Il decreto lavoro (76/2013) interviene su alcune problematiche sollevate dall’applicazione della legge Fornero (legge 92/2012) in ordine ai licenziamenti per motivi economici fornendo importanti chiarimenti in merito alla procedura di conciliazione preventiva per i licenziamenti economici.
Infatti vine stabilito l’esclusione dell’obbligatorietà della procedura di conciliazione preventiva per i licenziamenti nel settore delle costruzioni edili, se viene motivato dal completamento delle attività e dalla chiusura del cantiere.
Le nuove norme, modificando l’articolo 7, comma 6, della legge 604/1966, mettono fine a un contrasto giurisprudenziale sorto all’indomani dell’entrata in vigore della nuova disciplina, circa l’obbligatorietà della conciliazione per i casi di superamento del cosiddetto periodo di comporto (la durata massima di assenza dal lavoro per malattia, prevista dal contratto collettivo di riferimento). La legge ora prevede chiaramente che la procedura non si applica in questa ipotesi.
Ma il decreto lavoro non si limita a chiarire il tema del comporto ed i licenziamenti nel settore edile, e individua altre situazioni nelle quali la procedura non si applica che di seguito si elencano:
- sono esonerati dalla conciliazione preventiva i licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, a condizione che questi siano seguiti da assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione delle clausole sociali (quelle clausole, previste in alcuni contratti collettivi, che garantiscono la continuità occupazionale in caso di successione di appalti).
Fuori da questi casi, resta in vita l’obbligo di attivare la procedura ogni volta che un’azienda, rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quindi, con più di 15 dipendenti computabili nell’organico), intende procedere alla risoluzione di un rapporto di lavoro per un giustificato motivo oggettivo, a condizione che non vi siano i presupposti numerici (almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni) per applicare la procedura di licenziamento collettivo.
Per cui ogni qualvolta susistanole condizioni sopra viste, prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro è obbligato a informare la direzione territoriale del lavoro e il dipendente della propria intenzione, spiegando le ragioni che motivano la decisione. Dopo aver ricevuto questa informativa, l’organo amministrativo convoca le parti e prova la conciliazione, entro un termine che non può superare i 27 giorni dal ricevimento della comunicazione (cui possono aggiungersi altri 15 giorni, per eventuali impedimenti e malattie delle parti).
Se viene raggiunto un accordo tra le parti, il rapporto si risolve, e il dipendente ha diritto di percepire l’Aspi, come se fosse stato licenziato. Se invece non viene raggiunta alcuna intesa, il datore di lavoro può intimare il licenziamento. In merito allo svolgimento della procedura, il decreto 76/2013 introduce una piccola novità, stabilendo che la mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione deve essere valutata dal giudice del lavoro, nell’eventuale sentenza con la quale valuta la legittimità del licenziamento.
Tale ultima norma introdotta dal legislatore al fine di incentivare la partecipazione delle parti a essere presenti durante la procedura, ma ha un effetto pratico molto limitato, non essendo immaginabile che la decisione sulla validità del licenziamento possa essere realmente essere influenzata dalla semplice presenza o assenza di una parte presso la Dtl.
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