Corte di Cassazione sentenza n. 19555 del 08 maggio 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ UN MEMBRO DEL CDA – RESPONSABILE DELLA GESTIONE AZIENDA – MACCHINA OBSOLETA
massima
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La responsabilità del datore di lavoro per l’incidente accorso al lavoratore può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un contegno eccezionale od abnorme del lavoratore medesimo, esorbitante cioè rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute e come tale, dunque, del tutto imprevedibile.
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FATTO
Con sentenza in data 17 maggio 2010, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa il 15 gennaio 2008 dal Tribunale di Monza riduceva la pena inflitta a (…), a giorni quindici di reclusione, confermando l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 590, 1°, 2° e 3° comma cod. pen., perché, in qualità di componente del Consiglio di amministrazione della P.C.R. s.r.l. e di responsabile della gestione aziendale, cagionava al dipendente (…) lesioni personali gravi alle dita della mano sinistra, guarite in termine superiore a 40 giorni che il predetto si era procurato per aver inavvertitamente appoggiato la mano sulla lama della macchina rettificatrice, il cui funzionamento non aveva provveduto ad arrestare allorché aveva allungato la stessa mano nel tentativo di fermare la caduta a terra di uno dei pezzi che aveva allineato sulla macchina.
L’infortunio si era verificato in Bernareggio il 7 ottobre 2003, per la colpa generica in cui versava l’imputato nonché per la colpa specifica, avendo questi omesso di adeguare la macchina alle prescrizioni antinfortunistiche sopravvenute nel tempo, con idonee protezioni e con i presidi tecnici (essendo la stessa dotata unicamente di una cuffia) a tutela della sicurezza e della incolumità dei lavoratori dipendenti ed avendo altresì omesso di richiedere agli stessi l’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza; ciò quindi in violazione dell’art. 2087 cod. civ. e dell’art. 35, commi 1° e 72° D.Lgs. n. 626 del 1994.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputato, per tramite del difensore, articolando un’unica censura, per inosservanza della legge penale e, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si duole il difensore che la Corte d’appello, pur in difetto, di perizia medico – legale ed in mancanza di qualsivoglia prova idonea, abbia ritenuto che la durata della malattia conseguente alle lesioni patite dal lavoratore, avesse superato i giorni quaranta, pur avendo tuttavia escluso che fosse residuata una diminuita funzionalità della mano sinistra.
Lamenta altresì il ricorrente che sia stata ritenuta sussistente l’aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, con conseguente procedibilità d’ufficio dell’azione penale nei confronti dell’imputato, giacché, come riferito dal tecnico dell’A.S.L. (…), la verificazione dell’infortunio doveva farsi risalire a colpa del lavoratore che, ove avesse prestato un minimo di attenzione all’operazione che stava compiendo, avrebbe potuto evitare l’infortunio, essendogli ben noto, alla luce dell’esperienza di lavoro ultraventennale, che l’operazione rientrava tra quelle a “protezione sospesa”.
Da ultimo lamenta il difensore che la Corte distrettuale, violando il divieto della reformatio in pejus, avrebbe omesso di riconoscere all’imputato i doppi benefici di legge invece, accordatigli dal Primo Giudice.
Diritto
Il ricorso va giudicato inammissibile, per manifesta infondatezza, con ogni conseguenza di legge.
Come esaustivamente e condivisibilmente argomentato dalla Corte distrettuale, non può revocarsi in dubbio la sussistenza di entrambe le aggravanti previste nel primo e nel secondo capoverso dell’art. 590 cod. pen.; donde la pacifica procedibilità d’ufficio del reato ascritto al P..
La durata della malattia – risultata di giorni 82 – può invero esser legittimamente dedotta dal periodo di effettiva assenza dal lavoro, cui la parte offesa è stata costretta a cagione del certificato deficit nella ripresa funzionale della mano, secondario alle patite lesioni. Il che pare ragionevolmente incontestabile alla luce delle diagnosticate lesioni al tendine estensore del dito indice della mano sinistra ed al fascio vascolonervoso digit – radiale oltreché della ferita lacero – contusa riportata al terzo ed al quarto dito, tenuto conto del fatto che, in buona sostanza, delle cinque dita della mano sinistra ben tre erano state lesionate. È invece del tutto immune da profili di contraddittorietà o di illogicità, posto quanto sin qui osservato, l’assunto del Giudice d’appello che hanno negato la sussistenza di una diminuita funzionalità del secondo dito della mano sinistra (e quindi l’indebolimento della funzione prensile della mano) siccome esclusa dall’ultimo certificato rilasciato, comunque difettando, al riguardo, uno specifico accertamento peritale.
Il fatto che alla produzione dell’evento avesse concorso la parte offesa, con condotta imprudente, per aver fatto verosimilmente eccessivo affidamento sulla pregressa esperienza e sulla reiterazione delle stesse operazioni, ovviamente non solo non vale ad escludere la responsabilità dell’imputato, in veste di datore di lavoro, ma tantomeno potrebbe condurre ad “escludere” la sussistenza dell’aggravante – contestata – del fatto commesso con violazione della disciplina antinfortunistica ed in particolare dell’art. 35, comma 1° D.Lgs. n. 626 del 1994, come legittimamente ritenuto dalla Corte distrettuale. Era invero – rimasto accertato, come rimarcato dalla sentenza impugnata, che l’infortunio si era verificato perché la macchina rettificatrice – già obsoleta all’epoca del fatto – non era stata adeguata, per omissione del (…) agli specifici congegni di sicurezza, individuati dal progredire della tecnica (ovvero gli “scudi di sicurezza” come precisato dal tecnico dell’A.S.L.) tali da bloccarne il funzionamento in difetto di espresso consenso all’apertura, elettricamente azionabile dall’operatore.
Da ultimo va rilevato che, ad onta delle infondate obiezioni della difesa, l’omessa statuizione, nel dispositivo della sentenza d’appello, della “conferma nel resto” con riferimento al decisum della sentenza di primo grado, non modificato in grado d’appello, non comporta la “revoca” implicita della concessione dei doppi benefici di legge, già accordati al (…) dal Tribunale di Monza come pure delle riconosciute attenuanti generiche. È invero pacifico che le statuizioni delle due sentenze di merito devono reciprocamente e necessariamente integrarsi, maxime quanto a quelle favorevoli all’imputato proprio stante il divieto della reformatio in pejus in caso di impugnazione proposta dall’imputato.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma, che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.
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