CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 23662 depositata il 3 agosto 2023

Tributi – Avvisi d’accertamento – Condotte frodatorie – IVA – IRAP – Atto di contestazione – Termini di decadenza per l’accertamento – Raddoppio dei termini – D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 comma 3 – Sanzioni – Accoglimento

Rilevato che

A seguito di verifica eseguita nei confronti della V. s.r.l. l’Agenzia delle entrate, nel contestare condotte frodatorie, con due avvisi d’accertamento, relativi agli anni 2005 e 2006, recuperò le imposte nei confronti della società. Ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472, art. 9 (ndr d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 9) nei confronti dei soci di fatto e di M.R., quest’ultima nella qualità di professionista esecutivo e responsabile in concorso delle violazioni, comminò sanzioni ai fini Iva ed Irap per i medesimi anni d’imposta.

Avverso l’atto di contestazione, notificato il 26.12.2012, la M. propose impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che con sentenza n. 4537/05/2016 ne accolse in parte le ragioni, ritenendo le sanzioni non dovute con riguardo all’anno 2005. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate fu rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 3654/08/2017. Il giudice regionale, nel confermare le statuizioni del giudice di prime cure, ha ritenuto che il raddoppio dei termini non trovava applicazione in riferimento all’Irap.

Ha negato inoltre l’applicazione del raddoppio anche alle sanzioni inerenti l’Iva, per decadenza dal potere di contestazione, tenendo conto che la notifica dell’atto era intervenuta oltre il quinto anno successivo a quello in cui la condotta sanzionata risultava commessa, e disconoscendo il raddoppio dei termini anche per questa ipotesi, violandosi altrimenti il principio di legalità.

La ricorrente ha censurato la sentenza con un unico motivo, chiedendone la cassazione. La contribuente, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, è rimasta intimata.

Nell’adunanza camerale del 31 maggio 2023 la causa è stata discussa e decisa.

Considerato che

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, (entrambi ratione temporis vigenti), del d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472, art. 20 comma 1 (ndr d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20 comma 1), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., quanto alla declaratoria di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di irrogare sanzioni in materia di iva, per inapplicabilità del raddoppio dei termini, così come introdotto dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37 convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248.

L’Agenzia delle entrate si duole dell’erronea ricostruzione esegetica della disciplina, cui perviene il giudice regionale, laddove non ha tenuto conto che, ove le sanzioni siano state irrogate in riferimento a recuperi d’imposta, per 8687/2018 la quale operi il raddoppio dei termini, va raddoppiato anche il termine per la contestazione ed irrogazione delle relative sanzioni.

Il motivo è fondato.

Deve rammentarsi che il d.l. n. 223 del 2006, art. 37 comma 24, convertito con modificazioni in l. n. 248 del 2006, integrando il terzo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, aveva previsto, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, che gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiassero relativamente al periodo di imposta, in cui fosse stata commessa la violazione. L’art. 37, comma 25, del d.l. n. 223 cit. introdusse analoga disposizione in materia di Iva, con modifica del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.

Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché esso sia relativo al 2005, cioè al periodo di imposta durante il quale la normativa è stata introdotta. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 37, comma 26, del d.l. citato, il raddoppio dei termini si applicava dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge fossero ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento.

Deve invece escludersi l’applicabilità delle modifiche introdotte dal d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2 commi 1 e 2, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonché quelle introdotte dalla l. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1 commi 130, 131 e 132, con cui infine è stata soppressa la disciplina relativa al raddoppio dei termini ordinari.

Quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia, prevista dal d.lgs. n. 128 cit., art. 2, la stessa non si applica alle violazioni punibili, che siano state constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica del 26.12.2012). Quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla l. n. 208 cit. per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi del d.lgs. n. 128 del 2015, art. 3 comma 2, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728).

Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini, con la sola esclusione dell’irap, deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. Cass. 13 settembre 2018, n. 22337; 30 maggio 2016, n. 11171; 2 luglio 2020, n. 13481).

Il principio trova riscontro nella sentenza 20 luglio 2011, n. 247, della Corte Costituzionale, secondo cui l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» (cfr. anche Cass. 30 ottobre 2018, n. 27629).

Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.

Non vi è dunque neppure obbligo di esternare le ragioni in base alle quali l’Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l’applicazione da scelte discrezionali.

Ciò chiarito, e per quanto si evince dalla disciplina già esaminata, il raddoppio dei termini afferisce tanto alle imposte quanto alle sanzioni.

E’ proprio il d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2 comma 3, a richiamare espressamente la materia delle sanzioni, tra quelle per le quali si fa addirittura salva la pregressa disciplina, così come introdotta dal D.L. del 2006.

Infatti il suddetto comma dispone che “Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui al d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5 notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi della l. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015”. Il raddoppio dei termini è cioè espressamente richiamato anche per le sanzioni.

D’altronde, come si desume dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 20 “l’atto di contestazione di cui all’art. 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione, o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”, da ciò evincendosi, in modo non equivoco, che i termini per l’accertamento e quelli per la irrogazione delle sanzioni corrono parallelamente.

Sulle solide basi di questa disciplina questa Corte ha pertanto affermato che i termini previsti dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e dal d.p.r. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, come modificati dal d.l. n. 223 del 2006, art. 37 conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2 nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 del d.lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini, se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui alla Cost., artt. 53 e 112 (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33793).

Il giudice regionale, nel decidere la presente controversia, non ha tenuto conto della disciplina positiva, né dei principi di diritto enunciati da questa Corte.

La sentenza va pertanto cassata e la causa deve essere rimessa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, dovrà decidere la causa, tenendo conto delle regole e dei principi enunciati in questa sentenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, cui, in diversa composizione, demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.