COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Emilia Romagna sez. 14 sentenza n. 1932 del 16 giugno 2017
FATTO
I contribuenti proponevano ricorso avverso l’avviso di accertamento n. X del 2010, afferente all’anno d’imposta 2005, notificato il 17.12.2010, con il quale l’agenzia in conseguenza della reiterata scarsa reddittività, nonché anche sulla base delle risultanze degli studi di settore dell’anno 2008 e delle altre notizie e dati raccolti, accertava ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett d), dpr 600/73, e dell’art. 54 dpr 633/72, maggiori ricavi per € 21.550 e quindi rettifica il reddito dichiarabile in € 43.552, da ripartire fra i tre soci.
La Commissione tributaria adita rigettava il ricorso condannando i contribuenti al pagamento delle spese di giudizio, in quanto rispetto alle anomalie riscontrate ed ai rilievi emersi i contribuenti non portavano idonee giustificazioni e nemmeno una adeguata documentazione a sostegno delle loro tesi.
Propongono appello i contribuenti ribadendo e richiamando integralmente quanto già sostenuto nel ricorso introduttivo, evidenziando che è mancato l’instaurazione del previsto contradditorio antecedente all’emissione degli avvisi di accertamento, per cui trattandosi di un accertamento basato essenzialmente sugli studi settore cioè una procedura standardizzata è evidente che i connotati di gravità, precisione e concordanza possono scaturire solo dopo un adeguato contraddittorio con il contribuente, che nel caso di specie è totalmente mancato, a sostegno cita le sentenze di Cassazione 26635 e segg. del 2009. Nel merito invece i contribuenti hanno ampiamente giustificato la scarsa reddittività, in quanto l’attività era svolta unicamente per conto della Coop.va AM, nel regolamento di tale coop.va vi era il divieto assoluto dei soci di acquisire dei lavori in proprio, i due autocarri erano del 1991 quindi datati e necessitavano di periodiche manutenzioni e la sede della società era distante rispetto ai luoghi di consegna commissionati, nell’anno 2005 vi sono state nevicate e gelate ampiamente documentabili nei giorni18, 19 e 31 gennaio dal 17 al 28 febbraio ed anche il 3 e 7 marzo nonché il 27 e 28 dicembre per un totale di 14gg. lavorativi persi che se conteggiati quantificano una perdita di ricavi pari ad € 20.580. Chiedono in riforma della impugnata sentenza l’accoglimento dell’appello e l’annullamento degli avvisi di accertamento con vittoria delle spese di giudizio.
Resiste l’agenzia con proprie contro deduzioni ribadendo e richiamando integralmente le proprie tesi già esposte sia nell’avviso sia nel primo grado di giudizio, evidenzia che gli avvisi di accertamento sono stati emessi ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) dpr 600/73, e che in data 05.06.2009 l’agenzia inviava un questionario nel quale si chiedeva l’invio di documentazione contabile nonché di esporre eventuali giustificazioni in riferimento al rilevato scostamento dei ricavi, I contribuenti in data 22.06.2009 avevano prodotto la documentazione richiesta nonché una relazione di accompagnamento, di cui l’agenzia ha tenuto in considerazione prima dell’emissione dell’avviso, per cui nessuna obiezione può essere mossa sul comportamento adottato. Il fatto che la società facesse prestazioni solo nei confronti di una specifica cooperativa non esclude la possibile acquisizione di lavoro da terzi e la portata limitata degli autocarri in quanto lo studio di settore ne ha tenuto pienamente conto, anche le obiezioni in ordine alle spese di manutenzione e/o al numero degli autocarri non sono pertinenti perché anche queste situazioni sono contemplate nel conteggio rinveniente dagli studi di settore, così come le gelate e/o le nevicate che hanno comportato la perdita di 14 giornate lavorative sono lagnanze generiche e non provate. Chiede il rigetto degli appelli dei contribuenti e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese di giudizio.
DIRITTO
Questa Commissione visti gli atti e la documentazione allegata, nonché la normativa di riferimento, ritiene che l’appello del contribuente non sia meritevole di accoglimento.
Preliminarmente questa Commissione ritiene si debba decidere in riferimento alla questione se nel caso di specie la mancata instaurazione del preventivo contradditorio renda nulli alla base gli avvisi emessi.
Sul punto vi è da precisare che costituisce principio fondamentale della nostra civiltà giuridica la regola per cui il soggetto destinatario di un provvedimento autoritativo, produttivo di effetti sfavorevoli nella sua sfera giuridica deve avere il diritto di manifestare, prima dell’emissione del provvedimento stesso, le proprie ragioni dopo avere preso visione di tutti i dati contro di lui raccolti. Per cui attraverso il contraddittorio viene data pratica attuazione sia al diritto di difesa dell’interessato garantito dall’art. 24 della Costituzione, sia ai principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, nonché, non da ultimo, dell’art. 10 L. 212/2000 Statuto del contribuente che pur essendo norma ordinaria, risulta di rango costituzionale, in quanto proprio all’art. 1 si fa un esplicito richiamo all’attuazione delle norme ivi contenute, per cui è fin troppo evidente, che solo all’esito di una accurata istruttoria, fondata non solo sugli elementi in possesso o acquisiti ex officio dall’agenzia, ma anche su quelli forniti dall’interessato, può essere emesso un provvedimento equo e legittimo che soddisfi i legittimi interessi contrapposti. Tutto ciò è chiaramente sancito sia dalla giurisprudenza Europea che è di diretta attuazione nel nostro ordinamento, la Corte di Giustizia Europea con sentenze del 03.07.2014 n. 129 e 130/13, è in linea con quanto statuito dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea dove si prevede che il diritto ad una buona amministrazione comprende il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, tale principio è stato poi attuato dall’art. 6, comma 1, del trattato UE, nel quale si esplicita che l’UE riconosce i diritti di cui alla suddetta Carta Fondamentale sancendo l’uguale valore giuridico dei trattati, sia dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenze 19667/2014, 21586/2015, 24823/2015 e 9484/2017, che danno attuazione al principio fondamentale immanente nel nostro ordinamento, anche in difetto di una specifica normativa, più dettagliatamente in quest’ultima sentenza la Corte di Cassazione statuisce che l’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quanto l’agenzia può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.
Di conseguenza Il principio del contraddittorio deve pertanto trovare applicazione non solo nei casi in cui esso non sia espressamente previsto dalla legge, ma anche nei casi in cui la legge lo escluda, dovendo, in tale ultima ipotesi, il giudice disapplicare la legge in quanto contrastante con il diritto comunitario, al quale la legge dello Stato deve conformarsi ex art.117 Costituzione, nonché con i principi enunciati negli artt. 24 e 97 della Costituzione, e ciò senza l’obbligo di richiedere l’intervento della Corte Costituzionale. Da tutto ciò ne consegue che la tutela da instaurarsi con il contraddittorio è obbligatoria anche in riferimento delle verifiche svolte a “tavolino” dai vari uffici oltre a quelle già previste per legge in caso di verifiche svolte presso la sede del contribuente; tale attività deve essere esercitata effettivamente perché, non risulta sufficiente il semplice invio di questionari e/o verbali di costatazione, in quanto, facenti parte dell’istruttoria e non del contraddittorio, perché solo con il contraddittorio l’ufficio nell’emettere il suo provvedimento può tenere conto di tutti gli elementi del caso. Tutto ciò risulta anche Costituzionalmente orientato in quanto la Corte Costituzionale con sentenza 132/2015 nel motivare la propria decisione, ha pienamente sancito che l’attivazione del contraddittorio costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa, a pena di nullità dell’atto finale del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell’interessato al procedimento stesso, quindi per essere più precisi senza alcuna differenza tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati.
Detto ciò, per quanto riguarda il merito nel caso di specie, comunque le argomentazioni fornite dai contribuenti, comprovate dalla documentazione allegata, risultano soddisfacenti in riferimento alla giustificazione della non congruità dei ricavi rispetto agli studi di settore e che comunque è costante giurisprudenza di questa Commissione ritenere che la discrepanza delle risultanze contabili con gli studi di settore da soli non giustificano l’emissione di un avviso di accertamento ma le discrepanze evidenziate dalle risultanze degli Studi di Settore sono solo una presunzione semplice che può attivare una azione accertatrice, ma che per potere arrivare all’emissione dell’avviso di accertamento necessita di altri supporti probatori che possono essere anche presunzioni, purché gravi, precise e concordanti, che nel caso di specie sono mancanti, perché l’avviso emesso nei confronti della società non da conto di altre presunzioni se non di quelle che discendono dagli scostamenti rilevati con gli studi di settore.
Ulteriori ed eventuali deduzioni sono assorbite da quanto sopra esposto, le spese di giudizio, anche in considerazione dell’alternanza dei giudicati si ritiene equo compensarle
La Commissione in totale riforma della sentenza impugnata accoglie l’appello dei contribuenti e per l’effetto annulla tutti gli avvisi di accertamento contestati. Spese compensate.
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