CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26105 del 30 dicembre 2015
Ritenuto in fatto
1.— Con sentenza n. 109/04/2009, depositata il 17 marzo 2009 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno (hinc: «CTR»), rigettava l’appello proposto da B. di C. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Eboli, e della s.p.a. Equitalia ETR, avverso la sentenza n. 486/10/2006 della Commissione tributaria provinciale di Salerno (inc: «CTP»), e compensava integralmente tra le parti le spese di lite, in ragione dell’esistenza di «giusti motivi»
2.— La CTR, per quanto qui interessa, nel rigettare l’appello del contribuente e nel confermare la decisione della CTP, riteneva che: a) la decisione impugnata conteneva tutti gli elementi previsti dall’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dall’art. 132 cod. proc. civ. ed in particolare la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di fatto e di diritto; b) l’obbligo di motivazione della cartella esattoriale, emessa ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno 2000 e dell’importo di e 19.622,00, era stato assolto con l’indicazione del tributo, del periodo d’imposta, dell’imponibile e dell’aliquota applicata; c) la cartella era stata tempestivamente notificata, nel rispetto dei termini di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, come novellato dall’art. 1 “della legge n. 156 del 2005”, ed era stata compilata secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle finanze.
2.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, notificato il 3/05/2010 e integrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
3.— La sola Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, notificato il 10/06/2010.
Considerato in diritto
1.— Con il primo motivo, il ricorrente B. di C. lamenta l’omessa motivazione della sentenza di appello e la violazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 6 della legge n. 212 del 2000, deducendo che, prima dell’iscrizione a ruolo dell’imposta dovuta, era intervenuta la decadenza del potere dell’amministrazione finanziaria di emettere la cartella di pagamento.
2.— Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’insufficiente motivazione della sentenza e la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, con riferimento alla motivazione della cartella di pagamento.
3.— Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 del d.m. n. 321 del 1999, deducendo la mancata sottoscrizione del ruolo.
4.— Con il quarto motivo, il ricorrente deduce sia la violazione dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, sia l’insufficiente ed illogica motivazione circa la tempestiva notificazione della cartella
di pagamento.
5.— In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità dei quattro motivi per la violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ.
5.1.— Occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 17 marzo 2009 e, dunque, successivamente al 10marzo 2006, rientra, ratione temporis, nella disciplina di cui all’art. 58, comma 5, della legge 18 giugno 2009, n. 69, e, quindi, nel regime di cui all’art. 366-bis, cod. proc. civ., nella formulazione rimasta in vigore fino al 3 luglio 2009.
5.2.— Tale disposizione, nella consolidata lettura di questa Corte, richiede che i vizi riconducibili ai numeri 3) e 4) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ. siano corredati da un “quesito di diritto” contenente, a pena di inammissibilità: a) la sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) l’indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di diritto ritenuta da applicare. Il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nel rispondere al quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass. sezioni unite, n. 2658 e n. 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del 2013, n. 11177 e n. 17958 del 2014).
5.3.— Analogamente, per i motivi di ricorso riconducibili al n. 5) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., è richiesta dalla stessa legge sopra citata — sempre a pena di inammissibilità — la formulazione del “quesito di fatto” o “motivazionale” (cosiddetto “momento di sintesi”), consistente in un apposito passaggio espositivo, distinto ed autonomo rispetto allo svolgimento del motivo e che sostanzi un quid pluris rispetto all’illustrazione del mezzo (Cass. sezioni unite n. 12339 del 2010; Cass. n. 4309 e n. 8897 del 2008; n. 21194 e n. 24313 del 2014), finalizzato ad individuare, chiaramente e sinteticamente, il fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento al quale la motivazione si assume omessa, ovvero insufficiente o contraddittoria, con specifica segnalazione delle ragioni per le quali la motivazione risulta inidonea a giustificare la decisione (ex plurimis, Cass. sezioni unite n. 20603 del 2007 e n. 11652 del 2008; Cass. n. 27680 del 2009).
6.— Nel ricorso in esame, invece, tutti i motivi proposti risultano privi, anche sotto l’aspetto meramente grafico (requisito sottolineato, tra le molte pronunce, da Cass. n. 24313 del 2014), di qualsivoglia formulazione del corrispondente quesito. Né può attribuirsi a questa Corte il potere di individuarne autonomamente una possibile stesura all’interno dello svolgimento del motivo (Cass. n. 22591 del 2013), dal momento che ne resterebbe svilita — rispetto ad un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata — la portata innovativa dell’art. 366-bis cod. proc. civ., consistente proprio nell’imposizione della formulazione di motivi contenenti una sintesi autosufficiente della violazione censurata, funzionale anche alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte (ex plurimis, Cass. n. 20409 del 2008 e n. 16481 del 2014).
7.— Inoltre, il primo, il secondo ed il quarto motivo sono inammissibili anche per l’ulteriore ragione che con essi vengono prospettate censure multiple, inestricabilmente cumulate tra loro (art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.), senza che sia possibile evincere i distinti profili di censura. In particolare, l’illustrazione del primo motivo è preceduta dall’affermazione secondo cui «la sentenza impugnata omette totalmente pronuncia sulla formulata eccezione» (profilo riconducibile al vizio di cui al n. 4) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. Civ.), mentre l’illustrazione della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR si confonde con la deduzione di un vizio della motivazione. Nel secondo motivo, invece, si legge che «la statuizione del giudice di secondo grado va integralmente riformata in quanto priva di sufficiente motivazione nonché non conforme a diritto e risultato di una lettura non costituzionalmente orientata della normativa in questione», senza distinzione tra le varie censure. Analoga prospettazione ricorre nel quarto motivo, ove risultano denunciate – contestualmente ed indistintamente – l’insufficiente ed illogica motivazione nonché la falsa applicazione di una norma.
8.—La mancata distinzione tra le diverse censure prospettate rende inammissibili i motivi, perché ha l’effetto di devolvere a questa Corte il compito (che non le spetta) di interpretare, enucleare, integrare ed esplicitare i profili d’impugnazione (sostanzialmente in tal senso, ex plurimis, Cass. n. 1906 e n. 9470 del 2008; n. 9793 e n. 12248 del 2013).
9.— In ragione del principio di causalità va disposta la condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese di lite, che si liquidano in complessivi €. 2.950,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, in data 9 dicembre 2015.
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