In tema di falcidia del credito IVA sono sempre più frequenti le sentenze della Corte di Giustizia Europea che sono destinate a superato quell’orientamento, dei Giudici nazionali, che vieta all’amministrazione finanziaria la possibilità di falcidiare il credito IVA per quei debitori sottoposti a procedura concorsuale.
La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 7 aprile 2016, causa C-546/14, infatti, conferma l’orientamento già più volte enunciato. L’articolo 182-ter della legge fallimentare stabilisce espressamente il divieto di disponibilità del credito IVA, impedendo allo stato italiano di accettare e/o riscuotere pagamenti parziali relativamente a tale tipo di imposta. (Si rammenta che la legge 232/2016 ha abrogato tale disposizione con effetto dal 01/01/2017)
Per il legislatore il predetto divieto troverebbe la propria ratio nella direttiva europea che obbliga gli Stati membri a garantire il prelievo integrale dell’IVA sul territorio, nonché ad assicurare la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione.
Tale impostazione non convince la Corte di Giustizia, la quale, nel confermare la legittimità, o ancor meglio, l’opportunità di ritenere legittima la falcidia del credito IVA nell’ambito della procedura concorsuale, afferma come “..l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo..(..)..non costituisce (per l’Amministrazione) una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA e non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione..(..)..” se, “a causa dello stato di insolvenza dell’imprenditore, non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore.”.
In sintesi, a parere dei Giudici europei, l’accettazione di un pagamento parziale dell’Iva nell’ambito di una procedura concorsuale, non può, in alcun modo, qualificarsi come “atto di disposizione del credito”, dal momento che, sottolinea il Collegio, “..la procedura concorsuale è soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, allo scopo di offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA.”.
Presupposti di applicazione che, sembra chiaro ed evidente, consentono senza dubbio all’amministrazione finanziaria di valutare che il pagamento offerto in virtù della proposta concordataria rappresenti, sicuramente, il massimo importo recuperabile da quel “particolare” debitore.
L’Avvocato generale ha sostenuto nelle sue conclusioni, relative alla causa C-546/14, che è, in linea di principio, possibile falcidiare il credito IVA vantato dallo Stato nei confronti del debitore sottoposto a procedura concorsuale. In particolare è giunto alla conclusione che le norme nazionali che consentono ad un’impresa in difficoltà finanziaria “di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato” non contrastano con la normativa europea riguardante l’obbligo degli Stati membri di garantire l’effettiva riscossione delle risorse dell’Unione e, in particolare, con l’art. 4, par. 3, del TUE e la direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/12/CE, purché la procedura di concordato abbia carattere puntuale e limitato ed i presupposti della sua applicazione siano rigorosi al punto da consentire allo Stato di adottare tutte le misure necessarie per garantire la riscossione dell’importo massimo del credito IVA. A questo proposito, peraltro, è espressamente richiesto che “un esperto indipendente attesti che l’amministrazione tributaria non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento” perché “vi possono essere situazioni in cui un concordato preventivo comporti il pagamento di una porzione maggiore del debito IVA rispetto a quanto accadrebbe in caso di fallimento, ma il contrario può non essere vero”.
In altri termini, al ricorrere delle predette condizioni, la procedura di concordato non comporta “una rinuncia generale e indiscriminata al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti IVA” mentre il sacrificio di parte del credito IVA è giustificato dalla necessità “di concedere ai soggetti passivi in difficoltà finanziaria una seconda opportunità attraverso la ristrutturazione collettiva del loro debito”. Precisamente, nelle conclusioni in esame è affermato che, in talune circostanze, “uno Stato membro può ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate e purché lo Stato membro non crei significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudichi il principio di neutralità fiscale”. In questa prospettiva, lo “stato di difficoltà finanziaria” in cui versa il debitore rappresenta una circostanza specifica “perché il patrimonio del soggetto passivo non è sufficiente a soddisfare tutti i creditori” di modo che, in assenza di “norme di armonizzazione relative al rango dei crediti IVA” – gli Stati membri “devono essere liberi di ritenere che altre categorie di crediti (quali gli stipendi o i contributi previdenziali – o, nel caso di soggetti passivi singoli, gli alimenti) meritino una tutela maggiore”.
Sul tema la Corte di Cassazione, argomentando sulla base del dato normativo offerto dal comma 1, dell’art. 182-ter della legge fallimentare riguardante l’istituto della transazione fiscale – come modificato ad opera dal d.l. n. 185 del 2008 – ha affermato che lo stato di crisi dell’imprenditore non legittima la rinuncia alla riscossione del credito IVA, credito che resta in ogni caso indisponibile e che non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale. Secondo la Suprema Corte, infatti, il citato art. 182-ter rappresenta una norma a carattere sostanziale e di natura eccezionale che attribuirebbe al credito IVA un trattamento peculiare ed inderogabile applicabile ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale (in particolare, tale disposizione atterrebbe, in via generale, “al trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi”; così Cass., n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011, ma in senso conforme si vedano anche le successive sentenze n. 7667 del 16 maggio 2012 e n. 14447 del 25 giugno 2014). Anche la Corte costituzionale, richiamando, tra l’altro, alcuni precedenti del giudice europeo in ordine alla configurazione dell’IVA quale risorsa propria iscritta nel bilancio dell’Unione europea ed al conseguente obbligo degli Stati membri di garantire l’effettiva riscossione delle risorse dell’Unione (cfr. Corte di Giustizia, Commissione/Italia, C‑132/06; Commissione/Italia, C‑174/07; Belvedere Costruzioni, C‑500/10), ha confermato che il credito IVA non è riconducibile a nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari, essendo assoggettato ad una disciplina eccezionale attributiva di un trattamento peculiare ed inderogabile, che, consentendo esclusivamente la transazione dilatoria, è tesa ad assicurare il pagamento integrale dell’imposta (così Corte Cost., sentenza n. 225 del 25 luglio 2014; per approfondimenti sul tema, si vedano E. Stasi, Transazione fiscale – L’infalcidiabilità dell’IVA nel concordato preventivo alla luce della pronuncia della Corte costituzionale, in Il Fallimento, 2015, 33; G. Andreani, L’infalcidiabilità del credito Iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale, in Corr. Trib., 2014, 2795).
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