CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2013, n. 18713
Lavoro – Licenziamento – Declaratoria di illegittimità – Reintegrazione – Risarcimento – Offerta di un contratto part-time da parte del datore – Rifiuto opposto dal lavoratore – Detrazione dell’aliunde percipiendum
Svolgimento del processo
Con sentenza del 5.5.2010, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame di (…) ed in riforma della decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al predetto e ne ordinava la immediata reintegrazione nel posto di lavoro, condannando la società (…) a r.l. al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni spettantigli dal dì del recesso sino alla reintegrazione, detratto quanto il lavoratore avrebbe percepito in virtù dell’offerta aziendale di un’occupazione lavorativa pari time, in applicazione del principio di cui all’art. 1227, 2° comma, c.c..
Rilevava la Corte del merito che era pacifico, in base a documentazione acquisita in atti dal Centro per l’impiego di Frosinone, che la società aveva provveduto, nel periodo dal 1.1.1998 al 30.6.1999, a circa 100 assunzioni di personale appartenente al II e III livello, nonché ad ulteriori 60 assunzioni part-time, poi trasformate in tempo pieno.
Il (…) era stato anche riqualificato partecipando ad un corso di formazione, onde non era credibile che il personale nuovo assunto fosse adibito di fatto a mansioni diverse da quelle che poteva svolgere l’appellante.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il (…), affidando l’impugnazione a tre motivi, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a due motivi.
Motivi della decisione
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 111, 2° co., Cost. e violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., rilevando che l’entità del risarcimento ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori era stato ridotto senza che nessuna eccezione sull’aliunde percipiendum fosse stata sollevata dalla società e senza che sulla questione fosse stato sollecitato il contraddittorio come imposto dall’art. 111 della Costituzione.
Ammessa e non concessa la veridicità delle circostanze affermate dai testi circa l’offerta di impiego part-time, permaneva – secondo il ricorrente – incertezza sull’epoca della formulazione della proposta e sulla specificazione delle mansioni, il che rappresentava elemento ostativo all’applicazione del principio di cui all’art. 1227, 2° comma, c.c., in mancanza di ulteriori approfondimenti. Con quesito domanda se la mancata segnalazione da parte del giudice di una questione, rilevata d’ufficio per la prima volta in sede di decisione, che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale, determini nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio e delle connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione decisiva ai fini della deliberazione. Osserva che, se la violazione si sia verificata nel giudizio d’appello, la sua deduzione come motivo di ricorso in sede di giudizio di legittimità, determina la cassazione con rinvio della pronunzia impugnata, affinché, ai sensi dell’art. 394, 3° comma, c.p.c., possano essere esplicate le attività processuali che la parte abbia lamentato di non avere potuto svolgere a causa della decisione adottata d’ufficio dal giudice.
Con il secondo motivo, il (…) lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, c.p.c., e violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, n. 4, c.p.c., rilevando la carenza di dati in ordine all’epoca in cui la proposta di assunzione part-time è stata formulata, in ordine all’inquadramento proposto al (…) ed alla tipologia ed entità del part-time.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360, n. 4, c.p.c., assumendo che, se non avesse proposto il presente ricorso, si sarebbe potuto verificare un ipotetico contrasto di giudicati.
Con il ricorso incidentale, la società ascrive alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., insufficiente motivazione circa una fatto controverso e decisivo per il giudizio (la sostituzione del macchinario cui era adibito il (…) con altri estremamente più complessi) e con il secondo motivo deduce ugualmente vizio motivazionale circa altro fatto controverso e decisivo (riqualificazione professionale del lavoratore).
Il ricorso incidentale è palesemente da rigettare, perché con lo stesso si censurano accertamenti di fatto attraverso i quali la Corte territoriale è pervenuta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al (…), rilevando che l’assunzione di personale inquadrato in livello pari a quello nel quale era inquadrato il predetto era idonea a dimostrare che non sussistesse la dedotta eccedenza di personale e, a fronte di tale assunto, le doglianze non evidenziano il carattere decisivo delle circostanze richiamate ai fini di una diversa ricostruzione delle ragioni poste a fondamento della procedura di mobilità, ritenute dal giudice del gravame insussistenti perché, in contrasto con le ragioni del ridimensionamento aziendale, la società aveva dato corso ad un elevato numero di assunzioni, e ciò in conformità a giurisprudenza di legittimità consolidata (cfr., tra le altre, Cass. 29 aprile 2004 n. 8269).
Ed invero è principio reiteratamente affermato da questa Corte quello secondo il quale il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. tra le tante, Cass. 7 agosto 2003 n. 11936; Cass. 12 agosto 2004 n. 15693).
Quanto al ricorso principale, i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.
Quanto all’aliunde perceptum ed all’aliunde percipiendum, è stato ritenuto che, in tema di concorso del fatto colposo del creditore, ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ., in tanto al giudice del merito è consentito svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore, in quanto vi sia un’espressa istanza al riguardo del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di un’eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. 15 ottobre 2004 n. 20324; Cass. 27 giugno 2007 n. 14853). Il debitore deve inoltre fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, dei quali chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza.
Secondo diverso orientamento, invece, la deduzione da quanto dovuto dell’aliunde perceptum richiede, se non l’eccezione formale del datore di lavoro, almeno l’allegazione dei fatti, e la possibilità per il Giudice di trarne la prova dagli elementi probatori già acquisiti al processo, o non contestati (cfr. Cass. 9 marzo 2006 n. 5125). Come rilevato, infatti, da questa Corte (v. Cass.18 aprile 2001, n. 5660) “in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal Giudice in forza dell’art. 18 Stat. Lav. e di quantificazione di tale danno in tutte le sue componenti, compresa quella concernente il reperimento da parte del lavoratore di altri redditi derivanti da attività lavorativa prestata nel periodo temporale considerato ai fini risarcitori (cd. “aliunde perceptum” e “percipiendum”), la deduzione in sede processuale dell’aliquid perceptum non costituisce un’eccezione in senso stretto e, comunque, non è riconducibile nel novero di quelle eccezioni riservate alla disponibilità delle parti. Di conseguenza, quando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti a dimostrare l’aliquid retentum e gli stessi possono ritenersi incontroversi o processualmente acquisiti, il Giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l’acquisizione sia riconducibile ad un comportamento della controparte e, pure, avvalendosi dei poteri ex art. 421 Cod. Proc. Civ.) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno subito dal lavoratore ingiustamente licenziato.”.
Nel caso considerato, al di là della qualificazione della deduzione sull’aliunde percipiendum e sulla effettività del contraddittorio svoltosi al riguardo, effettivamente, come osservato dal ricorrente, non risulta in sentenza chiarito, ai fini quanto meno dell’assolvimento dell’onere di allegazione dei fatti, in che termini e quando l’offerta di part-time fosse stata formalizzata, con riferimento a quale inquadramento ed a quale tipologia ed entità della prestazione, sicché non può ritenersi che sul punto la motivazione soddisfi i requisiti di sufficienza a tal fine richiesti, ritenuto che il rifiuto di una offerta lavorativa deteriore non costituisca un elemento idoneo ad integrare di per sé stesso la base per operare una detrazione di quanto presumibilmente ricavabile dal lavoratore per effetto dell’adesione alla proposta lavorativa.
Alla stregua di tali considerazioni, i primi due motivi del ricorso principale meritano accoglimento e, considerato assorbito il terzo motivo – neanche sufficientemente chiaro rispetto all’individuazione del dedotto contrasto tra giudicati – la sentenza impugnata va cassata in relazione al profilo trattato nella impugnazione, con rinvio della causa alla Corte del merito designata in dispositivo, che provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale, accoglie il principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
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