La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 3762 del 15 febbraio 2013 intervenendo in tema di accertamento fiscale ha affermato che è legittimo l’accertamento induttivo fondato sui conti correnti bancari intestati ai dipendenti dell’imprenditore.
La vicenda ha riguardato una società, a ristretta base, a cui veniva notificato l’ avviso di accertamento induttivo con cui era stato rettificato il reddito d’impresa mediante il disconoscimento di costi ritenuti non inerenti e la ripresa a tassazione di ricavi ritenuti sulla base dei riscontri bancari relativi ai conti di alcuni dipendenti e dei soci. Il contribuente procedeva ad impugnare l’atto impositivi inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettavano le doglianze del contribuente. La sentenza veniva confermata anche dai giudici di appello. La società contribuente avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ricorre alla Corte di Cassazione.
Gli Ermellini, respingono le istanze della contribuente e dei soci a cui L’Amministrazione Finanziaria ha contestato maggiori redditi di partecipazione, hanno ritenuto corretto e fatto proprio l’orientamento secondo il quale “i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente consentono, in virtù della presunzione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 39, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività. Detta presunzione legale vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni,la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’oneredella prova”(v. Cass. n. 19493 del 2010).
I giudici di legittimità affermano inoltre, come si legge ancora in sentenza, che “l’estensione delle indagini bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o quale amministratore e soci o quale congiunto di questi e, quindi, in una società, come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l’esistenza di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correntibancari intestati a tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa origine di tali entrate” (v. Cass. n. 19493 del 2010).
In definitiva, per la Corte Suprema, i giudici della Commissione Tributaria Regionale hanno evidenziato con chiarezza e precisione nelle motivazioni le ragioni quali ha ritenuto provata la riferibilità alla società delle movimentazioni sia dei conti dei soci che dei depositi intestati a terzi, in ordine ai quali ha osservato che gli stessi “o non erano mai stati movimentati dalle persone intestatarie” oppure riguardavano assegni bancari ricevuti dalla clientela.
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