CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37420 depositata il 21 dicembre 2022

Impugnazione degli avvisi di accertamento TARSU – Omissione della denuncia di cessazione di occupazione dell’immobile – Tassa assolta dal soggetto effettivo nuovo occupante o detentore, subentrato a seguito di denuncia od iscrizione a ruolo d’ufficio a suo carico

Fatti della causa

La CTR della Campania ha accolto l’appello della società L.R.M.C. E C. proposto contro la sentenza n. 384/04/2011 della CTP di Napoli, che aveva respinto il ricorso della contribuente avente ad oggetto la impugnazione degli avvisi di accertamento TARSU (2007/2012) emessi dal Comune di Ischia, in relazione a superficie di unità immobiliare a struttura ricettiva locata a G.S.T. Sas C.V.R., ed ha così escluso la debenza del tributo sul rilievo che l’allora ricorrente aveva dimostrato la carenza del presupposto impositivo, giusta contratto di affitto d’azienda per rogito notarile del 2/5/2000, dal 2/5/2000 e sino al 5/4/2013, data di rilascio dei locali, avendone l’affittuaria avuta la piena disponibilità.

Osservava, altresì, il giudice di appello che la società G.S.T. Sas C.V.R., conduttrice del residence, a seguito di denuncia di variazione del 2001 risultava iscritta nei ruoli TARSU del Comune di Ischia, per il periodo dal 2007 al 2012 e per l’intera superficie (mq. 728) dell’immobile, sicché l’accoglimento della pretesa tributaria “verrebbe a costituire un bis in idem”.

L’Amministrazione comunale ha interposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La parte contribuente non ha depositato controricorso e memoria difensiva.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo il Comune ricorrente, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., deduce la nullità della sentenza per errata interpretazione degli artt. 64 e 73, d.lgs. n. 507 del 1993, perché il giudice del merito ha dato rilievo decisivo alla dimostrata non fruizione dell’immobile nel periodo temporale oggetto di causa senza considerare gli adempimenti formali che la legge impone al contribuente in materia di denuncia TARSU. Deduce, altresì, che la società L.R.M.C. E C., la quale aveva sede legale e domicilio fiscale nell’immobile de quo, già in posizione di irregolarità nel 2001 quando lo aveva ceduto in affitto, avrebbe dovuto denunciare la cessione del residence o comunque comunicare l’eventuale permanenza della sola domiciliazione, mai avendo variato la sede. Richiama, a sostegno della censura, la giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’art. 64, quarto comma, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, deve interpretarsi nel senso che, pur in caso di omissione della denuncia di cessazione di occupazione dell’immobile nell’anno in cui tale cessazione è avvenuta, la tassa non è comunque dovuta, per gli anni successivi a quello della cessazione così dichiarata, qualora: a) l’utente presenti denuncia tardiva di cessazione (comunque non oltre sei mesi dalla notifica del ruolo, ex art. 75, secondo comma, del d.lgs. cit.) e fornisca la prova di non aver effettivamente continuato, dalla data indicata, l’occupazione o la detenzione del bene; b) oppure, anche a prescindere dalla presentazione della denuncia tardiva, risulti che la medesima tassa è stata assolta dal soggetto effettivo nuovo occupante o detentore, subentrato a seguito di denuncia od iscrizione a ruolo d’ufficio a suo carico”.

Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per errata interpretazione degli artt. 64 e 73, d.lgs. n. n. 507 del 1993, 115 c.p.c., perché il giudice del merito non ha considerato la circostanza, ben evidenziata nella sentenza di primo grado, che la cessione dell’immobile di Via (…) da parte della contribuente, non fosse esclusiva e che più soggetti continuarono ad averne la materiale disponibilità, come dimostrato dalla “Variazione Ruolo TARSU”, in data 11/9/2002, inoltrata al Comune di Ischia da M.I.A., socio accomandatario, per cessazione della occupazione a favore non già della società affittuaria ma di M.A., a nulla rilevando i ruoli ricoperti nella società L.R.M.C. E C. SAS.

Le censure, logicamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente.

La difesa della società s’incentra sulla duplice affermazione che l’odierna controricorrente non avrebbe potuto presentare alcuna denuncia di cessazione di occupazione “non essendo iscritta nei ruoli” TARSU e che l’affittuaria dell’immobile dell’immobile di Via (…) “aveva regolarizzato la posizione TARSU indicando il passaggio in relazione alla detenzione dei locali dal dott. M.I. ed allegando anche il contratto di affitto di azienda”.

Assume, inoltre, la contribuente che nel periodo dal 2/5/2000 al 5/4/2013, non ha occupato in tutto o in parte il predetto immobile e che il Comune di Ischia, con accertamento presuntivo e senza procedere ad accesso ex art. 73, comma 2, d.lgs. 507 del 1993, ha provveduto a richiedere il pagamento della TARSU, nella misura del 50% della superficie complessiva dell’immobile oggetto del contratto di affitto d’azienda, per l’intero corrispondente a mq. 728, senza considerare che l’affittuaria G.S.T. Sas C.V.R. risultava iscritta nei ruoli TARSU, per detta superficie, in relazione all’intero periodo oggetto di accertamento.

Deduce, infine, la ricorrente che non potrebbe porsi a suo carico la prova dell’assolvimento del tributo, non essendo essa tenuta a garantire il pagamento di altri, gravando semmai sull’ente impositore l’onere di attivarsi per la riscossione delle somme dovute e non corrisposte.

L’Ente impositore, con l’attività accertativa, verifica se l’assetto di interessi emergente dalle dichiarazioni dei contribuenti sia effettivamente corrispondente alla realtà giudica e fattuale sicché, in caso di esito negativo, il relativo procedimento, che può avviarsi anche per decisione dell’Ufficio quando un pagamento non risulta o non risulta congruo, termina con l’emissione dell’avviso di accertamento.

Come questa Corte (Cass. n. 13296/2013) ha avuto occasione di osservare, in tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani (TARSU), che “l’art. 64, quarto comma, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, deve interpretarsi nel senso che, pur in caso di omissione della denuncia di cessazione di occupazione dell’immobile nell’anno in cui tale cessazione è avvenuta, la tassa non è comunque dovuta, per gli anni successivi a quello della cessazione così dichiarata, qualora: a) l’utente presenti denuncia tardiva di cessazione (comunque non oltre sei mesi dalla notifica del ruolo, ex art. 75, secondo comma, del d.lgs. cit.) e fornisca la prova di non aver effettivamente continuato, dalla data indicata, l’occupazione o la detenzione del bene; b) oppure, anche a prescindere dalla presentazione della denuncia tardiva, risulti che la medesima tassa è stata assolta dal soggetto effettivo nuovo occupante o detentore, subentrato a seguito di denuncia od iscrizione a ruolo d’ufficio a suo carico” (v. anche Cass. n. 24577/2015).

Dovendosi fare applicazione del predetto principio anche nella fattispecie oggetto di causa, nella quale difetta la denuncia tardiva di cessazione (e quindi vale il riferimento all’ipotesi b)), erra la società contribuente quando sostiene la irrilevanza del pagamento – effettivo – della TARSU da parte del nuovo occupante o detentore, e così anche la irrilevanza della mancanza degli adempimenti concernenti le dichiarazioni e denunce imposte dalla legge, avendo la società mantenuto sede legale e domicilio fiscale “restando operativa presso l’Immobile sito alla Via (…)”.

A tale riguardo, nella impugnata sentenza viene opportunamente evidenziato che “la missiva intitolata Variazione Ruolo TARSU trasmessa al predetto Comune in data 11/9/2002 (…) fa espresso riferimento alla cessazione dell’occupazione di immobili in Ischia, Via (…), facente capo però non alla società istante quanto a M.I. A. e comunque non in favore della società affittuaria quanto a M.A. a nulla rilevando i ruoli rispettivamente rivestiti nelle rispettive compagni sociali”.

Da qui la conclusione che la pronuncia del giudice di appello, la quale non ha fatto applicazione dei predetti principi, deve essere cassata, con conseguente decisione della Corte di provvedere anche nel merito, con rigetto dell’originario ricorso.

Le spese del giudizio di merito sono compensate tra le parti attesa la peculiarità della fattispecie oggetto di esame, mentre quelle di legittimità, che seguono la soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 3.500,00 ed euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge. Compensa le spese di giudizio dei gradi di merito.