Corte di Cassazione sentenza n. 2221 del 31 gennaio 2011
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – STATUTO DEL CONTRIBUENTE – NORME FISCALI – DISAPPLICAZIONE – CONTRASTO – ESCLUSIONE – ILLEGITTIMITA’
massima
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Le norme della L. n. 212 del 2000 emanate in attuazione degli articoli della Costituzione e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario sono, in alcuni, casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria. Una norma contenuta in una legge ordinaria successiva all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente non può essere disapplicata solo perché ritenuta difforme da un principio in esso sancito.
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FATTO
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania meglio indicata in epigrafe, con la quale è stata affermata la legittimità dell’utilizzazione di un credito d’imposta da parte della S.r.l. D., contestata dall’Amministrazione finanziaria sulla base della norma contenuta nel D.L. n. 253 del 2002, che prevedeva la sospensione dei crediti d’imposta nel periodo di riferimento.
1.1 – Alla base di tale decisione è stato posto il richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 3, (Statuto del contribuente), affermandosi che poiché tale norma, ritenuta “di rango superiore”, stabilisce che “le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dall’adozione dei provvedimenti in esse espressamente previsti”, la sospensione del credito d’imposta sarebbe stata prevista, con il D.L. n. 253 del 2002, in contrasto con tale disposizione, in maniera, quindi, da doversi disapplicare detta noma successiva, con conseguente legittimità dell’utilizzazione del credito.
1.2 – La società resiste con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
2. – Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 76 Cost., art. 101 Cost., comma 2, e art. 134 Cost., dell’art. 1 preleggi, del D.L. n. 253 del 2002, art. 1, comma 1, lett. a, nonché della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si sostiene che la Commissione tributaria regionale, per altro emettendo un giudizio eventualmente riservato alla Corte Costituzionale, avrebbe erroneamente ritenuto che in virtù di una legge ordinaria, che fissa principi di carattere generale, si possa disapplicare altra norma ordinaria, nel caso di specie, per altro, priva di efficacia retroattiva.
2.1 – Con il secondo motivo si prospetta violazione, l’art. 112 c.p.c., nonché della L. n. 212 del 2000, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non aver considerato la Commissione tributaria regionale che l’Ufficio, nel proprio ricorso in appello, aveva eccepito che il D.L. n. 253 del 2002, non poneva alcun adempimento a carico del contribuente, ma solo un obbligo di “non fare”; si aggiunge che, assecondandosi la tesi contenuta nell’impugnata decisione quanto al divieto, in tema di disposizioni tributarie, di prevedere adempimenti a carico del contribuente con scadenza anteriore al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore, verrebbe ad essere frustrata la possibilità di ricorrere, in detta materia, allo strumento del decreto legge.
2.2 – Con il terzo motivo si denuncia omessa o comunque insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in considerazione del non meglio esplicitato richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 3, senza alcuna indicazione specifica degli adempimenti imposti al contribuente e scadenti prima de sessantesimo giorno.
2.3 – Il primo motivo è fondato e deve essere accolto. Deve innanzitutto richiamarsi il principio, già affermato da questa Corte in una fattispecie del tutto analoga a quella scrutinata e condiviso dal Collegio, secondo cui le norme della L. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni, casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (Cass., 6 aprile 2009, n. 8254).
Giova ricordare, quanto agli aspetti di natura costituzionale, che la Corte Costituzionale, nel ribadire che la norma contenuta nella L. n. 212 del 2000, art. 3, non costituisce parametro idoneo a fondare un giudizio di legittimità costituzionale (cfr. ord. n. 216 del 2004), ha rilevato (ord. n. 180 del 2007) che è assolutamente priva di efficacia retroattiva la norma (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a) relativa all’obbligo di inviare, a pena di decadenza dai contributi ottenuti sotto forma di crediti d’imposta, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati. Tale affermazione a maggior ragione è estensibile alla fattispecie in esame, nella quale, per altro, nessun adempimento è disposto a carico del contribuente, prevedendosi una mera sospensione della fruibilità dei crediti d’imposta.
Mette ancora conto di precisare, quanto al generico richiamo contenuto nella decisione impugnata alla sentenza n. 7080 del 2004 di questa Suprema Corte, che un’attenta lettura della relativa motivazione lascia intendere come sia valorizzato, a fini ermeneutici ed applicativi, il valore dei principi affermati nella più volte richiamata L. n. 212 del 2000, art. 3, senza che venga tuttavia affermato, come ritenuto dalla Commissione tributaria regionale, che una norma contenuta in una legge ordinaria successiva all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente possa essere disapplicata solo perché ritenuta difforme da un principio in esso sancito.
2.4 – L’accoglimento del primo motivo, tale da comportare il completo assorbimento delle ulteriori doglianze, comporta la cassazione della decisione impugnata.
Ricorrono, per altro, i presupposti per la decisione nel merito, nel senso del rigetto del ricorso introduttivo, non essendo all’evidenza necessaria alcuna ulteriore acquisizione, attesa la natura squisitamente giuridica delle questioni esaminate.
La S.r.l. D., in conseguenza della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese processuali relative all’intero giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese processuali dell’intero giudizio, liquidate in Euro 1.400,00 per ciascuno dei precedenti gradi di merito, ed Euro 1.600,00 per il presente giudizio di legittimità, oltre spese prenotate a debito.
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