva delle unità immobiliari compravendute per cui ritiene più equo il ricorso all’utilizzo di un’unica fonte e cioè quella dell’Osservatorio OMI»; d) doveva, pertanto, farsi riferimento unicamente alla differenza tra i valori OMI e quelli dichiarati in sede di vendita. Avverso la sentenza di secondo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi, la società ed i soci resistevano con controricorso.
Gli Ermellini accolsero il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo e rigettavano il ricorso incidentale.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che “… il giudice di appello ha correttamente ritenuto la legittimità in astratto dell’accertamento in quanto fondato su altri elementi presuntivi oltre ai valori OMI, quali ad esempio i valori Tecnocasa …” essendo i valori OMI, a seguito delle modifiche normative intervenute, non più presunzione legale, ma di presunzione semplice.
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