CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15227 depositata il 22 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – QUALIFICAZIONE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – CONTRATTO QUADRO SERVIZI DI TRASPORTO E CONSEGNA A DOMICILIO – ONERE DELLA PROVA – SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO IN REGIME DI AUTONOMA ORGANIZZAZIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18 febbraio 2015, la Corte d’Appello di Palermo, pronunziando in sede di reclamo ex art. 1, comma 58, L. n. 92/2012, dichiarava nulla la decisione resa dal Tribunale di Palermo e rigettava la domanda proposta da M.F. nei confronti di V.I. S.p.A., avente ad oggetto, sul presupposto del riconoscimento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, in ragione dell’erronea qualificazione attribuita al rapporto intercorso sulla base del “contratto quadro servizi di trasporto e consegna a domicilio” stipulato il 25.6.2008, la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli il 21.12.2012.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto nulla, in quanto resa dal medesimo giudice della fase sommaria, la pronunzia sull’opposizione e sussistente, in quanto non rientrante la rilevata nullità nei casi tassativi di rimessione al primo giudice, la propria competenza a decidere nel merito la questione, definita in termini di inconfigurabilità tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, essendo risultato accertato lo svolgimento del servizio in regime di autonoma organizzazione non contraddetto dalle pur puntuali direttive della Società comunque compatibili con lo schema contrattuale dell’appalto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il F., affidando l’impugnazione a cinque motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, la Società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 e 2094 c.c., il ricorrente lamenta l’erroneità del giudizio espresso dalla Corte in ordini alla qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti per aver dato preminente rilievo al regolamento contrattuale astrattamente disposto dalle parti rispetto al concreto atteggiarsi del rapporto, in particolare trascurando come questo si sia concretato in una prestazione esclusivamente personale, non supportata da alcuna organizzazione imprenditoriale, circoscritta alla proprietà del mezzo, del resto vendutogli dalla stessa Società, seppure diversamente denominata, sotto la cui direzione, estrinsecantesi nelle stesse forme che hanno connotato il rapporto formalmente autonomo successivamente costituito, ha espletato la stessa attività in regime di subordinazione.
Con il secondo motivo la medesima censura è riproposta sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio individuato nell’omessa considerazione del tenore del contratto d’appalto sottoscritto tra le parti e della sua non corrispondenza con la situazione reale.
Il medesimo vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è dedotto con il terzo motivo ed individuato nell’errata collocazione temporale, non coincidente con il periodo di svolgimento del rapporto in questione, della dichiarazione resa dal ricorrente in sede di interrogatorio libero circa la pregressa titolarità da parte del medesimo di una ditta individuale iscritta alla camera di Commercio con oggetto l’attività di autotrasportatore provvista altresì di personale alle proprie dipendenze.
Con il quarto motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione degli art. 409 c.p.c. e 61 e 69 del d.lgs. n. 276/2003, il ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata qualificazione del rapporto come collaborazione coordinata e continuativa cui sarebbe conseguita la conversione della medesima, stante la non riscontrabilità di uno specifico progetto, programma o fase di lavoro, in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il quinto motivo, ancora relativo ad un vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è volto a censurare, sempre sul presupposto dell’erronea qualificazione del rapporto inter partes, la mancata valutazione della circostanza che ha dato luogo alla cessazione del rapporto, circostanza relativa alla mancata presentazione del veicolo adibito al servizio per i controlli di qualità e sicurezza, sotto il profilo della conformità dello stesso alla disciplina limitativa sui licenziamenti individuali per rilevarne, alla stregua della disciplina sanzionatoria di cui al CCNL per le imprese chimiche, applicabile alla fattispecie, l’assenza dell’invocata causa giustificativa o comunque l’applicabilità di una mera sanzione conservativa con diritto del ricorrente alla reintegrazione nel posto di lavoro o, in subordine, anche in considerazione dei vizi formali dati dall’inosservanza della procedura di cui all’art. 7, L. n. 300/1970, alla tutela indennitaria attenuata.
Il primo motivo deve ritenersi infondato, atteso che la Corte territoriale, lungi dal fondare, come qui sostiene il ricorrente, la propria valutazione sul rilievo prioritario del nomen iuris dalle parti attribuito al contratto concluso, espressamente ammette la possibilità per il ricorrente di “dimostrare che il rapporto avesse avuto connotazioni diverse da quelle contenute nella richiamata fonte (il contratto)”, peraltro giungendo a concludere nel senso del mancato assolvimento da parte del ricorrente del relativo onere probatorio, affermazione questa non specificamente censurata ed invero da doversi confermare, stante la correttezza sul piano logico e giuridico della valutazione della Corte territoriale circa l’inconferenza, anche tenuto conto della peculiarità del servizio affidato, dei rilievi svolti dal ricorrente a confutazione degli argomenti addotti dalla Corte stessa a sostegno del proprio giudizio teso ad escludere la natura subordinata del rapporto, inconferenza che va certamente predicata con riguardo al carattere personale della prestazione resa e correlativamente alla limitatezza dell’organizzazione al medesimo facente capo, nonché con riguardo alle ulteriori circostanze da quella per cui era la Società ad impartire direttive in ordine alle consegne da effettuare, a quella per la quale quelle direttive solo con riguardo alle consegne urgenti venivano ad interferire sulla libera scelta viceversa di norma esercitata dal ricorrente di organizzare il giro secondo “l’ordine che mi veniva più comodo” (come il ricorrente stesso spontaneamente dichiarava), a quella per cui il ricorrente era tenuto alla reperibilità ed ancor più con riferimento all’indimostrato assunto per cui le modalità di esecuzione della prestazione formalmente regolata dal contratto d’appalto con la V. sarebbero state esattamente identiche a quelle relative al periodo in cui lo stesso lavorava presso altra società svolgente il medesimo servizio in regime di subordinazione.
L’infondatezza ovviamente si comunica al secondo motivo che, ai limiti dell’inammissibilità, ripropone sotto il profilo dell’omesso esame del tenore del contratto d’appalto i medesimi argomenti intesi a rilevarne l’incongruità rispetto alla prestazione di fatto resa.
Infondato risulta altresì il terzo motivo non ravvisandosi nell’impugnata sentenza il denunciato travisamento della circostanza indicata – data dall’effettuazione del servizio in questione quale titolare di una ditta individuale ma in periodo antecedente a quello della conclusione del contratto con la V. – ed il suo riverberare, a motivo dell’errata collocazione temporale della stessa al periodo di vigenza del predetto contratto, sulla valutazione della vicenda de qua.
Di contro inammissibile, in ragione della novità della questione, si rivela il quarto motivo, mentre il quinto, relativo all’omesso esame della questione principale relativa alla legittimità del prospettato licenziamento, resta assorbito in ragione dell’inaccoglibilità dell’impugnazione in ordine alla statuizione relativa alla qualificazione del rapporto incompatibile con la configurabilità in termini di licenziamento dell’intervenuta cessazione del rapporto.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della Sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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