RITENUTO IN FATTO

1. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale il giudice per l’udienza preliminare assolveva l’imputato (omissis) (omissis) dal reato di cui all’art. 2 D.lvo 74/2000, per aver indicato nella dichiarazione dei redditi elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, per essere il fatto non punibile ai sensi dell’art. 13 D.lvo 74/2000, avendo provveduto al pagamento integrale del debito tributario.

2. Il ricorrente, con unico motivo di ricorso, deduce erronea interpretazione della disposizione di cui all’art. 13, comma 2, D.lvo 74/2000, in quanto il ravvedimento operoso con integrale pagamento del debito tributario, non era intervenuto prima che l’autore del reato avesse avuto formale conoscenza di accessi, verifiche, ispezioni o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale, ma successivamente ad esso, essendo stato chiamato dall’Agenzia delle Entrate a chiarimenti nel corso di una verifica compiuta nei confronti della società (omissis) s.r.l., la quale aveva emesso fatture per operazioni che si ipotizzano inesistenti, indirizzate alla ditta individuale del (omissis) In particolare, si duole del fatto che il giudice non abbia considerato le richieste di chiarimenti rivolte all’imputato dall’Agenzia delle Entrate come uno degli atti in grado di determinare formalmente la conoscenza di un accertamento amministrativo, non potendosi ritenere che in quella fase le indagini nei confronti della società emittente le fatture false non fossero indirizzate anche all’imputato, quale utilizzatore delle fatture false: ciò in quanto la norma in questione non richiede, secondo il Procuratore ricorrente, che l’attività di accertamento amministrativo debba essere rivolta al soggetto potenzialmente interessato al ravvedimento, essendo carente l’espressione linguistica “nei suoi confronti”.

Richiama in proposito la parallela previsione contenuta nella I. 15 dicembre 2014 n. 186 in tema di discovery closure, ove il legislatore ha ritenuto espressamente di precisare che la preclusione alla collaborazione volontaria scatta anche quando il contribuente abbia avuto conoscenza di accessi e indagini “anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato”.

3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si osserva preliminarmente che l’art. 13 del D.lvo 74/2000 prevede che i reati di cui agli articoli 2,3, 4 e 5 non siano punibili se i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito di ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, “sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo di procedimenti penali”.

Si tratta di una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, in quanto si innesta su un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, cui tuttavia il legislatore, al verificarsi di circostanze esterne al fatto che non ne attenuano il disvalore, per ragioni di convenienza e di opportunità, rinuncia all’irrogazione ed esecuzione della pena.

La ratio sottostante è stata individuata dalla Relazione illustrativa alla riforma nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’Erario, e dunque quella di far prevalere le pretese dell’Erario su quelle inerenti alla potestà punitiva. Tale speciale istituto premiale, finalizzato ad ottenere il “ravvedimento” e la percezione, in capo all’Erario, del debito fiscale dovuto, esprime l’esigenza di una sorta di “spontaneità” individuata in un agere tempestivo e anticipatorio rispetto alla formale conoscenza di un accertamento fiscale o di un procedimento penale.

In tal senso, deve essere interpretato il limite, di natura soggettiva, che l’estinzione del debito tributario avvenga prima che l’interessato abbia avuto formale conoscenza di qualunque accertamento, di natura penale o amministrativa.

La norma infatti preclude l’effetto della esclusione della punibilità qualora l’interessato abbia avuto la conoscenza formale dell’inizio di qualunque attività di accertamento, amministrativo o penale, elencando alcuni atti tipici, quali accessi, ispezioni, verifiche, e facendo riferimento all’inizio di “qualunque attività di accertamento amministrativo”, ove l’espressione suddetta comprende, in via residuale, tutti i casi in cui l’interessato abbia avuto formalmente notizia di un accertamento di natura amministrativa.

Tuttavia, mentre con riferimento al procedimento penale, il concetto di “formale conoscenza” rinvia ad atti tipici, descritti nel codice di rito, con cui l’indagato acquisisce conoscenza formale di un procedimento penale, diversamente per quanto concerne la seconda parte della norma in esame, la nozione di “formale conoscenza” di un accertamento amministrativo non richiama esemplificativamente gli atti tipici dell’accertamento tributario.

Orbene, nel caso in disamina, l’Agenzia delle Entrate, nell’ambito di accertamenti avviati nei confronti della società (omissis) srl, ovverossia del soggetto emittente le fatture false, aveva invitato l’imputato a fornire chiarimenti, successivamente ai quali, prima che venisse compiuto alcun accertamento nei suoi confronti, ha provveduto al ravvedimento operoso, con il pagamento delle imposte dovute, comprensive di interessi e sanzioni.

La norma elenca espressamente gli atti amministrativi attraverso cui il contribuente può venire a conoscenza della pretesa tributaria, quali “accessi, ispezioni, verifiche o l’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento”, senza contenere ulteriori indicazioni. Pertanto, il giudice di merito ha ritenuto, correttamente, che fosse carente il predicato della formalità, richiedendo l’art. 13, comma 2, d.Lgs. 74/2000 che l’autore del reato abbia avuto “formale conoscenza” di tali atti, con riferimento alla comunicazione con cui l’Agenzia delle Entrate aveva invitato il (omissis) a chiarimenti nell’ambito della verifica fiscale compiuta nei confronti di un altro soggetto in relazione al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Risiedendo la ratio della causa di non punibilità prevista per i reati di cui alla norma in esame nel subordinare l’applicabilità alla mancata attivazione dell’amministrazione finanziaria o dell’autorità penale, con dispendio di energie e di risorse, non può ritenersi, così come sostiene il Procuratore ricorrente, che ad escluderne l’operatività valgano riferimenti non contenuti nella sua formulazione testuale.

La sua natura di norma eccezionale ne preclude l’interpretazione basata sul raffronto con altre disposizioni, quali quelle dettate in materia di voluntary disclosure menzionate nel ricorso. Al contrario, è proprio la precisazione contenuta nella L. 15/12/2014 n. 186, secondo la quale la collaborazione volontaria non è ammessa quando il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche (con formula fin qui identica a quella della norma in esame) “anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato” ad escludere che tale interpretazione possa adottarsi, nel silenzio del legislatore, per l’art. 13, comma 2, D.Ivo 74/2000.

Conseguentemente, l’essere stato chiamato a chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato, non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell’attributo “formale” della conoscenza richiesta, il quale postula che l’accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato.

In assenza di una espressa specifica previsione limitatrice, deve ritenersi conforme alla voluntas legis, la soluzione interpretativa che non limita l’applicazione della norma premiale nei confronti di un soggetto, qual è l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti ex art.2 D.lvo 74/2000, che resta estraneo all’attività di accertamento compiuto sul soggetto emittente le suddette fatture, che neppure è un concorrente.

Peraltro, si osserva che l’interpretazione che afferma sussistente tale condizione ostativa in relazione alla conoscenza di qualunque procedimento amministrativo o penale, nei confronti di chiunque, anche totalmente estraneo, comporterebbe una eccessiva ed indeterminata dilatazione del limite suddetto che, se interpretato in modo estensivo e senza riferimenti specifici, finirebbe, comunque, per comprimerne l’applicazione in ambiti eccessivamente ristretti, con effetto frustrante della ratio, che è, viceversa quella di incentivare comportamenti virtuosi.

2. II ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.