La Corte di Cassazione, sezione lavoro con la sentenza n. 24334 depositata il 29 ottobre 2013, intervenendo in tema di licenziamento ha statuito che è legittimo il licenziamento senza preavviso dl dipendente che obbedisce a un ordine illecito di un superiore ed ha ricordato che il dipendente è tenuto a sindacare la legittimità dell’ordine ricevuto e, se questo risulta illegittimo, non deve seguirlo essendo egli consapevole che, altrimenti, andrebbe ad agire contro la legge.
La vicenda ha riguardato un dipendente dell’Agenzia delle Entrate a cui il direttore, essendo prossimi i termini di prescrizione per la riscossione dell’imposta di bollo, aveva ordinato agli impiegati di procedere alla notifica dei verbali di accertamento ai sensi dell’articolo 140 c.p.c. senza il preventivo accesso presso la residenza dei notificandi. Il dipendente attenutosi a dette istruzioni aveva percepito un compenso di lire 750 per ciascuna notifica; che era stato rinviato a giudizio per tali fatti dal GIP e che l’Agenzia delle Entrate aveva avviato il procedimento disciplinare e poi lo aveva sospeso dal servizio.
Il datore di lavoro comunicava al dipendente il suo licenziamento in base all’art. 25, comma 5, lettera d) del CCNL comparto Ministeri secondo il quale il licenziamento senza preavviso è previsto per la “commissione in genere-anche nei confronti di terzi-di atti o fatti, anche dolosi, che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.”
I giudici di legittimità hanno puntualizzato che il lavoratore ha ammesso di aver provveduto alla notifica dei verbali di accertamento ai sensi dell’art. 140 cpc senza effettuare il previo accesso domiciliare, che ciò è avvenuto in relazione ad un considerevole numero di atti (43.000) ed in ossequio all’ordine del direttore dell’ufficio e che il ricorrente era consapevole delle disposizione di cui all’art. 139 e 140 cpc e della necessità di un infruttuoso accesso al domicilio del notificando.
Per i giudici della Corte Suprema la motivazione della sentenza della Corte Distrettuale “appare, da un lato, contraddittoria, in ordine all’affermata esclusione del dolo nel comportamento del lavoratore, perché dopo aver rimarcato che il ricorrente non era tenuto ad osservare l’ordine impartitogli comportante anche la commissione di reati perché illegittimo potendo, quindi, sindacarne il merito, e dopo aver ancora evidenziato che era di certo errata la convinzione del lavoratore di operare nell’interesse dell’amministrazione per evitare che spirassero i termini di prescrizione dei crediti derivanti dai verbali di accertamento di mancato pagamento del bollo, ha poi la decisione in modo contraddittorio ridimensionando la gravità del fatto addebitato affermando che nel caso di specie dovesse tenersi conto dell’esclusione “di qualsiasi personalità e autonomia indipendente dell’azione” dovendosi negare una tendenza dell’agente ad infrangere le regole e dovendosi censurare il comportamento in esame con sanzione meno grave.”.
La motivazione appare, inoltre, insufficiente anche perché la Corte d’Appello, una volta riconosciuto che il dipendente dell’Agenzia poteva rifiutare di ottemperare ad un ordine illegittimo avrebbe dovuto parametrare la gravità della condotta del lavoratore sulla normativa in materia di sanzioni disciplinari dettata dalla contrattazione collettiva del settore, previa verifica se detta osservanza di disposizioni contra legem venisse da detta contrattazione espressamente prevista e sanzionata e in caso contrario se altre clausole contrattuali regolanti fattispecie di comportamenti da giustificare il licenziamento potessero estendersi in ragione di una gravità in qualche modo assimilabile a quella in oggetto.
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